lunedì 23 aprile 2012

Motivatori da bar? No, grazie



"Non lasciate nulla al caso, l'improvvisazione ormai non paga più".
Parole sante. Veramente.
A maggior ragione, perciò, mi domando perché si trovino sul biglietto da visita di una delle persone meno affidabili mai conosciute da "The Sfaccendatis'" negli ultimi mesi.
E tuttavia, se stamattina, rovistando tra le mie cianfrusaglie, mi si è nuovamente parato davanti questo cartoncino di formato rettangolare (scritto solo da un lato: perché chi gliel'ha stampato sicuramente è un maestro nell'arte grafica), una ragione dev'esserci.
Anche ammettendo che sia vecchio, dei tre siti riportati sul medesimo, non ne funzionava neanche uno.
Per risalire al curriculum di un così stimato professionista del "training by doing" (cit), ho dovuto googolarne il nome. Dopo qualche tentativo, eccolo là, sullo scoglio e la camicia mossa dalla brezza marina.
Niente da dire sul fatto che in qualche modo si debba campare, ma trovo davvero deprimente chi finge di essere ciò che non è.
In quell'anonimo bar della costa adriatica, in una tiepida giornata di fine autunno, sotto una luce lattiginosa, sarei voluta sprofondare al posto suo. Si era portato dietro anche il povero fratello tossicodipendente (o qualcosa del genere), chiaramente poco interessato al pietoso tentativo di blandizie destinato più a Sfaccendato che non alla sottoscritta.
Si trattava del secondo dei due incontri avuti con il professionista nella "FormAzione alla Vendita e Gestione Reti Commerciali" (cit/2), quando noi speravamo che si parlasse di un progetto di piccola impresa in cui avevamo cominciato a crederci, dopo vari, comprensibili, tentennamenti. Invece, rigettandoci la proposta (anche a nome di una terza persona che non ha avuto neanche il coraggio di dircelo in faccia), il professionista del coaching, il motivatore de noantri voleva convincervi a organizzare improbabili convegni-strappalacrime, a beneficio dei molti disgraziati dalla psiche ferita, bisognosi di sostegni psicologici che di certo né lui né tanto meno noi saremmo stati in grado di fornire.
Mai chiacchierata di cosiddetto lavoro è stata più imbarazzante.
E devo dire che tra i due proprio Sfaccendato è stato più capace di dissimulare, ossia proprio la persona che di solito giudico troppo polemica e troppo negativa.
Io, invece, ho perso un pochino le staffe, giusto quel tanto che è bastato per sentirmi rispondere, con tono vagamente piccato, "ma se stai a casa di sicuro il lavoro non lo trovi". E non c'è niente di peggio dei consigli o delle sentenze non richieste.
Tornando a casa con lo squallore nell'animo e la tristezza nelle membra, siamo per fortuna riusciti a scherzarci su.
"Sai quanti soldi ci facciamo, eh, con mio fratello nel gabbione", ha continuato a dirmi per varie settimane Sfaccendato man per prendere per il ... sedere (mi verrebbe l'altra, ma voglio evitare il turpiloquio) mister Coacher. Non credo che potrò mai dimenticare l'espressione del suo viso, così tristemente disperata, e ancor più quella, robotica, del fratello sfortunato. Di più, mi è rimasto in testa l'ammiccamento che faceva con la bocca e l'occhiolino da imbonitore anni Settanta, abituato a trucchi che ormai non vanno più, polverosi e giallastri come i divani in simil-pelle.
E d'altra parte, comprendo l'antipatia che devo avergli suscitato, con la mia spocchia da maestrina pronta ad annotare con la matita rossoblu le maiuscole in eccesso o gli altri obbrobri linguistici e stilistici del suo modo di presentarsi. Giustamente si sarà detto: ma chi ti credi di essere tu, inutile Carneade dell'editoria?
Tutto vero: non conto nulla. Anzi, come mi dice Marco Pesatori,  il lettore di astri di D di Repubblica, io sono "un'infinità di nulla in cui le persone normali fanno fatica ad adattarsi".
Che vorrà dire non lo so, ma se proprio devo vendere fumo, sarà bene che cominci a farlo in prima persona. Anche perché, se mi facessi convincere da personaggi così, significherebbe che, ormai, la schizofrenia astrologica che mi è stata attribuita a questo giro di oroscopo avrebbe avuto la meglio.
Invece, io, testarda come un mulo puntuto, non voglio ancora arrendermi.
Giuro che resisterò: parola di Sfaccendata-autocoacher.
Tiè!

giovedì 19 aprile 2012

Che bel piacere... i blog di qualità!




I tre loghi che vedete sopra rappresentano altrettanti premi per blog e blogger di qualità (come avrebbe detto il barbiere di Siviglia!).
Tutti e tre sono stati vinti da FairyRain, blogger raffinata e paziente. Molto gentilmente ha voluto ricambiare segnalando altrettanti blog da lei ritenuti meritevoli di interesse.
Ed è così che ha segnalato anche il mio, insieme con Minime Storie, l'altra creatura sulla quale (ebbene sì) il mio alter ego pubblico si diletta con il foto-racconto.
Copio direttamente da FairyRain in che cosa consistono i tre premi:


Il Premio Dardos
 è un riconoscimento che viene consegnato ai blogger che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali ; che dimostra la sua creatività, che esprime  il proprio pensiero attraverso le sue letture e le sue parole.


I premi My Beautiful Blog e The Versatile Blogger prevedono le seguenti piccole regole: 
  • Linkare il blog che ti ha premiato
  • Dire 7 cose di te che i lettori ancora non sanno
  • Premiare altri 15 blog meritevoli avvisandoli del premio.

Sull'ultimo punto sono davvero in crisi, a meno di non ricopiare gli stessi blog che ha segnalato sempre FairyRain, compresi i miei!

Posso tuttavia aggiungere:


Rispetto agli altri punti: beh, ovviamente, rilinko qui FairyRain, e di seguito aggiungo 7 cose che mi sembra di non aver mai detto della sottoscritta (ma essendo del tutto autoreferenziale, qualche dubbio mi viene).
Vado:

1) il nome MADAMATAP è nato dalla mia bassa statura (tradotto: sono TAPPA) e dall'essere, ormai da un pezzo, una "madame";

2) mi piace molto la colazione e certe volte, prima di addormentarmi, penso a quel che mangerò il giorno dopo al risveglio;

3) ho il cesto porta-riviste costantemente zeppo di giornali appena sfogliati (qualcuno direttamente mai letto): per buttarli, ogni volta, mi tocca fare a rate altrimenti mi spezzo la schiena;

4) mi piace stirare i fazzoletti di mio marito: forse perché è difficile che vengano male;

5) periodicamente provo a non mangiarmi le unghie e ultimamente, a questo scopo, ho preso a colorarmele di verde pisello (orribile visu!);

6) parlo spesso a vanvera e faccio gaffe da premio Nobel (o da Pulitzer, per stare sul pezzo);

7) non so mai se lasciare in pace i miei capelli o dar loro una botta di luce artificiale nella segreta speranza che illuminino anche il mio umore.

Questo è quanto.

Dubito che mi capiterà di nuovo un simile onore, quindi ringrazio di nuovo la blogger esperta di vampiri-tv-Jane Austen e molto altro e chiunque passerà di qua... nonostante le sette inquietanti rivelazioni!

mercoledì 18 aprile 2012

Un "Faro" per gli Sfaccendati

Sfaccendato man insiste: facciamo un piano, tu ed io, e andiamocene via di qui.
Tutti i torti non li ha, ma a sentire certi racconti di vita nelle grandi città, un po' di angoscia mi prende.
In ogni caso, non possiamo permetterci, né lui né io, di buttare via gli anni più di quanto non abbiamo già fatto. Perciò, se ci armeremo di coraggio e ce ne andremo, ve lo farò sapere dalle "colonne" di questa rubrica.
No, le virgolette non andrebbero mai usate, tanto più in questo caso, dal momento che da una decina di giorni circa, "GLI SFACCENDATI" sono finiti anche sul cartaceo-elettronico del settimanale Il Faro di cui potete vedere la testata e un esempio di impaginato nella foto a destra.
Se dunque dovessimo di nuovo emigrare, sicuramente avremo da raccontare altre forme di sfaccendamento, perché dubito che riusciremmo a ricollocarci in un battito d'ali, viste anche le recenti dichiarazioni del buon Monti.
E in ogni caso, qui volevo ringraziare Massimo Del Papa, il direttore del piccolo ma grande giornale di approfondimento, realizzato con il supporto grafico di sua moglie, una donna di segreta e acuta intelligenza, autrice, peraltro, delle modifiche che mi hanno permesso di creare la rubrica nella versione online (da sola, ve l'assicuro, non ne sarei mai stata capace).
Comunque vada a finire, la rubrica e tutto il resto, sono sempre più convinta che solo mettendo in comune saperi, competenze e passioni si possa sentirsi un po' meno soli.
Alla prossima, per nuove, surreali avventure degli Sfaccendati (ne ho una sulla punta delle dita, ma sto facendola sedimentare un altro po').

domenica 15 aprile 2012

Di Mercè Rodoreda e dei grazie che riscattano


Di questa dedica lasciata sulla balaustra del parco pubblico poco distante da casa mia mi ha colpito in particolare la chiusa: il simbolo "minore" seguito dal 3 su Facebook (ignoro se succeda anche su Twitter: proverò) si trasforma in un cuore. Da quando l'ho imparato, alla mia veneranda età, lo uso spesso perché trovo carino lanciare cuoricini a chi mi dimostra affetto e/o benevolenza.
Al di là della mia preoccupante inclinazione ad abitudini adolescenziali, mi sono fermata a scattare la foto anche per una ragione un po' meno leggera. Nella testa mi risuonavano le parole de La piazza del diamante, il bellissimo libro di Mercé Rodoreda, che ho terminato di leggere ieri pomeriggio mentre fuori imperversava la tormenta.
Era un pezzo che non m'immergevo per così tante ore nella lettura, un piacere che ho relegato sempre di più alle mezz'ore serali o ai viaggi in treno, l'unico luogo in cui non mi sento mai in colpa per essermene restata incollata alla pagina per tutta la durata del viaggio.
E invece, per apprezzare al meglio la potenza narrativa della scrittrice spagnola protagonista della guerra civile di Spagna e per tal motivo esule dalla sua patria per circa vent'anni, bisogna darsi tempo spegnendo, o sospendendo, tutto il resto.
Negli anni più tranquilli, la sua Natàlia-Colombeta diventa una donna malinconica, "una lagna", scrivono nella traduzione italiana. Quanto mi piacerebbe sapere qual è il termine catalano usato dalla scrittrice, che adotta un linguaggio fintamente semplice, per riprodurre il modo di parlare di una persona di scarsa cultura.
Nella post-fazione, il traduttore dice di aver dovuto parzialmente modificare il flusso joyciano in cui si esprimeva la Rodoreda accrescendo ancora di più la mia curiosità di sapere che effetto mi avrebbe fatto leggerla in lingua (se conoscessi il catalano, naturalmente).
Nelle sue giornate "sfaccendate", Colombeta va spesso al parco e stringe amicizia con alcune signore, convincendole di nutrire una struggente nostalgia per i colombi che abitavano nella soffitta della sua prima casa coniugale. Invece è tutt'apparenza, ma alla protagonista del romanzo non importa e lascia che lo credano pure.
E poi la svolta. La figlia minore, Rita, fierissima e bella, si sposa e la notte dopo la festa, Colombeta si sveglia presto e raggiunge la piazza del Diamante, quella in cui aveva conosciuto il suo futuro primo marito Quimet. E qui succede qualcosa di sconvolgente, per lei e anche per me.
Non scendo nei dettagli, a beneficio degli eventuali lettori (direi meglio lettrici: sono sicura che solo le donne e pochi, sparuti uomini siano in grado di apprezzare fino in fondo la Rodoreda), ma posso assicurarvi che l'immedesimazione tra i fatti che vi si raccontano e le vite di chi pensa di trascinarsi dentro macigni poco digeribili è garantita. Se non ho pianto è solo perché poco sopra avevo letto quel passaggio sul diventare "una lagna", una propensione tipica di chi crede di vivere una maturità frustrata.
A differenza di Via delle camelie, l'altro, intenso, stratificato romanzo della scrittrice di Barcellona, qui il lieto fine è più chiaro ed è forse questa la ragione del grande successo che La piazza del diamante ha riscosso in patria e in molti altri Paesi al di fuori del nostro (da quel che ho capito, dell'esistenza della Rodoreda in Italia ci siamo accorti tardi).
In ogni caso, non si tratta di una chiusa sdolcinata o buonista, bensì soltanto di una pacificazione molto realistica e probabilmente anche parziale.
Ecco, a me basterebbe qualcosa del genere.
E della foto in alto condivido, profondamente, quella dedica insieme così antica e moderna a una tale "Giulia" (ho scattato due immagini scegliendo per questo post quella orizzontale: il nome era molto in basso, e nell'altro formato mi sapeva troppo di lapide).
Chissà chi ne è l'autore. Me lo immagino molto giovane e molto romantico.
Anche Colombeta riceve molti grazie dal suo secondo marito, ma di quanto sia stata fortunata lei a incontrarlo non sembra avvedersene fino alla svolta cui ho fatto cenno.
Bisognerebbe sempre ricordarsi di ringraziare le persone che ci vogliono bene, cogliendo i doni che ci fanno con lucida e aperta gratitudine. Chi ne è capace senza affettazione, infatti, ha già compreso di non essere, né ora né mai, il centro del mondo, ma di essere veramente importante per qualcuno.
E non c'è nient'altro che conti di più.

venerdì 13 aprile 2012

Transito vietato alle piccinerie di provincia


Quando meno la vorresti, eccola là, più puntuale della morte. Sto parlando della molestia, difficile da schivare tanto più se si materializza in un essere umano in carne e ossa, che si fa trovare nello stesso posto e alla stessa ora in cui ci sei anche tu.
L'ho visto già prima di varcare la soglia di un noto negozio di borse & affini del centro storico della mia città natale. Ho anche fatto la tipica faccia di chi non ha voglia di chiacchiere da bar, nell'attimo in cui la molestia personificata guardava verso di me. Purtroppo, non ha sortito effetto né io potevo evitare di entrare, dal momento che ero in compagnia di mia madre, desiderosa di ricevere un mio parere sul regalo alternativo che stava per farsi mostrare.
Così mi sono diretta verso la Molestia con il passo un po' molle di chi va al patibolo.
In un certo senso, però, sapere di avere un luogo in cui avrei successivamente depositato l'inutile dialogo (parola poco calzante, al contrario dell'aggettivo) mi sollevava un pochino dal senso di ambascia.
Ma non facciamola più lunga. Di seguito, le testuali parole dello sgradito scambio di vocaboli:
"Ho versato 21 anni di contributi"
"Buon per te"
"Eh, ma ormai non servono più a niente..."
"?"
"Mi ero già fatto i calcoli: tra 14 anni, a 54 anni, sarei andato in pensione e avrei lasciato il posto a mio figlio che allora avrà 21 anni. Perché anche se non c'è più questa possibilità, poi si sa che si fa lo stesso"
"..."
"Ma adesso, con la riforma... Anch'io dovrò ricorrere a un fondo privato"
"Va bene, dai, magari poi non è detto"
"Comunque adesso mi godo ancora qualche giorno di vacanza e mia moglie, che non vedo mai, e mio figlio"
"Infatti, fai bene. Io invece sono qui con mia mamma che ha appena compiuto 70 anni e..."
"Settant'anni? Ma chi l'avrebbe mai detto? Ma complimenti"
"Del resto è una questione di genetica"
(mi indico sorridendo in modo fintamente mondano)
"E quelli sono i tuoi genitori, scusami, non li avevo visti"
(la madre della Molestia mi si avvicina e molto educatamente mi saluta: mai vista pettinatura più scolpita della sua)
"E lei ha qualche anno più dei settanta..."
"Complimenti, non è cambiata per niente. Anche tuo padre"
Per farla breve, questo mio compagno di classe (perché di ciò si trattava) saluta con la sua tipica galanteria manierosa mia madre e si trattiene ancora un momento con i negozianti per allietarli, probabilmente, con l'illustrazione di qualche piano pensionistico a loro vantaggio (era sabato santo: sai che bellezza passarlo così), mentre mia madre ed io ci allontaniamo allungando l'andatura, io sentendomi un po' come Moretti quando lascia Panarea un attimo dopo essere sbarcato dall'aliscafo in "Caro Diario".
C'è un sottotesto chiaro, probabilmente, solo all'unica persona che legge questo blog che conosce anche la Molestia formato liceo classico: quest'ultima a scuola era una capra, un po' perché non studiava, un po' perché, in fondo in fondo, nutriva un non malcelato disprezzo nei confronti di chi lo faceva, ottenendo, magari, buoni risultati in materie poco pratiche come la storia (peggio, la filosofia: ma ammetto che non ci capivo un'acca neanche io, per quanto mi sforzassi di leggerne l'enigmatico manuale) o l'italiano.
Ai tempi, peraltro, la sua svogliatezza venne ripagata con bocciature in materie veramente improbabili: educazione fisica (giuro!) e storia dell'arte, quest'ultima, devo dirlo, per pura antipatia personale del prof nei suoi confronti del tutto fuori luogo, dal momento che non facevamo assolutamente nulla, il che ha finito per crearmi un forte rimpianto per le lacune mai colmate in una delle materie che amo di più.
E insomma, so per certo che il mio compagno ci teneva a mostrarmi tutti i suoi successi come a dirmi: vedi? tu eri tanto brava e adesso non sei nessuno, mentre io sono ricco e affermato.
No, non è una mia proiezione per via delle solite insicurezze che effettivamente a tratti mi angosciano non poco. Conosco la faccia di questo ex ragazzo imbolsito precocemente e le cattiverie di cui era capace. Le tipiche cattiverie dell'adolescenza che mi sono portata dietro per anni, prima di convincermi che dovevo fregarmene e pure alla grande.
Quel che mi sconcerta è che, nonostante tutti i mutamenti che pure saranno intervenuti nella sua vita, comunque dovesse darsi un tono, buttandomi in faccia la sua infantile rivalsa antropologica.
Davvero, se gli fosse toccato di andare in pensione a 54 anni, come a tanti delle generazioni passate, sarei stata felice per lui, se questo era, è, il suo orizzonte di vita.
Meno capisco il discorso sull'ereditarietà del posto di lavoro. Anzi, direi che un po' mi fa orrore, considerato il modo in cui starà crescendo suo figlio e il "trotismo" dilagante.
E tuttavia, l'aspetto vieppiù triste di questo episodio è il senso d'immobilismo che mi restituiscono persone così, simbolo di una terra, di un paese, ostile al diverso, al nuovo, allo straniero, esattamente come venticinque anni fa, quando ho preso a scalpitare per il desiderio di conoscere il mondo.
Ammetto di non essere andata molto lontano: Molestia, hai ragione tu: non ho combinato granché, ma la testa non si è mai più richiusa né mai sarà possibile.
E se anche un giorno dovessi venirti a chiedere delucidazioni sui fondi pensione, beh, di sicuro troverò un'altra maniera per mettere alla berlina la tua noiosa piccineria di provincia.

giovedì 12 aprile 2012

Impiegati-Stakanov o emuli di Kafka?


Leggevo giusto stamattina che i dipendenti del Comune in cui abito sono dei gran lavoratori: la scoperta è stata resa possibile dal provvedimento anti-assenteismo voluto dall'ex ministro Brunetta, mio simile (per una questione di centimetri, non per altro).
Buon per noi semplici cittadini, verrebbe da dire a caldo. A freddo, però, ci si accorge che l'organico del suddetto Municipio andrebbe rafforzato di almeno un centinaio di persone, dal momento che gli attuali assunti sono costretti a fare spesso straordinari.
Ora, non posso essere sicura che sia vero: non c'è nessun impiegato che ammetterebbe mai di non aver nulla da fare, ma d'altro canto, se l'articolo si basava su dati certi, è altrettanto probabile che qualche carenza ci sia davvero. Il sindaco, in tutti i casi, ha già detto che di prendere qualcun altro non se ne parla. E pazienza.
Però una riorganizzazioncina la riterrei opportuna, onde evitare demenzialità come quella documentata dall'immagine in alto.
Si tratta del dettaglio di una lettera speditaci dal Comune che sarebbe piaciuto a Stakanov, con la quale ci si informava come saldare il debito per le tarsu (il balzello sulla spazzatura) mai versato da quando abitiamo dove abitiamo.
Nulla da discutere su questo: The Sfaccendatis' pagano tutto fino all'ultimo centesimo. Anzi, sono stati loro stessi ad autodenunciarsi al suddetto iper-indaffarato municipio quando hanno ricevuto l'avviso di pagamento.
Però, mi domando, perché spedire testi così? Perché illuderci che avremmo potuto rateizzare il debito?
Siamo certi, in altri termini, che l'impiegato autore di cotanto prodotto letterario lavori bene?
Oddio, magari proprio perché è pieno fino al collo di incombenze, non ha avuto il tempo di sistemare il pro-forma che si spedisce in casi del genere. Però qualcosa, detto apertis verbis, mi fa dubitare del contrario, non foss'altro perché ho visto in faccia gli addetti all'ufficio tributi.
Ma Lombroso non aveva sempre ragione, suvvia, e d'altra parte anche Franz Kafka faceva l'impiegato durante il giorno ed è probabile che al lavoro avesse una faccia poco allegra (e non molto sveglia).
In tutti i modi, alla scadenza mancano ancora due settimane. Dopodiché, mi voglio augurare che la faccenda si chiuda qui. Se non dovesse essere, una letterina la scriverò io (tanto sono Sfaccendata) per pregare il Comune di verificare che le ore trascorse sul posto di lavoro dai propri dipendenti coincidano veramente con efficienza. Brunetta o non Brunetta, casse municipali piene o vuote, la crescita (e la ripresa) passa anche da queste piccole cose.

martedì 10 aprile 2012

La vittoria nella vita


Scombussolata come posso essere solo dopo qualche giorno in terra natale, butto giù questo post per fissarlo, se possibile, per sempre. O almeno finché esisterà questa piattaforma di blog (ho scoperto da poco di aver perso tutti i post scritti su splinder. E pazienza: nulla è eterno).
Sono state giornate intense. Prevedevo la commozione generale, ma l'autenticità di quei momenti mi ha ripagato completamente della tensione dei giorni precedenti alla partenza. Una tensione difficile da sciogliere non appena varcata la soglia della casa dei miei genitori, come probabilmente mi capitava quando ero più giovane e la vita mi pareva ancora carica di molte promesse. Ma siccome so di essere letta proprio dalle persone che mi vogliono più bene, preciso che nessuno di loro è responsabile dei miei stati d'animo. Certo, vorrei che fossero fieri di me come un tempo, quando prendevo trenta agli esami o mi facevo strada (almeno così sembrava) nel lavoro.
Però il mio nervosismo e la conseguente difficoltà di prendere sonno per i primi due giorni, proprio in quel letto che prima mi pareva l'unico giaciglio in cui potessi veramente riposare, ha a che fare solo con l'incertezza del presente, contro cui continuo a lottare con tutte le mie forze.
Passata la Pasqua e lo scambio dei regali, per fortuna, i nodi si sono allentati e sono stata invasa da una grande tenerezza.
Trascrivo perciò di seguito le parole che mia sorella ha dedicato a mia madre, mutuate da Daisaku Ikeda, un autore che non conosco:

"Il desiderio di ripagare i debiti di gratitudine è un'energia infinita che ci spinge a crescere e migliorare più di qualunque cosa. La vittoria nella vita appartiene alle persone capaci di ripagare i debiti di gratitudine".

Mai frase mi ha illuminato di più negli ultimi tempi.
E chissà che i vuoti e gli "sfaccendamenti" del mio presente non mi stiano semplicemente dando la preziosa occasione di compiere, almeno in parte, la missione "vittoriosa".
Preferisco quest'ultima parola a "vincente", un aggettivo utilizzato accanto a "generazione" da un'ennesima agenzia interinale che ho scoperto con mia sorella dietro l'angolo di casa dei nostri genitori.
Ma oggi non voglio polemizzare né intristirmi.
Con il cuore ancora colmo di affetto e natura (che bei posti abbiamo visto ieri nella gita di Pasquetta! Io c'ero già stata una vita fa, perciò era come vederli per la prima volta) e un forte desiderio di dormire per riandare con la testa al recentissimo passato, prometto di fare il più possibile per crescere davvero usando la mia energia nel modo indicato da Daisaku (e da mia sorella).
A tutti i miei cari, grazie di tutto quello che mi date.
In un certo senso, credo che il miracolo della Pasqua, della rinascita intendo, si sia compiuto anche per me. Ed è solo merito vostro.