giovedì 31 maggio 2012

Doveva essere solo un brindisi


Si dice che scrivere aiuti anche a buttare fuori i ricordi sgradevoli. Sarà anche così, ma da quella festa di compleanno cui, malauguratamente, ho deciso di prendere parte è già passato un certo tempo eppure io non riesco ancora a metabolizzarla.
Anche adesso, per dire, mi accorgo che le parole escono a fatica e che non so proprio da che parte cominciare.
Fingiamo di essere su The Mentalist e che Patrick Jane mi abbia appena sottoposto a ipnosi.
Dove sei?
In un locale affollato... musica altissima... cafonacci dappertutto... tra poco però brindiamo e andiamo via... almeno così mi hanno detto...
Che cosa fai?
Sono in piedi vicino a un tavolo bianco... dietro di me un tizio con i pantaloni bianchi e la camicia nera muove il bacino in modo scomposto... è tozzo e mezzo pelato... di un colorito mattone... vicino ha due quarantenni (ultra) in minigonna e stivali borchiati... l'unz unz è sempre più forte...
Vorresti scappare?
Sìììì... ma non so dove... provo a scendere in spiaggia, fa freddo, ma mi tolgo comunque le scarpe... mi avvicino alla riva e scorgo un tizio che guarda il mare... romantico? Ma no! Sta pisciando sulla riva, che schifo! E se la sabbia fosse piena di cacche? Aiuto... torno indietro... ma che vuole quello? Che gli importa se sono lì tutta sola?
Sei sola?
No... sono con una coppia di amici... siamo a un compleanno... è una festa a sorpresa... ma perché non ci portano la dannatissima torta e lo spumante così ce ne andiamo? Sono stanca, la musica è orrida e cominciano a farmi male le gambe a forza di presidiare il tavolo. Non c'è neanche un buco per sedersi e poi dove mi metto? Vicino al tamarro che si dimena? Ma per carità.
Che musica mandano?
Ma non saprei... roba techno... prima avevano rispolverato dei classici napoletani... 'O Sarracino mi piace pure, ma non tollero la vista di quelle due tardone mezzo svestite che si agitano sulle sedie muovendo i loro seni scoperti... E dire che amo ballare... ballonzolo sul posto... mi faccio pena, ma non so che cos'altro fare...
Non cominci a rilassarti?
Ma proprio no! Mi difendo, fingo... e poi chi diavolo è sta' gente con queste facce da periferia semi-rurale? E quegli orridi plateau... e quei pantaloni pitonati... madonna...
Non parli con nessuno?
E come si fa? La musica è altissima! E poi con chi dovrei parlare, scusa? Di certo non con quella specie di Golem che mi ha avvicinato non appena siamo entrati. Fare amicizia con te? Ma per favore, sgomma. E quell'altro con quel penoso foularino che mi ha chiesto se il compleanno era il mio e continuava a fissarmi con un sorriso ebete da lontano?
Non potevi buttarti nella mischia visto che ti piace ballare?
Impossibile! Non ci si poteva muovere e poi mi terrorizzava il dj... Uriano The Voice, credo... o comunque uno con un nome simile... C'era un addio al nubilato... MA STASERA TUTTE LE DONNE SONO SINGLEEEEEEE!!!! Ma che ti urli, maledetto? Ma il top doveva ancora arrivare... MORRIS CARROZZIERIIIIIIIIIIII!!!!! L'avrà gridato almeno una decina di volte... ma chi cavolo è? un calciatore di una squadra locale, pare... E che nome ha? Ma che vada a lavorare... andate tutti a lavorare, lazzaroni...
Non stai esagerando un po'?
NO! e poi NO! Mai vista una così grossa concentrazione di buzzurri, oltretutto pure anzianotti in maggioranza... era un inferno. UNO STRAMALEDETTO GIRONE DANTESCO.
Non c'è stato proprio niente di positivo?
La torta... buonissima... ma mi ci sono avventata sopra come il salvagente del Titanic... devo aver fatto una pessima figura con gli amici della festeggiata... pazienza... dovevo pur consolarmi con qualcosa... non sono neppure riuscita a ubriacarmi... ero troppo traumatizzata dal contesto...
Ti senti meglio adesso?
Ma... forse sì... ormai è andata... ma... e se mi invitano di nuovo come devo comportarmi? ho paura di non essere capace di dire di no... aiuto, aiutatemi...
Un modo c'è.
Quale? Dimmelo, per favore...
Aderire al gruppo Facebook Trovarsi male, di grande conforto in casi simili.
Ah sì? Allora non capita solo a me di subire torture così...
No. Però, se posso darti un consiglio, la prossima volta da' retta a tuo marito o almeno consultati con chi si è già "trovato male".
Ah... d'accordo... sono testarda e recidiva. E forse pure un po' masochista. Ma cercherò di darti retta...
Bene. Allora puoi svegliarti.
...
?
!
#
]
*
Grazie, Patrick.

(come sono gentili questi tizi in camice bianco...)

lunedì 28 maggio 2012

Lavorando per sottrazione, invecchiare è un'arte

Pietà Rondanini, Michelangelo
Me ne ha parlato un grande artista conosciuto lo scorso inverno, ma non l'avevo mai vista. Per quel che poco che capisco d'arte, mi sembra veramente un capolavoro.
Mi piace pensare che invecchiando gli artisti di tutti i tempi imparino a lavorare sempre di più per sottrazione. Di sicuro sembrerebbe averlo fatto Michelangelo, che da giovane scolpì opere maestose come il David e la Pietà più famosa, quella romana, anzi vaticana.  Più avanti negli anni, invece, sarebbe arrivato alla conclusione che non servisse definire alla perfezione i contorni per restituirci il corpo e il dramma della finitudine umana.
Ai grandi, ai più navigati e di provato talento, in sostanza, bastano due tratti, due martellate (si fa per dire) ed ecco che viene fuori la vera essenza, il vero volto, imperfetto e limitato, dell'uomo.
Chissà che un giorno non succeda anche a me, benché io non sia un'artista.
Però uso le parole e conosco la fatica del metterne una dopo l'altra con accuratezza non pedante.
E dire che da ragazzina scrivevo temi brevi, a tratti quasi ermetici, che raramente mi hanno permesso di superare il 7. Probabilmente, era giusto così: non avevo ancora l'età giusta sintetizzare in maniera adeguata i miei pensieri, così che finivo per risultare un po' oscura. Oltretutto, con la mia grafia da medico condotto, dovevo essere doppiamente illeggibile.
E d'altra parte la brevità non è per forza virtuosa, bensì può essere anche sinonimo di sciatteria.
Malfatti sono per esempio quei tg che puntano tutto sulle super-brevi, le breaking news che ho citato nel post dell'altro giorno, che non di rado toccano vertici di fastidioso nonsenso.
Ma qui l'arte o la letteratura non c'entrano.
Però, magari, invecchiando, anche i giornalisti imparano a sfrondare, componendo veri e propri haiku al posto di semplici ultim'ora.
Chi può dirlo. Di certo non io che sto qui che mi arrampico sugli specchi per cercare una conclusione che non c'è.
Trovata: vi lascio con l'enigma leonardesco proposto dall'artista che mi ha parlato della bellissima scultura di Michelangelo. Anche per questo occorre una certa maturità. E arguzia.

MUT       TUM

NEM       MEN

A            A

LOS       SOL

NOC     CON

Meditateci su e buonanotte.

domenica 27 maggio 2012

Politicanti e teste pensanti, incompatibilità a prova di meches

Susanna Camusso da giovane


No, in effetti non mi assomiglia per niente, però il gioco con mia madre, che si svolge quasi tutto via sms, sulle presunte analogie tra la leader della Cgil e la sottoscritta è molto divertente.
Qui, per dire, le differenze tra noi sono ancora più palesi, innanzitutto perché io non ho una capigliatura così folta, e poi perché lei è chiaramente castana, mentre io, alla sua età di allora (nella foto sopra mi pare sui trent'anni, ma chi può dirlo), ero stra-bionda. 
E allora come si origina lo sciocco scambio di messaggini con la mamma?
Per via delle meches più chiare che alla fine ho deciso di abolire: adesso il tono cenere (un tantino spento) della mia chioma volatile (ho i capelli più fini dei filini d'argento dell'albero di Natale) si è reimpossessato della mia testa, mentre la Susy nazionale non rinuncia al tocco di luce artificiale, forse per nascondere i capelli bianchi. Un problema che, per il momento, io non ho. Quando il biondastro naturale sarà sostituito dal grigiastro altrettanto fisiologico, beh, allora è facile che torneremo a essere di nuovo molto simili.
E chissà se allora deciderò di rassomigliarle ancora di più sotto un altro aspetto, che forse abbiamo davvero in comune. Per il momento, comunque, la pasionarietà che mi contraddistingue preferisce "restare nell'ombra". 
Con quest'ultima locuzione, sempre via sms, una forma di comunicazione che evidentemente prediligo (era ancora in corso l'offerta tim dell'autoricarica), ho liquidato un sindacalista marchigiano che voleva a tutti costi farmi candidare alle elezioni per il direttivo nazionale.
Pazza, penserà qualcuno. Ma no, assai saggia, come potrete capire tra un attimo.
Era una mattina qualunque, una delle solite in cui, mentre finisco di lavarmi, ascolto Pagina Tre e tutto Primo movimento, quando faccio particolarmente tardi. Ogni tanto, mentre sono seduta sul sacro trono, approfitto per accendere i cellulari, con l'illuso, malcelato desiderio di leggervi finalmente qualche novità interessante.
E in effetti quella volta una breaking news è arrivata davvero. Uso l'espressione cara al tgcom per sottolineare la natura ansiogena della suddetta. 
"Ciao, sono xxxx". Prima ancora di risentirne la voce, sapevo già con chi avrei avuto a che fare. Erano almeno un paio d'anni che non si faceva vivo, ma nella mia rubrica era rimasto il soprannome che ormai ho imparato ad affibbiare a tutti i miei contatti, soprattutto a quelli più molesti. No, il Seccatore... E che diavolo vuole? Perché gli ho risposto, direte voi (in piedi davanti alla tazza, con lo sciacquone non ancora schiacciato). Per una sola, pratica ragione: il mio bieco bisogno di denaro sonante, se possibile da guadagnare in fretta senza grossi sforzi. 
Nelle passate consultazioni elettorali ho fatto la scrutatrice, ma dovevo immaginare che un tipo come il Seccatore mai si sarebbe scomodato a telefonarmi solo per ingaggiarmi di nuovo per la bassa - e per questo da me molto ambita - manovalanza.
No, il Seccatore cercava di ben peggio. Lui voleva uno schiavo (anzi: una schiava, perché un po' di quote rosa ci stanno bene, e io, ha precisato, sono adulta, ma anche giovane e carina. E vabbè) da spedire alle riunioni, un pappagallo che ripetesse a memoria la lezioncina imbeccata da lui in persona.
L'errore, però, l'ho commesso io: ho esitato a dirgli immediatamente di no, grazie, cercati qualcun altro da manovrare, perché, in effetti, di starmene qua nell'ombra, circondata da giornalacci pieni di marchette o a compulsare (assai di rado, sono troppo deprimenti) siti web di cosiddetta informazione locale non sono molto felice. E infatti ho creato non a caso "Gli sfaccendati", con il non secondario intento di sputtanare almeno un po' il sistema di favoritismi e squallori vari che impediscono alle persone di buona volontà, soprattutto se dotate di qualche talento, di trovare la giusta valorizzazione. E in genere non parlo di me, come avrete visto.
Insomma, ho tentennato perché, per una volta, mi sono chiesta se non potessi davvero dare una mano anche ad altri in condizioni simili alle mie: da poco ne è capitata una a una giovane professionista molto capace, la cui unica colpa è di essere sempre gentile ed educata. Non appena mi darà l'autorizzazione, ne parlerò più diffusamente. In ogni caso, è vero che c'è bisogno di ricambio, di aria nuova, in tutte le istituzioni, sindacato dei giornalisti compreso.
Insomma: gli ho chiesto ventiquattr'ore di tempo per rifletterci su. Più passavano le ore, però, e più mi dicevo che una proposta da un personaggio così avrebbe comportato solo inutili grane. Nel frattempo, mi sono consultata con Sfaccendato man, scettico ma molto rispettoso di una mia eventuale risposta favorevole, e con un altro paio di persone fidate. Per una delle due, poteva essere una buona cosa se solo fossi riuscita ad arginare il Seccatore. L'altro, credo, si è rattristato alla prospettiva di passare due giorni e mezzo al seggio senza la mia compagnia. Perché, diciamolo, i votanti sono pochissimi e per il grosso del tempo ci si gira i pollici: il lavoro perfetto, insomma, soprattutto se affrontato con qualcuno d'interessante con cui chiacchierare. Un privilegio che, credo, avrei perso se mi fossi candidata: perché, immagino, non si può essere insieme aspiranti sindacalisti e volenterosi scrutatori. Probabilmente non lo saprò mai né è detto che possa a questo punto ottenere l'incarico di basso livello, ottimo per una persona che non vuole "uscire dal cono d'ombra", come mi ha esortato a fare il Seccatore, concludendo il suo tentativo di ingaggio con "I want you", manco fossimo in Ncis
Durante le ore di pensatoio, non potendo fare altrimenti, ho peraltro chiesto (rigorosamente via email) proprio allo Zio Sam di noialtri (che, a proposito di somiglianze, sembra un po' Maurizio Landini) dell'eventuale incompatibilità tra i due ruoli. Sapete come mi ha risposto? Chiedendomi di chiamarlo la sera stessa. Per fortuna, ho spento il cellulare durante l'ora di step. Mentre mi asciugavo i capelli in palestra, ho riacceso il dannato apparecchio ed eccolo là, con il suo stalking telefonico. Sì, perché ha riprovato per almeno altre due volte, costringendomi a spegnerlo definitivamente alle 22.40, molto prima del solito (ho saputo poi che ha provato a estorcere il mio fisso a un'amica e collega, che assai provvidamente s'è guardata bene dal darglielo. Ma guarda tu che insistenza).
Ed è stato così che sono riuscita a strappargli le ventiquattr'ore richieste, ma stavolta mi sono guardata bene dal riattivare il telefonino mentre facevo la toilette la mattina dopo.
Con molta piacevolezza, ho finito perciò di ascoltare Primo Movimento (c'era il concerto di Beethoven per violino e orchestra, l'unico con il sublime arco composto dal Maestro: non potevo proprio perderlo), dopodiché, prima di mettermi alla scrivania, ho riacceso.
Di seguito ho trovato: una chiamata da un numero sconosciuto, una dal Seccatore e un provvidenziale sms di un mio caro amico che ha avuto esperienze sindacali e proprio per questa ragione da me consultato il giorno prima come jolly per la decisione finale. Eccovene il testo, da me all'uopo conservato: "Rifiuta senza indugi, hai troppe cose tue da fare che richiedono tempo".
In genere, funziona così: quando c'è da decidere qualcosa, aspettiamo solo che qualcuno ci confermi in quello che pensiamo già. Così è stato anche in questo caso. Soltanto, avrei voluto comunicare le mie intenzioni al Seccatore di persona, senza inutili pressioni. Oltretutto, desideravo anche precisargli che se c'era da dare una mano operativa, non di facciata, io ero disponibile. 
Invece, con il suo comportamento, se la può scordare. 
La telefonata dal numero sconosciuto era di un suo pupillo, nonché nuovamente candidato alle consultazioni di fine giugno. Per lo meno lui è stato gentile e non ha insistito più di tanto ("non faccio il venditore: se hai deciso così pazienza", mi ha detto con molta tranquillità). Mi ha anzi ringraziato, cosa che non ha fatto il Seccatore, né prima né dopo. Qualche istante prima di parlare con il suo pupillo, gli avevo infatti già scritto un sms per comunicargli la mia scelta.
"Decisione presa: preferisco restare nell'ombra". 
Ammetto di averci messo un pizzico di sarcasmo, ma d'altra parte ho anche rinnovato il mio interesse per la consulta del lavoro autonomo. In cambio che cosa ne ho avuto? Un silenzio da far paura. Neanche un vaffanculo. Nada de nada. A riprova dell'assoluta falsità del suo "I want you" e di tutte le altre boiate con cui ha provato a convincermi.
Morale della storia? Politicanti e teste pensanti sono del tutto incompatibili.
Ed è per questo che, credo, alla fine non somiglierò mai alla Camusso, non me ne voglia la sindacalessa per eccellenza, meches o non meches sulle nostre chiome.
Preferisco vivere. Nella mia doratissima ombra. 
E voi?

giovedì 24 maggio 2012

Di Fisica o chimica e dell'omofobia nazionale

Angy Fernandez, alias Paula in Fisica o chimica

Torno per l'ultima volta (ma chissà) sul telefilm spagnolo che mi ha fatto così tanta compagnia durante lo scorso inverno, perché mi sono resa conto che la querelle Freccero-Borgonovo è finita persino sui giornali spagnoli.
In particolare, se n'è occupato "El Mundo" che in estrema sintesi ha accusato l'Italia di essere omofoba e bigotta. Ma che bella figura, veramente.
La notizia è riportata dal blog Televisionando che ha trascritto (male: forse per colpa del traduttore automatico offerto dai pc. Magari una controllatina non ci stava male. E vabbè) i commenti di alcuni attori che hanno preso parte al telefilm. Si trattava dei ragazzi noti sullo schermo come Yoli, Roman, Ruth ed Erica (quest'ultima peraltro ha avuto un ruolo davvero inquietante: altro che l'omosessuale Fer!), i quali si sono soffermati sui concetti di finzione e realtà, mettendo in risalto che quanto messo da loro in scena fosse, per l'appunto, ascrivibile alla prima.
Qualcuno ha però anche precisato che nelle loro scuole in qualche caso accadeva ben di peggio di quanto attribuito allo Zurbaran e che di episodi di ragazze rimaste incinte per mancato uso di preservativo (come successo al personaggio di Paula, nella foto in alto) ne capitavano eccome. Però anche i loro genitori si sono scandalizzati esattamente come è successo in Italia, semplicemente perché non conoscono il mondo (forse un po' ristretto: ma chi è che a 15-18 anni ha ampi orizzonti?) in cui vivono i loro figli. 
Poi, certo, è vero che la tv può spingere all'emulazione, ma come ho già avuto modo di dire nei post precedenti, nel telefilm si cercava di far passare il messaggio che drogarsi è sbagliato, che avere storie tra allievi e prof non è esattamente normale e che l'omosessualità non è così facile da vivere in un contesto sociale che la rifiuta.
Ed è proprio quest'ultimo aspetto, tra l'altro, ad aver scatenato l'alzata di scudi contro il telefilm, come ha scritto un blogger presumo omosessuale cui dò piena ragione, considerato anche quanto mi capita di ascoltare sulla Zanzara di Giuseppe Cruciani, trasmissione che va in onda su Radio24 dal lunedì al venerdì, dalle 18.40 alle 20.50 circa. Ebbene, non appena il conduttore della radio della Confindustria accenna ai "froci" e alla malattia di cui sarebbero affetti secondo vari benpensanti di predominanza cattolica (ma tra gli ex Pci quanti ragioneranno allo stesso modo?), arrivano puntuali le telefonate di ascoltatori pronti ad associarsi alla rampogna espressa dai suddetti.
Devo ammettere che ci sono rimasta male: non pensavo che in questo Paese ci fosse ancora così tanta gente che si sdegna per gli amori omosessuali in una maniera, se posso dirlo, viscida, direi di più, sessuofobica. Insomma, pur criticando l'aspra reazione di Carlo Freccero all'articolo di Libero, vera causa, a mio avviso, dello stop definitivo al telefilm, credo però che l'Italia abbia davvero un problema di forte arretratezza culturale se alla fine, dopo aver rimandato daccapo le puntate dedicate all'amore tra Fer e David, se n'è concluso che Fisica o chimica andasse chiuso definitivamente.
Perché è successo proprio così: dopo l'ipocrita slittamento di un quarto d'ora della messa in onda per essere sicuri di non stare più nella fascia protetta, la Rai è tornata indietro di una serie (o forse due) per dare la possibilità a tutti, compresi i maniaci sessuofobi di cui sopra, di rivedersi per bene tutti i baci omosessuali tra i due ragazzi. Non voglio soffermarmi oltre sul probabile godimento pruriginoso causato agli sporcaccioni nazionali, ma se davvero si volevano proteggere i minori da scene considerate troppo forti, non sarebbe stato logico andare avanti arrivando alla conclusione della serie? Perché nel telefilm mica si parlava solo di omosessualità? C'erano altre storie incrociate, compresa la partenza del bel Cabano per l'Inghilterra, accompagnata da una melensa melodia cantata da Angy-Paula che tanto mi aveva commosso ai tempi.
Proprio con quest'ultima voglio salutare per l'ultima volta (ma chissà) i fan di Fisica o chimica, e tutti gli ex ragazzi come me che dal telefilm hanno tratto giusto un po' di leggerezza e di allegria, la stessa che da adulta ho potuto rivedere nei volti degli studenti del Montani, così simili (probabilmente) a quelli che avevo conosciuto in tv. Confido in voi per cambiare le teste di questo Paese: forse ce la potete fare.



martedì 22 maggio 2012

Della pioggia e del fumetto intellettuale

Maledetta primavera
Lo confesso: ho rubato l'idea della didascalia a Massimo Del Papa e il suo super-accessoriato (grazie alla moglie, diciamolo!) Babysnakes.
La frase prescelta, invece, mi è venuta particolarmente facile, visto il tempo di M. che imperversa in tutta Italia, specchio fedelissimo di tempi non molto allegri.
E però stasera sono qui quasi per caso. Ho infatti acceso per cercare informazioni su Blutch, disegnatore nato a Strasburgo (dunque francese per sole ragioni storiche... eh eh eh), di una cupezza per me a tratti disturbante, benché, alla fine, sia già il terzo fumetto (ebbene sì, preferisco chiamarli alla vecchia maniera: graphic novel mi sta sulle balle) che compro e leggo. Della sua biografia, insomma, avevo già letto, ma non me la ricordavo più, come spesso mi accade quando navigo su internet.
In ogni caso, il suo ultimo lavoro sul cinema (mio altro grande difetto è non rammentare mai i titoli esatti né dei libri né tanto meno delle canzoni) mi ha fatto il solito effetto, ossia mi ha mal disposto, ma alla fine l'ho letto tutto e pure quasi due volte. Sì, perché c'è qualcosa nel turbamento fastidioso, un po' sporco, che mi causa questo disegnatore dal tratto molto raffinato che alla fine mi attira. Forse, per l'appunto, è proprio merito del suo modo di disegnare, fatto di alternanze di chine (immagino) a matite (presumo ancora) più spesse. In modo particolare sono rimasta colpita dai volti delle star del cinema da lui riviste e corrette. Meglio di fotografie, assai più reali ed espressive, decisamente.
Insomma, volevo ripassarmi chi diavolo fosse. Sorprendentemente, ho constatato che ha solo quattro anni più di me, ossia è del 1967, stesso anno di nascita di mia sorella. Oddio, non che dovesse essere un matusalemme, ma dal modo di parlare del cinema e dal tipo di provocazioni che lancia, ero convinta che ne avesse almeno una cinquantina, che appartenesse, insomma, alla generazione di Igort, Mattotti etc etc, ossia di quelli che erano ragazzi negli anni Settanta. Mi rendo conto dell'inutilità della mia deduzione, anche perché il disturbante Bluch non è italiano e quindi perché mai avrebbe dovuto incarnare gli stessi stilemi della generazione nostrana coeva al terrorismo rosso-nero? E però non so: forse è proprio per quel suo modo di provocare, all'apparenza anti-tecnologico, pre-era cellulari-smartphone-social media etc etc, che mi era sembrato più vecchio. Il che, dal mio punto di vista, non è del tutto un male (stasera Severgnini dalla Gruber sembrava un bambinone invecchiato con il suo citare twitter per la stramilionesima volta). Soltanto, mi domando, alla Antonio D'Orrico: perché il fumetto-graphic novel deve far star male? Perché deve per forza angosciare almeno un po'? Forse, azzardo, perché così fa più intellettuale? Chissà.
O sarà che davvero sono io che sto invecchiando e non sopporto più le pesantezze gratuite?
Diciamo così: è probabile che i disegni di Blutch mi piacerebbero di più se fossero privi di testo.
E allora perché sto qui a farne un poema aggiungendo altre inutili parole?
Perché l'autoreferenzialità è insidiosa e spinge a digitare anche quando sarebbe meglio finirla qui.
E infatti la finisco con una postilla riguardante la fotografia e questo spazio.
Più vado avanti e più capisco che non mi legge praticamente nessuno (a parte qualche familiare affezionato. Meno male che ci sono). E allora perché tenerlo aperto? Forse per combattere la noia di giornate più o meno simili, angustiate da una pioggia insistente e da un'umidità deprimente.
E forse anche per fissare sulla carta, finalmente, chi diavolo sia Blutch. Evitandomi di ricomprarlo un'altra volta (ne ho letti tre, quindi non c'è ragione di proseguire con un quarto).
Meglio Dago, non ho dubbi. Però quello disegnato da Alberto Salinas e dal suo grandissimo erede Carlos Gomez, non dagli emuli venuti dopo, che l'hanno trasformato in un banale e verboso seriale.
Non siete d'accordo?
Dubito che mio padre e mia madre abbiano qualcosa da dire.
Mia sorella nemmeno. Quindi a posto così.
Vado a dormire, che è meglio.
E comunque ho cominciato un BELLISSIMO libro di Flavio Caroli sulla storia dell'arte dal cinquecento in avanti. Non me ne voglia (?) Blutch e Hung Hung, l'autore de "Il treno" insieme con un altro cinese di cui, ovviamente, ho scordato il nome, "veramente di nicchia" (cit dal negoziante che me l'ha venduto) che ho letto e che mi ha lasciato decisamente un po' così.
Sì, sto invecchiando.
Mi metto l'antirughe e dormo, sì sì.

sabato 19 maggio 2012

Dedicato alle ragazze di Brindisi e a tutti gli adolescenti d'Italia


Non ho fatto in tempo a memorizzare tutti i nomi, però le loro facce dubito che potrò dimenticarle in fretta. Soprattutto, non credo che potrò mai smettere di associare le risate e gli applausi carichi di allegria della folla di adolescenti assiepati nell'aula magna dell'istituto tecnico industriale di Fermo, alle ragazze del professionale di Brindisi rimaste coinvolte nel vile attentato di stamattina. Al tg3 sentivo che se l'ordigno fosse esploso qualche minuto dopo, la strage sarebbe stata ancora più grave. Proprio in quegli attimi, infatti, sono soliti arrivare i pullman che conducono le studentesse (la stragrande maggioranza degli iscritti all'istituto brindisino) dai paesi limitrofi. Anche a Fermo succede qualcosa di simile: i più mattinieri, di solito, sono proprio quelli che convergono nella cittadina marchigiana da più lontano, catapultati giù dalle "corriere", come le chiamano da queste parti, con le facce ancora mezze imbambolate. Per svegliarsi e reggere le cinque e passa ore di lezione, l'unica maniera è fare colazione, magari al bar della scuola, come stavano accingendosi a fare, probabilmente, Melissa Bassi, per ora l'unica vittima dell'infame attentato, e Veronica Capodieci, la seconda, mentre scrivo questo post, ancora viva, pur se gravissima, nonostante le notizie ferali di qualche ora fa.
Si può morire a sedici anni in un modo così atroce e insensato?
Abituati come siamo alle cosiddette stragi del sabato sera o tutt'al più ai tragici scherzi della sorte che a volte interrompono vite ancora troppo giovani, non si riesce a credere che stia davvero tornando quella rabbia sociale, direi più pre che post, che quando ero ancora bambina ha "azzoppato" il futuro di molti della mia generazione.
Perché bisogna dirlo chiaro e tondo: chi ammazza in questo modo, non importa se per mano della mafia o del terrorismo nero/rosso o di qualsiasi altro colore, uccide l'Italia e la speranza che possa diventare un Paese normale. Altro che G8, altro che avere le carte in regola. No, egregio professor Mario Monti, il nostro Paese non le ha e seguiterà a non averle  finché non finirà la teoria di commemorazioni e di funerali di Stato in ricordo di morti che tuttora urlano giustizia.
Quanta ipocrisia in questo Paese, quella sì, davvero, non manca. E quanta retorica.
Ero contenta, stamattina, di sentire i ringraziamenti di quei ragazzi conosciuti per pochissimo tempo (solo otto ore di lezione, ciascuna da due), eppure bastevole a farmi trafiggere dai loro sguardi vispi e insieme dolci. Mentre consegnavo a ognuno di loro l'attestato di partecipazione arrotolato come un diploma, ripensavo alla gioia che mi ha dato stare in loro compagnia e ancor di più alla dignità che sono stati capaci di restituirmi, inconsapevolmente, standomi ad ascoltare fosse pure per qualche minuto di seguito.
Tra qualche anno, se tutto andrà bene, Nathalie, Sara, Chiara, Paolo, Mirko e tutti gli altri prenderanno ciascuno la propria strada e io mi auguro davvero di cuore che sia la più luminosa possibile, che facciano o meno carriera, usando la parola che circolava stamattina sulle labbra di vari invitati.
Ma voglio dedicare i fiori che mi hanno regalato alle ragazze di Brindisi: assieme ai coetanei di Fermo e di tutte le altri parti d'Italia, vi scongiuro, provateci a cambiare l'Italia.
Noi quarantenni abbiamo bisogno della vostra energia, della vostra freschezza. Solo così, forse, il sacrificio di Melissa potrà essere, molto parzialmente, riscattato.

martedì 15 maggio 2012

Giulio Brillarelli, uno scrittore di gran classe... nonostante la coppola


Non mi capita molto spesso di chiudere un libro e di restarci male perché è già finito.
Mi è successo invece proprio così con i diciassette racconti di Jack Birindelli, lo sciocco ma tenero pseudonimo dietro il quale si nasconde Giulio Brillarelli.
Conosco Giulio dal 2005, giorno più giorno meno, ossia dagli anni mitici e mitizzati della Voce delle Marche, il settimanale diocesano di cui io ero redattrice e lui collaboratore esterno.
Che fosse bravo, anzi bravissimo, mi era chiaro già allora, quando mi stava accanto a scribacchiare le sue brevi in ciabatte di gomma e camicia hawaiana. Non parlava molto, il nostro validissimo giornalista in erba, ma quando lo faceva profferiva sempre una miscela di stronzate e di genialità che ci lasciavano secchi.
Al contempo, avevo già intuito l'idea che Giulio fosse molto di più di un aspirante collega, ma uno scrittore fatto e finito, giusto un po' naif (lo prendevamo regolarmente in giro per il suo abbigliamento non proprio elegante, infatti. Negli anni è decisamente migliorato: adesso porta la coppola anche a giugno, come lascia trasparire dalla descrizione di un suo personaggio).
Mai mi sarei potuta immaginare, però, all'epoca avesse già scritto la quasi totalità dei racconti che si è di recente autoprodotto con Ilmiolibro.it, intitolandolo Bionde, fantasmi, pasticceri e brutti figli di puffana.
Che risalissero a un periodo della vita ormai lontano per tutti e due (anche se Jack ha esattamente dieci anni meno di me: classe 1981, gli anni di piombo agli sgoccioli), l'ho scoperto solo qualche sera fa, quando Giulio è venuto a casa mia con il nostro ex mentore, il grandissimo e da noi molto rimpianto Giuliano Traini, il direttore di quel piccolo gioiello di stampa locale ahimè mai più ripetibile.
Pure quella sera Giulio se n'è stato zitto per quasi tutto il tempo, ma con gli occhi seguiva i miei sguardi di simpatica presa per i fondelli indirizzati all'ignaro diretùr, dandomi ulteriore conferma della sua sagacia.
La prova più tranciante di quest'ultima, però sono proprio i suoi racconti, in cui l'autore ha alternato stili e lunghezze diverse.
Il tema dominante è, se posso permettermi, tipico di un giovane scrittore, ossia l'amore, inteso come struggimento per la sua mancanza, come innamoramento zuccheroso per la sua presenza (davvero frizzanti Albricorilla e Bionda naturale) oppure incazzato per la fine inattesa.
Interessante la parentesi musicologa dedicata ai nove Greatest hits della sua adolescenza, tra cui (purtroppo!) anche Laura non c'è, ma accidenti se è scritto bene pur trattandosi di una canzone di merda!
E, a proposito di quest'ultima parola, Giulio è capace di scriverne di ben peggiori trasformandole in vera letteratura. Strizzerà anche l'occhio ad altri autori che del turpiloquio hanno fatto una vera e propria poetica trash, ma a me il suo sembra molto efficace e divertente.
Meno (non me ne voglia) mi piacciono le sperimentazioni più ardite, quelle in cui rimescola le frasi, alla maniera di Alessandro Bergonzoni. Ma se davvero è intenzionato ad addentrarsi ancora di più sul sentiero della letteratura dadaista, di certo non sarà questa mia recensione improvvisata a fargli cambiare idea.
In tutti i modi, concludo con quel che gli ho spifferato anche dal vivo: Giulio è uno di quegli autori capace di incollarti alle sue parole facendoti dimenticare che intanto il tempo se ne va e tu non sei più bambina (mi pare di aver letto anche il nome di Celentano tra le sue pagine: e se non c'era, beccatelo un po', tu che ascoltavi - ascolta-VI, vero? - Nek).
Beh, bambina (a parte i 152 centimetri di bassezza) non lo sono più da un pezzo, ma non dovrei essermi ancora rimbecillita (tra poco viene a prendermi l'infermiere, devo fare presto) ed è proprio per questo che voglio concludere la presente nota con una preghiera, accoratissima, rivolta all'autore: vai avanti così, Giulio, tu sei fatto per scrivere e per i lettori che non aspettano altro che di leggerti.
Ci conto, ci contiamo. E beccati anche questa: grazie.

Alessandra Cicalini