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martedì 14 febbraio 2012

Meglio buon weekend o ciao signora?


Sondaggio del giorno, tra i miei pochi lettori: secondo voi, è più inquietante chi infila l'inglese in ogni conversazione (diciamo in ogni scambio di vocaboli) o chi non sa quando e se usare il lei nel modo opportuno?
Personalmente, ho la mia visione, ma siccome c'è qualcuno di mia stretta conoscenza che mi accusa, proprio per via della medesima, di buonismo di sinistra, non la manifesto.
Però, per aiutarvi a comporre la vostra personale scala di preferenze, vi faccio qualche esempio della prima modalità di espressione linguistica e della seconda.
Ai milanesi, diciamo meglio, agli amanti della cultura aziendalista all'italiana, piace molto usare l'English.
Ormai il "we", acronimo di "week end" per i comuni mortali, è la regola dei commiati pre-fine settimana. Che poi sia comunque gentile augurare piacevoli sabati e altrettanto simpatiche domeniche non ci piove.
In tutti i casi, da un po' di tempo, si sente parlare di "we" anche in luoghi in cui, normalmente, l'italiano è piuttosto "unknown", per esempio nello spogliatoio della mia palestra, frequentato massimamente da carinissime ragazze che però non danno proprio l'idea di avere un inglese fluente. E vabbè.
Per contro, c'è la schiera di persone che non sa se darti del tu, del lei o del voi (quest'ultimo ancora in uso sotto il fiume Tronto) e che, per non sbagliarsi, li dà tutti insieme nella stessa frase.
Poco fa, per esempio, proprio mentre andava in onda il mio telefilm preferito per adolescenti con l'ormone in fiamme (e che ci volete fare se sono impazzita), è tornato Giuliano Il Muratore con il giavellotto di bambù e metallo stacca-stalattiti. Mio marito, com'è suo costume, si è rifugiato in bagno con la velocità di un gatto, per cui, come da copione, vedendomi da sola, il nostro eroe dei tetti mi si è rivolto con un "signorina", chiedendomi se per caso non stessi per andare a sciare, dopo aver notato l'inguainante fuseaux indossato non senza imbarazzo dalla sottoscritta.
Nel pormi la domanda, ovviamente, mi ha dato del tu. Dopodiché, per dirmi di scostarmi, onde non essere trafitta dall'affilato accricco (o accrocco? chissà), se n'è uscito con un "stia attenta" o qualcosa del genere.
Infine, compiuta la sua missione, se n'è andato via portandosi dietro il proprietario che anche stavolta ha dovuto far finta di preoccuparsi che non cadesse dal tetto. Sulla soglia di casa, mi è parso di sentire un "ciao, signora". Ciao a te, Giuliano Il Muratore.
Il non plus ultra delle commistioni tra formule di cortesia le fa però il simpatico ragazzotto che mi stampa le foto, da me soprannominato "grazie a lei".
"Grazie a lei" mi dà regolarmente del tu e si ricorda persino il mio nome e cognome: in più di un'occasione ci siamo sentiti anche al cellulare per via di un'emergenza che solo lui poteva risolvermi.
Grazie a Lei è gentilissimo, ma di una squisitezza davvero tenera, e però non c'è niente da fare: tutte le volte che mi saluta, dopo un'intera conversazione amichevole con il tu, al mio "grazie, ciao" di saluto, mi risponde regolarmente: "grazie a lei".
Ok, Grazie a Lei, stai tranquillo, ho capito. Sei convinto che si fa così e a me sta bene.
Invece (ma non mi sbilancio troppo, per non condizionarvi), perché si deve usare "remind" per dire pro-memoria? Perché dovrebbe essere meglio "expertise" di professionalità, esperienza?
Perché dire job-oriented per indicare qualcuno che sta cercando un lavoro?
Insomma, perché, why, non possiamo parlare in italiano quando è più logico?
Sinceramente, a volte mi si accappona la pelle. The skin. Giusto lo scorso venerdì, peraltro, Marco Cicala, un giornalista che scrive molto bene (per i miei parametri) ha preso per i fondelli l'inglesistico idioma delle aziende di alta moda.
Era ora che qualcuno lo notasse e non perché ce l'abbia con le lingue straniere. Anzi, sarei così felice di poterle mettere in pratica di più. E' che fuori contesto, francamente, sono ridicole. E ci rendono ancora più provinciali.
E con ciò ho detto tutto. Forse troppo.
Pensateci e poi datemi la vostra.
Give me your feedback, o yeah, "asap"... che sarebbe, udite udite: "as soon as possible". Ebbene sì.
In tutti i modi, passate un vero happy Valentine. 

7 commenti:

  1. sì, bisognerebbe reagire, ma temo sia una battaglia persa, ormai è tardi. i cretini sono come i telefonini: tutti intorno a noi.

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  2. Proprio oggi Pietro Citati ha scritto un articolo sulle frasi fatte utilizzate dalla politica. Se l'è presa pure con "un passo indietro". Era ora che qualcuno lo rilevasse, anche se mi fa un po' tristezza pensare che la difesa della lingua italiana debba essere lasciata solo ai vecchi. Citati è un intellettuale dalla penna finissima, niente da dire, ma è pur sempre ultra-ottantenne. Possibile che non ci sia nessuno un po' più giovane in grado di alzare scudi contro la banalità sintattica, la sciatteria linguistica e, diciamolo, gli obbrobri italico-dialettali?
    Io preferisco scherzarci su, per non passare da acida maestrina, però, veramente, sono convinta che Moretti (Nanni) avesse ragione: "chi parla male, vive male e pensa male".
    Resisti, Massimo, resistiamo.

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  3. ... resistiamo. poi uno vede celentano, e...

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  4. sono negato per la lingua inglese. ormai me ne sono fatto una ragione. faccio fatica perfino con quella tecnica delle regolette internettiane

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  5. Quindi voti per "ciao, signora", ho capito...
    Diciamo che l'inglese parlato a sproposito è davvero ridicolo, l'italiano infarcito di dialetto, almeno, suscita un po' di comprensione.
    buone ore, grazie della visita!

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I commenti sono moderati: vi ringrazio per la pazienza e per l'affetto. Vostra Madamatap