giovedì 18 febbraio 2016
Stancarsi fisicamente è bello... a Venezia ancora di più!
Negli ultimi mesi ho deciso di essere più diretta in ciò che scrivo, essenzialmente perché ne ho bisogno io, ma anche perché mi sono convinta che per le chiacchiere da bar ci sono altri spazi.
Poi però succede che tocchi un tema sensibile come il lavoro, come mi è successo nel penultimo post, e ti ritrovi a doverti calare nella parte di quella che non crede nella lezione dei nostri padri e nonni.
Non ho mai pensato che il lavoro manuale sia di serie B: semmai, l'hanno pensato proprio i nostri avi che hanno fatto il possibile, con sacrifici immani che io non ho mai sperimentato, per liberare le nuove generazioni dal giogo della fatica fisica tout court.
Mi citava giustamente mio padre l'altro giorno un vecchio proverbio abruzzese sui pastori che pascolano le proprie pecore: solo in quel caso il peso del sudore, della sporcizia e della lunga solitudine passata sui monti non era percepito come tale. Lo stesso pastore, costretto a pascere il bestiame di qualcun altro, di certo sarebbe stato meno contento. E oltretutto, quanti abruzzesi hanno spinto i loro figli e nipoti ad abbandonare i prati montani pur di non vederli gemere di patimento?
Detto ciò, a me spiace, sul serio, di non aver imparato alcun mestiere pratico. Negli anni, certo, ho capito più o meno come si fanno le pulizie, come si stira, volendo, sarei in grado pure di fare biscotti e pane se avessi una famiglia numerosa da crescere e ho un certo talento per il bricolage (salvo bucare pareti con chiodini non adeguati a sorreggere suppellettili eccessivamente gravose).
Se posso dare una mano a spostare oggetti, sollevare pesi, etc etc, sono sempre felice.
Mi piace massacrarmi fisicamente. Il punto è solo uno: quando lo faccio, è per una mia libera scelta.
Chiediamolo ai ragazzini siriani costretti a raccogliere la frutta per i padroni libanesi di cui leggevo stamattina su Internazionale quanto sono felici di alzarsi alle cinque al gelo, un pomodoro ripieno per pasto, e di svenire sotto il sole che brucia.
Trovo terribilmente ingiusto che ce ne siano così tanti nel mondo e che, da questa parte dell'Europa, invece, si stia tentando di affossare una legge giustissima come la Cirinnà solo per manovre elettorali.
Purtroppo, però, qui vivo e qui, salvo improvvisi colpi di testa, resterò tutta la vita.
Come dare sfogo al legittimo bisogno di sentirsi utili per la società con o senza compenso, usando, magari, pure quel poco di fisico che mi è ancora rimasto?
Andando a Venezia al premio Arte Laguna a fare la "assistant" per l'allestimento di uno spazio espositivo all'Arsenale. Oggi ho partecipato a una faticosa riunione telefonica (ah, le tecnologie) organizzativa. Il messaggio che mi è arrivato forte e chiaro dalle organizzatrici è che sarà un "lavoro faticoso". Molto bene: è proprio quello che volevo. Tra le compagne d'avventura (manco a dirlo, siamo in stragrande maggioranza donne), due almeno potrebbero essere mie figlie, ma anche questo è bene. Ho bisogno di confrontarmi con gente in carne e ossa ed eventualmente cambiare di nuovo opinione su qualcosa.
In questo periodo di nullafacenza totale, infatti, quello che più mi spaventa è l'immobilità fisica più che mentale.
Non so come mi sia arrivata la mail che mi segnalava il bando per curare il backstage di questo premio: fatto sta che una mattina me la sono ritrovata lì tra altre newsletter.
Sarà il segnale dei Numi che stavo aspettando?
E chi può dirlo.
Io, comunque, ci sto: ben coperta (pare che all'Arsenale ci sia un notevole freddo-umido) e il più possibile equipaggiata psicologicamente, tra un mese esatto sarò già lì dentro a farmi "schiavizzare" dagli artisti che ne avranno bisogno.
In fondo, ho già fatto una cosa simile, in piccolissimo, a Fermo in quell'ambiente sicuramente freddo-umido (l'ex mercato coperto che vedete sopra in foto) che ho continuato a frequentare negli anni anche dopo il primo da pseudo-assistant.
Una parola inglese, a proposito, che sta all'incirca per custode-assistente allestitore.
Non vedo l'ora, non posso negarlo.
Numi, avanti, continuate così.
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