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lunedì 29 luglio 2019
W l'Italia
L'azienda per cui lavoro è molto organizzata: ogni settimana cambia la nazionalità dei colleghi che devono occuparsi di caricare la lavastoviglie del nostro piano. La piccola lavagnetta che vedete in foto è stata modificata stamattina, come ogni lunedì.
Sapevo già da sabato scorso che sarebbe toccato a noi italiani. Ormai ho imparato che veniamo dopo i rumeni. Se non vado errata, la prossima settimana si ricomincia con gli austriaci, poi di seguito i tedeschi e i cechi. Poi i latini. Dulcis in fundo, noi, con il nostro sole e la nostra dai locali amatissima cucina (salvo chiamarci mampfiosi in una pubblicità che ha fatto storcere il naso a una connazionale expat come me).
Tornando alla lavastoviglie, il sistema, tutto sommato, funziona, tranne in alcuni orari e il sabato, quando restiamo in pochi. Mi colpisce la differenza tra le nostre feste comandate (gli austriaci ne hanno molte più di noi: sarà perché non hanno i Patti lateranensi?). In molti negozi già il venerdì sera ti augurano "schoenes Wochenende" (buon fine settimana) perché, loro, in molti casi, non lavorano o fanno orario ridotto.
Ieri era la prima domenica dopo tanto tempo che passavo da sola. Temevo un po' questo momento, arrivato appena dopo la mia vacanza italiana. Nel complesso è andata bene, merito anche della presenza del mio giovane collega vitale quasi quanto il nipote piccolo (lo è leggermente meno, forse, ma solo perché ha più del doppio dei suoi anni. Non oso pensare come doveva essere a dodici anni).
Le ore migliori le ho passate, nemmeno a dirlo, nel parco di Schoenbrunn. l'unico posto, almeno finora, capace di farmi passare buona parte delle mie paturnie.
Avevo con me Il nostro agente all'Avana, un regalo gradito quanto appropriato al momento. Ho cominciato a leggerlo nella lunga traversata del ritorno. Uno dei soliti viaggi con le due ore di ritardo ormai pressoché di default.
Sono stata contenta di rivedere i gatti, disorientati, almeno credo, quasi quanto me per la mancanza del Bipede (il loro nume tutelare è lui).
Ho fatto il pieno di affetti e incontri, ma, come prevedevo, è stato tutto troppo rapido.
Non so cosa accadrà nei prossimi mesi (nessuno di noi può saperlo), però le crepe non si sono sanate e, come dicevo prima alla gatta grigia da autentica matta quale sono, non voglio restarci, qui, non a lungo, almeno.
Certo, non è neanche una settimana che sono tornata, ma posso effettivamente stilare un bilancio, a un anno dal trasferimento.
Avevo legato con una collega che ha deciso di non confermare il periodo di prova. Naturalmente ogni scelta è individuale e nella sua esperienza ha contato non poco il fatto di essere anche una mamma.
Posso però garantirvi, voi amici che siete rimasti nella nostra povera patria a vagheggiare l'emigrazione verso paesi più civili, che è tutto più complicato di quanto raccontano i giornali nazionali. Non è che vero che basta che prendi un aereo low cost e tutto si può fare. Non avete idea di quanti cavilli burocratici e quante spese bisogna affrontare per sistemarsi in un alloggio per lo meno decoroso.
Non che la burocrazia nostrana sia meno surreale, intendiamoci.
Conti alla mano, non sono diventata più ricca. Certo, neanche più povera. Poco incline come sono ai calcoli ragionieristici, mi sono ritrovata una volta con pochi spiccioli a fine mese e un'altra volta ho dovuto farmi prestare anche dei soldi dal mio capo (oltre che dal mio buon papà).
Ritrovarsi a secco a fine mese è il destino della maggioranza degli stipendiati, lo so, ma faccio ancora fatica a pensare che la vita sia solo una questione di entrate e uscite. E scusatemi se sono stata fortunata e se c'è gente che non arriva nemmeno alla metà, del mese. Vi ho nel cuore, credetemi.
Il fatto è che non ho smesso di fare progetti neanche quando di euro ne beccavo decisamente meno di adesso, ma, appunto, continuo a domandarmi se è valsa davvero la pena mollare casa, papà e amicizie in cambio della mia forza lavoro contrattualizzata.
Sogno ancora, e figuriamoci, ma non sono più quella ragazza trasognata e insieme paracula di prima.
E insomma: staremo a vedere.
Cercherò di forzarmi ancora un po', soprattutto per una questione di orgoglio. E di dignità. Ma sono pronta a rimettere tutto in discussione un'altra volta se continuerò a pensare, come penso adesso, che la vita è una sola ed è davvero troppo breve per passarla lontana dai luoghi in cui ti senti davvero a casa.
A due passi dal mare, il mio adoratissimo e banalissimo mare Adriatico, con la sabbia e le alghe e lo squallore delle case anni Ottanta mangiate dalla salsedine.
Qualunque cosa accadrà, voi vogliatemi bene lo stesso, come io ne voglio a voi.
E w l'Italia.
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