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venerdì 21 febbraio 2020

Forze benevole, avanti così



"Ich muss uberlegen". Devo aver detto così alle due bionde austriache di Radio Max.
Sto parlando ancora una volta del giorno in cui mi hanno comunicato il benservito. Il famigerato 21 ottobre 2019. 
Come ho già raccontato, le fotogeniche (radiogeniche?) emissarie dell'azienda mi avevano prospettato due strade. La prima, secondo loro vantaggiosa, consisteva in questa specie di aspettativa di un anno senza diritto alla conservazione del posto che pare sia tanto utilizzata qui in Austria. L'altra era il licenziamento classico. Da italiana malfidata, ho subito interpretato le due opzioni come un "o te ne vai o te ne vai", ma per gli asburgici, evidentemente, non è uguale.

In ogni caso, nello shock del momento, ho risposto che "ci dovevo pensare".
Quella formula lì, ich muss uberlegen, me l'ha suggerita il mio ex capo. Nei giorni precedenti, non so bene perché, mi ero detta che parlare in tedesco, o almeno provarci, in sede di trattativa sul mio destino di lavoratrice dipendente espatriata, mi avrebbe fatto fare una figura migliore.
Povera illusa. Avevano già deciso tutto, chissà da quanto tempo, poi.

Ma adesso la questione è un'altra.
Avrò detto davvero "uberlegen"? Se me l'ha suggerita l'ex capo, è probabile, nonostante la scarsissima fiducia che ripongo in lui in ogni campo dello scibile umano.

Fatto sta che sono giorni che mi chiedo se ho davvero detto quella frase e pure più volte, inebetita com'ero dalla situazione. 
Non avrò mica per caso detto "uber-denken"? E uber-denken esiste, oppure no?

Che domanda è?, direte voi. E avete ragione, ma mi dovete scusare: credo siano i primi effetti del corso di tedesco, graziosamente finanziatomi dall'Arbeitsmarketservice. Non mi pare vero che siano già passate le prime due settimane di lezioni. 

Posso ammetterlo molto candidamente: sono stanca morta, in queste giornate sono arrivata a casa lessa e spennata. Però sono molto contenta della classe e del prof. Poteva andare peggio e invece è andata bene, forse addirittura benissimo. Ma non voglio sbilanciarmi oltre.

Offuscata come sono dalla stanchezza, faccio ancora fatica a mettere a fuoco il mio stato d'animo. Ogni tanto mi sembra di essere finalmente protetta da forze benevole, ma quando lo penso, quasi quasi scaccio via il pensiero per paura che se ne vadano via di nuovo. Forze benevole, vi prego, no, restate ancora un po' con me, mi dico sotto voce.

Tra i segnali incoraggianti, il più significativo è la presenza nella mia classe di una giovane donna di Francavilla, simpatica e colta. Poi c'è una signora afghana, presumo la persona con l'età più vicina alla mia, insieme con la bosniaca che ho incontrato al test d'ingresso. Siamo noi tre, credo, le più adulte, ma giurerei di essere io la più vecchia. Quindi mi devono portare rispetto, e che diamine.

Tornando alle forze benevole, stamattina, per dire, ho incontrato un farmacista siciliano che mi ha spiegato come devo applicare le goccine sull'occhio acciaccato (l'offuscamento di cui sopra temo dipenda pure dall'infezione, o forse l'infezione è una conseguenza dell'offuscamento interiore? E chi lo sa).

E poi ho scoperto una parola buffa auf deutsch: Ramba - zamba. Pare significhi solletico. Anche i tedeschi ridono. Africaneggiando un po'.

Non parliamo, poi, del coro di cui faccio parte da qualche mese: mercoledì nel tardo pomeriggio sono uscita per andare a prendere la metropolitana, bollita come sempre. Bene: dopo un'oretta di esercizi per la voce e di gorgheggi settecenteschi (stiamo imparando la Missa brevis di Haydn, "nie bedeckt vorher", mai coperta prima), il mio umore è radicalmente cambiato.
Sulla metro del ritorno ho pure conosciuto una signora austriaca che conosce l'italiano, pure lei tornava dalle prove di un coro. Abita a pochissima distanza da me: ci siamo scambiate il numero, a breve ci rivedremo.

Insomma, qualcosa si muove, dentro e soprattutto intorno a me. Ne sono certa e anche se ci vado cauta, sento dentro, a ondate, una leggerezza nuova. 

Sarà per questo che ieri non ho sputato in faccia al mio ex capo, incontrandolo per caso sulla solita metro?

Me lo sono trovato davanti, non ho proprio potuto evitarlo, ed eccomi là a chiacchierarci normalmente, con lo stesso tono che usavo con lui al lavoro. Un tono a metà tra il formale e l'amichevole, distaccato quanto basta, un tono che non immaginavo di saper usare così bene.

Non ho provato nulla, né odio né ansia. Nulla. E questo mi ha sorpreso molto. Nei giorni scorsi mi dicevo: chissà come reagirò quando rivedrò i miei ex colleghi (non ho voluto più andare all'interspar davanti alla radio: le due volte che l'ho fatto mi sono trattenuta il minimo indispensabile e la prima mi sono nascosta tra gli scaffali per non farmi vedere dai giovani colleghi della Repubblica ceca, peraltro molto simpatici).
Magari non li saluto, mi dicevo, certo che no, non se lo meritano, e giù a congetturare possibili strategie difensive.

Invece, niente: tutto scivolato via, evaporato, direi meglio. 
Semplicemente, del destino di quell'uomo non mi importa nulla. Certo, se la radio fallisse, al momento penso ancora che brinderei e credo ancora che potrei avere qualche difficoltà in più con la vice, la collega - mamma, ma chissà. 

Il niente è niente, il vuoto lo si attraversa, poi tutto ritorna pieno e definito. Come il mio occhio quando sarà guarito. 

Avanti così, forze benevole. Aiutatemi a crederci davvero. 


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