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martedì 7 febbraio 2012
Fuga in rosa dall'Italia mammona (e sfigata)
Sapete che vi dico? Ha ragione Cancellieri. Che cosa? Come oso uscire dal coro di dissenso e scherno verso l'ennesima infelice uscita di uno dei nostri governanti?
Perché conosco i maschi italiani. Quelli medi e quelli speciali. Sì, perché la frase pronunciata da quella donna anziana, con la faccia da mamma nazionale, era sicuramente rivolta alle signore di pari ruolo (che poi molte di loro, compresa la ministra, ricoprano posizioni di potere in questo caso non c'entra).
Cancellieri, molto probabilmente, ha figli maschi; o, se non li ha, ce li ha sua sorella o qualche altro stretto consanguineo. I figli maschi vanno vezzeggiati fino a 69 anni, come direbbe Marco Presta (ma pure dopo, in caso di estrema longevità di mammà).
Ed è inevitabile, date queste premesse, che carni delle proprie carni cresciute così poi non abbiano alcun desiderio di allontanarsi (almeno non troppo) dal tetto natìo.
Tutt'altro discorso vale, invece, per le femmine italiane. Almeno, per quelle che hanno avuto la fortuna di andare a studiare fuori, grazie al denaro familiare (nel sud Italia, fino a pochi anni fa, funzionava in questa maniera anche tra le famiglie piccolo-borghesi come la mia) oppure per estrema cocciutaggine e perseveranza (ho una cugina, più povera di me, almeno nell'infanzia, che ha cominciato a lavorare a 19 anni in una banca toscana, ma, nonostante il monotono posto fisso, ha voluto a tutti costi laurearsi, riuscendoci a pieni voti).
E però, dall'altra parte, nella regione in cui sono venuta ad abitare, una magnifica area italiana del centro, fino a qualche anno fa non c'era granché necessità di emigrare per trovare lavoro. Qualcosa di simile succedeva anche in Toscana: non a caso, nella facoltà che ho frequentato io, una di quelle deboli che preparano futuri disoccupati, il grosso degli studenti era del posto o dei comuni limitrofi.
I "terroni", maschi e femmine, erano iscritti per la maggioranza alle facoltà scientifiche.
Se mi baso su quanto osservo qui, qualcosa mi dice che adesso sia cambiato tutto anche lì.
Per lavorare, bisogna per forza allontanarsi dalla mamma. Per andare dove? Di certo non a Milano o Torino, come si faceva una volta.
Chi ha coraggio ed energia dovrebbe imparare il cinese (l'indiano, l'arabo) e andare. Andarsene. Molti lo stanno già facendo.
Tornando in treno dal mio unico viaggio lungo degli ultimi tempi, ho incrociato due giovani, belle ragazze piene di progetti per il futuro. La bionda faceva esercizi di grammatica araba, la mora parlava di Sudamerica.
Ho provato una grandissima invidia per loro. Qualcosa di simile mi è successa di recente nei confronti di un giovane fotografo, da poco ripartito per il Brasile. Per me, quest'ultimo è un "eccezionale" maschio italiano, ma bisognerebbe vederlo alla prova del tempo.
Ne conosco molti altri, infatti, che non si sono mai spostati da casa propria, se non per temporanee, adolescenziali, escursioni verso la "vita vera".
Perciò, Cancellieri, hai ragione tu: visto lo stato deprimente in cui versa la patria, bisognerebbe andarsene via. Per la precisione, dovrebbero andarsene in massa le donne italiane, l'unico vero Made in Italy capace di "riprodursi" anche all'estero. Ho letto dell'idea di una mia cara amica di Milano di aprire un bar a Goa. So che l'ha scritto tra il serio e il faceto, ma penso, con tutta me stessa, che un paese come questo si meriterebbe se le donne che hanno ancora un po' di forza (soprattutto ideale) d'inventarsi un futuro se ne andassero tutte in luoghi in cui quest'ultimo sia ancora possibile.
Una volta partite loro, infatti, si trascinerebbero dietro i maschi italiani di ogni età. Con il rischio, certo, di ri-radicarli di nuovo nella patria adottiva e di tramandare i cattivi usi nazionali agli eredi (maschi).
L'ultima frase è scherzosa. Non c'è infatti niente di sbagliato nell'umano desiderio di mettere radici, per chi lo prova. Come mi ha detto un pediatra che ho intervistato tempo fa, è più che logico che le famiglie di nuova formazione vogliano stare vicino ai nonni: una volta si viveva tutti nelle grandi case familiari, dandosi vicendevolmente una mano nelle difficoltà. Oggi si abita in posti diversi, ma si ha l'identico bisogno di sostegno psicologico e materiale. Anzi. Oggi è anche peggio, mancando un Welfare adeguato a una società (bene o male) avanzata com'è quella italiana.
E quindi? Quindi nulla: la soluzione non cambia. Semplicemente, le donne italiane ancora dotate di coraggio ed energia dovrebbero emigrare e poi portarsi dietro nonne, zii e zie rimasti da soli.
Come si dice, scripta manent: chissà che non mi venga davvero voglia di comprarmi una grammatica cinese.
In ogni caso, spero, con tutto il cuore, che i giovani veri (di certo io non lo sono più: lo dicono le offerte di lavoro, sempre più umilianti, per tutti gli over 35. Peccato che non ne abbia già 55, almeno potrei concorrere per quelle. In verità, io non mi sento vecchia per niente. Anche per questo motivo, fanculo a questo paese che ti fa sentire tale) abbiano un sussulto di orgoglio vero e prendano atto che qui, in questo momento storico, per loro non c'è futuro. Per ricrearlo, dovrebbero mandare a casa questa classe dirigente vecchia (dentro e fuori), a tutti i livelli, compreso il cugino vigile urbano che ti toglie la multa o il sindaco di collequalcosa che ti trova un lavoretto. Finché non usciamo dalla logica dell'arrangiarsi a spese della collettività, infatti, non c'è alcuna speranza che le cose possano cambiare.
E chi non lo capisce (o fa finta di non capirlo) è sì sfigato e mammone.
Perciò, vecchia ciabatta di ministra, non scusarti. Semplicemente, fatti da parte. E con te, si facciano da parte tutti quelli che aspirano, semplicemente, a mettersi al posto tuo senza merito, bensì solo grazie alla spintarella giusta del barone/essa di turno.
Nell'attesa, imparerò tutti i segreti della cucina cino-pakistana.
Ma il curry mi resta un po' indigesto.
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