Lì per lì non ci fai caso, ma da un
certo punto di Lavoricidi in poi diventa chiaro: tra i
quindici racconti contenuti nel libro edito da ComunicationProject c'è un filo conduttore. In carne e ossa, anche se, molto
probabilmente, sotto pseudonimo. Si tratta nientepopodimeno che di
Alfonso (o Lucio o Filippo o quel che è) Maria Marzi, il
raccomandato figlio di papà per antonomasia che riesce a piazzarsi
sempre, e bene, al posto di almeno uno dei personaggi raffigurati
lungo le circa 170 pagine che compongono il volume scritto dallo ZaratanClan,
un collettivo di autori marchigiani genericamente giovani. Alcuni di
loro, in effetti, si possono definire tali anche ai fini fiscali.
Altri, invece, lo sono di certo nella passione che ci mettono nel
narrare le assurdità di un mercato del lavoro che li risbatte ai
margini senza tanti perché e neanche un grazie e nell'orgoglio con
il quale si scuotono di dosso la patente di sfigato o, peggio, di
bamboccione, usando armi possibili solo a gente dotata di cervello e
istruzione (più che qualificata): l'ironia.
A loro ho già dedicato un post a metà lettura, in preda a una crisi di empatia (e di nervi) per
ogni singola parola trapassatami sotto la pelle fino a quel momento.
Come mi ero ripromessa già allora, però, Lavoricidi meritava
qualcosa di più che il semplice commento accorato di una malcapitata
giornalista freelance con la luna storta. Ed è così che li ho
contattati e li ho intervistati. Le risposte sono tutte di Jonathan Arpetti,
uno dei curatori dell'intero progetto. Fa eccezione la risposta sulla scuola, che è
invece di Laura Crucianelli, brillante insegnante precaria,
che è riuscita a dare un nome (anzi: più d'uno, con tanto di
maiuscola iniziale) all'ansia... buona lettura.
Dopo gli affetti (traballanti), il
lavoro (in grosso affanno): chi di voi ha avuto l'idea del secondo
romanzo collettivo?
Francesca Riccioni, curatrice di
Lavoricidi con me e Paolo Nanni, fondatori dello ZaratanClan.
Insieme, abbiamo portato avanti il progetto, curando ogni aspetto,
dalla scelta degli spunti veri da rendere narrativa, al montaggio dei
brani, fino ai crossover,
ossia i personaggi legati a più storie.
Ecco perché Alfonso Maria Marzi
ricorre più volte insieme con altri elementi come l'assurda notizia
di cronaca del suicida disoccupato vestito da ufficiale nazista... come avete
fatto però a dividervi i temi, visto che i racconti non sono tutti
autobiografici?
Dal punto di vista pratico, la formula
più usata è stata interagire attraverso social network e skype.
Ogni autore ha messo sul piatto diverse proposte, che sono poi state
selezionate e catalogate. Alcuni, vivendoli, hanno scritto dei propri
disagi; per il resto, noi curatori abbiamo dato la massima libertà
di scelta tra tutto il materiale pervenuto.
Come sta andando la promozione? So
che siete stati al Salone del Libro di Torino: che impatto ha avuto
il vostro libro su un pubblico non marchigiano?
La promozione sta andando direi in modo
spedito: ognuno dei quindici autori agisce sul proprio territorio di
residenza organizzando eventi e presentazioni, mentre per quanto
riguarda la condivisione on line abbiamo creato un sito/blog, poi una pagina facebook che quotidianamente aggiorniamo con foto,
post sull’argomento lavoro e non solo, e recensioni. Per quanto
riguarda la presentazione al salone del libro di Torino, siamo stati
ospiti nello stand della regione Marche e il pubblico, non solo
marchigiano, ha risposto molto bene.
Quindi anche qui nelle Marche state
suscitando qualche reazione?
Sì: molti giornalisti e blogger ci
contattano per interviste e recensioni, dal momento che il tema che
abbiamo affrontato, nel contesto attuale di profonda crisi economica
in cui viviamo, si presta per approfondimenti e riflessioni.
Tu personalmente avevi partecipato
anche al primo progetto di romanzo collettivo?
Sì, sempre con Paolo Nanni ho ideato e
curato Affetti collaterali, uscito per la Pendragon
quasi in contemporanea a Lavoricidi.
La qualità della scrittura è alta:
qualcuno di voi si è occupato dell'editing?
In prima battuta ce ne siamo occupati
io e Paolo, poi il testo è stato revisionato totalmente da Marta
Tadolti, bravissima editor e redattrice della Comunication Project
che ha pubblicato il volume.
Quanto vi è costato parlare del
disastro sociale e psicologico che stanno vivendo due intere
generazioni? Nel tuo racconto concludi che non vorrai mai più essere
disturbato per cose simili. Immagino sia una provocazione, però non
avresti tutti i torti...
Diciamo che ci è venuto abbastanza
naturale. Con questo romanzo abbiamo cercato di dar voce a chi sta
invischiato davvero in questo disastro sociale, ma non abbiamo voluto
farne un testo di denuncia politica, o un saggio sulle problematiche
del lavoro, bensì abbiamo voluto condividere delle storie vere (rese
narrativa) nella speranza di scatenare dibattiti costruttivi.
Quello che scrivo nel mio racconto è
naturalmente una provocazione… per cercare in qualche modo di
sdrammatizzare. Se ci sarà di nuovo l’occasione, non mi tirerò
certo indietro.
Buono a sapersi... Ho trovato
particolarmente brillanti i racconti sulla scuola: a mio avviso,
valgono molto di più di qualsiasi inchiesta giornalistica sul
precariato che affligge (in verità non da adesso: in questo caso la
crisi c'entra poco) schiere di insegnanti. Secondo voi, perché i
media (nella maggior parte dei casi) non sanno fare altrettanto?
Voglio dire: perché di solito, soprattutto in tv ma non solo, vanno
per la maggiore solo i casi umani?
(risposta
di Laura Crucianelli) In
realtà un po' "caso umano" mi ci sono sempre sentita,
salvo poi, con l'arrivo della crisi, scoprirmi all'improvviso la più
fortunata
tra i precari perché almeno, dipendendo dallo Stato, seppur a
corrente alternata, ho più garanzie di chi lavora nel privato. La tv
cerca di ricreare, secondo me, un certo grado di immedesimazione
attraverso le lacrime. Io penso sia più produttivo, anche se più
faticoso, usare l'arma dell'ironia e a volte del sarcasmo. Perché
toccano non la pancia, che subito si affama di altri "dolori",
ma la testa. Che eventualmente torna sopra alla questione, si pone
domande, cerca, per quel che può, soluzioni.
Purtroppo non sono dotata di
smartphone, quindi non ho potuto apprezzare anche i video: a chi è
venuta l'idea multimediale? L'ho trovata davvero intelligente e molto
contemporanea.
L’idea
del QRcode è di Carmelita Tesone, anche lei membro dello ZaratanClan
e autrice di un brano sia in Lavoricidi
che
in Affetti
collaterali.
In un romanzo, crediamo sia un’idea originale e i molti consensi a
riguardo, ci stanno dando ragione.
Per una non-marchigiana come me che
vive qui dal 2005 non è stato molto consolante rendersi conto una
volta di più quanto si stia avvicinando la prossima emigrazione
in Germania... il vostro lavoro è un esempio positivo del contrario:
quanta forza state traendo l'uno dall'altro per restare nella vostra
terra?
Per quanto mi riguarda non ho mai messo
in cantiere un trasferimento in Germania e credo neanche i miei
colleghi di scrittura. Vogliamo restare nella nostra terra e viverla
nel miglior modo possibile. Quest’esperienza è stata utile, prima
di tutto, per conoscerci e condividere le nostre esperienze… e poi
se è vero che l’unione fa la forza…
Già: se il detto è vero, come spesso
accade con le perle di saggezza popolare, resterò qui aspettando che
“passi la nottata”. Perché dovrà passare, prima o poi.
Grazie allo Zaratan Clan e buona
fortuna. A voi, a me e all'Italia intera.