Lorenzo Viani, Famiglia di poveri |
Da qualche parte devo aver già parlato dello strazzer evocato spesso nella famiglia di mio marito. Si trattava di un tal Masagnana, che dio l'abbia in gloria, trasformato in nomignolo da mia suocera Marisao, quando vuole sottolineare l'ineleganza (vera o presunta) dei figli.
Non mi pare invece di essermi mai soffermata sulla versione chietina/abruzzese dello stesso concetto.
Cengione o cingiune, a seconda della maggiore o minore abilità glottologico-fonetica nel pronunciare il dialetto natìo, è colui o colei che si abbiglia male per ragioni innanzitutto economiche. Ma non solo.
Può infatti essere definito tale anche chi, semplicemente, non conosce le regole del buon vestire, per le fattezze nonché la qualità dei capi prescelti, oppure per una precisa scelta ideologica.
In quest'ultimo caso, però, ci si candida a venir annoverati tra i zezzone, altrimenti chiamati, dalla schiatta generata da Marisao e i loro conterranei padani, vunciùn.
Mi sorge però una domanda, stimolata dal dialogo avuto con mia madre giusto ieri pomeriggio. Quest'ultima ha infatti attribuito a un oggetto le caratteristiche sopradette, lasciando intendere che la medesima parola si presti a più utilizzi. Insomma: si può essere cingiune non solo nell'aspetto personale, ma anche negli oggetti che usiamo nella nostra quotidianità.
L'aggettivo, in definitiva, individua una precisa condizione del vivere; di più: è la sintesi di una vera e propria ontologia, altrimenti detta filosofia di vita. Se si è cingiune d'aspetto, insomma, è facile che siano tali anche le nostre cose; ma potrebbe essere vero anche il viceversa.
Una volta (questo lo ricordo) ho parlato della differenza tra accricco e accrocco.
In un certo senso, entrambi possono far parte della sopra detta ontologia, però è meglio non addentrarsi troppo in queste sottigliezze perché allora dovrei introdurre anche la parola bandone, che indica un oggetto grosso, sgraziato e soprattutto mal funzionante, come ad esempio una vecchia automobile. La nostra Micra è sicuramente l'una (cingiune) e l'altra (bandone), ma immagino che un vecchio materasso non possa essere giudicato anche con il secondo aggettivo. Ed è proprio un materasso che, per l'appunto, mia madre ha apostrofato così.
Il che mi fa pensare che anche quando lo si riferisce a un oggetto, si resta comunque nella sfera intima. Sì a dirlo di una maglietta (o una mutanda) senza elastan, no ad affibbiarlo a un ferro da stiro o ad altro malandato accricco.
Resta comunque il fatto che quando lo si dice di una persona, nello specifico di noi stessi, fa molto più colpo. In questi giorni, per esempio, Sfaccendato e io siamo due cingiune all'ennesima potenza, visto il raffreddore da fieno che ci siamo passati a vicenda. Anzi, per la precisione: io l'ho passato a mio marito.
Oggi tocca a lui non mettere piede fuori di casa, abbigliato come si confà a un masagnana afflitto da voce nasale. A mia volta, anch'io non sono esattamente chic, con la mia tuta cinese e la magliettina non proprio linda.
E tuttavia, per fortuna, non mi sento cingiune nella psiche, riscossa probabilmente da un istinto di sopravvivenza più testardo di qualunque sfiga, interna o esterna.
Forse il secondo tempo sta cominciando.
L'importante è crederci, nonostante l'atmosfera di un presente, non solo personale, che più cencioso non si può.