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lunedì 23 novembre 2015

L'amaxofobia e il cerchio delle nostre paure



La scorsa settimana ho fatto un sacco di cose. Diciamo meglio, alla Moretti, ho girato e visto gente.
In cima agli incontri più significativi, di sicuro, metto quello con la vicina di casa brasiliana. Abbiamo passato insieme un'oretta e più: da quel che ho capito, è abbastanza fuori di testa per riuscire a realizzare ciò che si è prefissa. Non scendo nei dettagli finché non si è chiarito che tipo di aiuto potrei darle. Mi è però molto piaciuto il suo sorriso, uno dei più belli che io abbia mai visto, e il suo gesto con cui ha disegnato, sul tavolino del bar dove eravamo sedute, un cerchio. Al suo interno c'era una persona che conosce: con il dito ha mostrato quanto il medesimo desideri saltare il bordo per uscirne fuori.

Se restiamo all'interno delle nostre vite, accerchiati dal peso delle nostre abitudini, mi spiegava questa bellissima donna, non possiamo combattere davvero le nostre paure. Per sconfiggerle, bisogna uscire (e qui il dito saltava da dentro a fuori) e guardarle da lontano. Da uno di quegli altrove che tutti, chi più chi meno, desideriamo sperimentare almeno una volta nella vita.

Per fortuna che mi ha chiamato, quella mattina. La sera prima, in teatro, mi ero sentita poco bene: poca aria, molta angoscia. Ho deciso di dedicare un breve passaggio al mio malessere, perché ho capito che è arrivata l'ora di uscire dal cerchio delle mie paure/abitudini. Se non le guardo da un'altra prospettiva, non posso annientarle.

Ci ho messo anni per tornare a uscire per strada (pure a piedi) senza temere incidenti mortali per la mia vita.
La prima esperienza in tal senso è in uno dei racconti del passato che trovate sopra.
Quando l'ho buttato giù, ero ben lontana da come sono adesso.
Se ci penso, anzi, ora non sarei in grado di riscriverlo.

C'è troppa letteratura, o presunta tale, in tema di attacchi di panico. Io, poi, non sono sicura di averne mai sperimentato uno.
La mia è angoscia, è morsa allo stomaco che mi fa perdere, per qualche istante, l'equilibrio.
Solo quando guido, ebbene sì, rischio davvero di farmi venire l'ansia. Anzi: mi è successo che mi sia venuta. Pochi anni fa ho scoperto che il mio disturbo è molto più comune di quanto immaginassi e si chiama amaxofobia. Chi ne sa di più di me, forse, saprà anche spiegarmi perché mi viene solo in determinate strade e solo se devo fare qualcosa che mi pesa.

Per dire: se devo andare a buttare la spazzatura alla discarica della cittadina in cui vivo, tutta pianeggiante e scarsamente trafficata, oppure fare la spesa, difficilmente mi succede di entrare in iperventilazione. Se, invece, mi si prospetta la possibilità di andare su in collina su un rettilineo che per tutti sarebbe una boiata, beh, lì c'è il rischio concreto che mi prenda malissimo.

In un paio di occasioni ho proprio cominciato a tremare e sono stata costretta a tirare giù il finestrino e a respirare più profondamente per calmare il battito accelerato, ma nella maggior parte dei casi non mi è successo proprio nulla: il problema è che ti resta sempre l'incertezza che possa accaderti di nuovo.
Per questo motivo, ma non solo per questo, vado in autobus in palestra.

Scavando un pochino di più, forse, potrei sconfiggere del tutto il mio disturbo (credo di essere davvero a un passo dalla soluzione definitiva), ma poi le abitudini e la pigrizia mi spingono a ripercorrere (pure letteralmente) le stesse strade e a usare gli stessi mezzi.
Molte volte, però, mi sono detta: ma se avessi urgente bisogno di partire usando l'autostrada (il mio spauracchio più grande), che cosa farei? Quanto ancora devo aspettare prima di affrontare in modo definitivo il mio problema? Un'altra domanda: è un vero problema o è un alibi per rinchiudermi in casa? Quanto mi fa comodo appoggiarmi agli altri pur di non guardarmi veramente in faccia?
Se trovassi (finalmente) un lavoro serio e dovessi raggiungerlo per forza con la macchina, che cosa farei?
A parole, a quest'ultima domanda, di solito mi rispondo che accetterei e che mi obbligherei a guidare.
Però, appunto, è tutta teoria.

E dire che molti mi considerano coraggiosa.
Ammetto, comunque, di aver già sperimentato di essere capace di accendere, imbroccare la marcia giusta e andare.
Le mie sono riflessioni piccine picciò magari a beneficio anche di qualcun altro.

Ma torniamo alla settimana appena passata.
L'incontro con la vicina brasiliana mi ha aiutato assai a non fissarmi sulle mie lagne autoreferenziali, ma anche a realizzare ancora una volta quanto siano essenziali gli incontri dispensatori di energia.

Il giorno prima dell'episodio in teatro ho conosciuto i membri del gruppo lettura organizzato da una piccola libreria/negozio di musica gestito da una coppia molto interessante.
Sono rimasta stupita dalla passione per la lettura dei partecipanti e anche dalla loro età.
Mi aspettavo di essere la più vecchia e invece, anno più anno meno, mi sono trovata in mezzo a un gruppo di coetanei, non solo di sesso femminile, che ha preferito passare un'ora e più della propria giornata per parlare di libri. L'ho trovato piuttosto stupefacente e ho ascoltato, nonostante la stanchezza, con molta attenzione, ogni loro parola. Proverò a leggere il nuovo libro (scelto dopo dibattito democratico alle undici e mezzo, tutti con la palpebra già a mezz'asta).

Per finire, ho partecipato, sabato scorso, a un incontro di giornalisti per giornalisti.
Sono andata, devo dirlo, con un certo scetticismo (rigorosamente in treno, sia chiaro), ma anche in questo caso, mi sono ritrovata, quasi senza rendermene conto, a prendere appunti, ma soprattutto ad ascoltare attentamente. C'è tanta gente che fa cose meravigliose anche nel mondo che sto cercando di lasciare.

A che servono tutte queste frasi? Solo a dire che per combattere i veleni delle nostre paure (quando capiamo che hanno fatto decisamente il loro tempo), uno dei sistemi è vivere esperienze coinvolgenti. E poi rielaborarle. Dandosi del tempo. Il che significa, in altri termini, imparare a distinguere tra incontri-paravento e incontri di sostanza.
Invecchiando, posso garantirlo, s'impara a riconoscere gli uni dagli altri. Almeno, a me sta succedendo così.

Se in tutti questi anni, bene o male, ho imparato a convivere con la maggior parte dei fantasmi che mi porto addosso, è perché non ho mai perso la curiosità verso tutto quello che c'è al di fuori del mio angusto cerchio. Spero, in definitiva, che capiti pure a voi, se siete nelle pesti peggio di me quanto a fobie e idiosincrasie.

Ieri ho raccontato a una mia vecchia amica le vicissitudini della scorsa estate: essendo poco social, non ne sapeva nulla. Ho davvero apprezzato il suo affetto e mi sono sentita leggera. E pronta a continuare in questa nuova vita, dovunque mi porterà.

Magari a bordo della mia macchina, da me medesima guidata.
Chissà chi incontrerò lungo la strada. Diritta e a quattro corsie.

Aiutooo...
;)