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venerdì 13 febbraio 2015
Andare oltre le bassezze vere e metaforiche. Quess è la sè
"Oggi siamo arrivate in Bassonia: sono alti tutti non più di un metro e cinquanta. Mi sento a casa."
E poco sotto, con la mia scritturaccia da pollo: "UMPF!".
La frase che riporto sopra è di mia sorella. E' tratta da un diario di viaggio (se così lo si può definire) che ho tenuto nel lontano 1991, anno del nostro primo (indimenticabile) giro per la Renania.
Ricordo molti momenti di quei giorni d'estate. Forse anche perché ho riletto quelle pagine svariate volte negli anni.
L'altra sera, nel mio letto d'ottone teatino, ho riaperto l'agendina con la chiusura a lucchetto e la copertina rigida decorata con immagini da scrittoio di tempi ancora più antichi.
L'ho fatto ben consapevole dei rischi che avrei corso.
Ogni volta che mi rileggo, pure adesso, mi sento immancabilmente un'idiota.
Ai tempi lo ero, anzi, meno di oggi.
Questo perché allora, quando scrivevo che "dovevo concentrarmi sul lavoro", avevo più di qualche ragione per dirlo. Sapevo, l'ho proprio vergato, di avere "tutta la vita davanti" e di certo all'epoca non potevo immaginare di far parte di quella che Mario Monti diversi anni dopo ha definito la generazione perduta.
Non ho alcuna voglia (ma per carità) di fare la lagna, in questo momento.
Anzi, dovrei proprio spegnere e fare tutt'altro (magari una doccia: ho dei capelli improponibili), ma non ho resistito. Dovevo passare di qua visti quanti giorni sono passati dall'ultima volta.
Mia sorella mi ha sempre benevolmente (o no? dovrò chiederglielo) preso in giro per l'altezza.
Non me la sono mai presa, giuro. Mi dà molto (MOLTO) più fastidio quando lei (o chi per lei, veramente) mi dà consigli di vita. Soprattutto se non sono richiesti.
Temo di aver ereditato questo tratto un po' ispido del carattere da mio padre.
Ho passato giornate piuttosto pesanti con lui e - purtroppo - per via di lui.
Non è colpa di nessuno, lo so io e lo sa anche lui, ma dopo una certa età le cose si complicano anziché semplificarsi.
Si vorrebbe essere più maturi, più pazienti e invece accade non di rado il contrario.
Ieri me ne sono (quasi) scappata.
In tutta la pesantezza accumulata, però, ci sono stati anche alcuni momenti di verità che prima o poi dovevano arrivare.
Uno di questi è stato proprio la rilettura di quelle pagine antiche, come facevo ai tempi o giù di lì. Da giovane, infatti, mi rileggevo proprio per fissare le cazzate scritte nella memoria e tentare di andare oltre.
Bisognerebbe sempre tentare di andare oltre. Il carattere (come dico spesso) non si cambia, ma a certi comportamenti abusati bisognerebbe mettere uno stop. Quando mi rileggevo, mi autostoppavo. Ecco: mi autostopperò pure stavolta.
Ridendo della mia bassa statura e di tutte le altre mie e altrui bassezze.
Quess è la sè (traduzione libera: questo è), come va ripetendo mio padre sempre più spesso, soprattutto al telefono, con una certa qual (preoccupante e mattonante) gravità.
Però tè raggione (ha ragione).
O no?
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