Visualizzazione post con etichetta maternità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta maternità. Mostra tutti i post

sabato 25 agosto 2012

Cronache dalla spiaggia

Ci vorrà un po' di collagene?
Quel braccialetto di stoffa vagamente etnico è stato strappato dalle onde adriatiche, risibili, certo, rispetto alle potenti spire atlantiche, ma pur sempre forti per una donnetta come me.
Scrivo come strategia anti-afa e per togliere (non lo nascondo) dal primo piano il precedente, cupissimo post.
Non che la mia visione rispetto all'Italia e al presente sia cambiata, ma bisogna pur andare avanti.
La callara (parola di chiara matrice dialettale che non ho intenzione di dantescamente ripulire) non mi ha impedito di pensare, o sarà che, tanto, deliro con qualsiasi temperatura.
Tra gli argomenti per questo spazio mi frulla da parecchio una puntata numero due sulla maternità e sulle madri, ma per il momento lo lascio sedimentare un altro po'. Mi limito a svelare un dettaglio: non sopporto le mamme che parlano solo dei figli, soprattutto quando questi ultimi non sono più nell'età delle prime pappe. Al mare, invece, non ho potuto proprio fare a meno di ascoltare di quei discorsi, ma di quei discorsi. E pensare che si tratta di mie coetanee o di persone anche più giovani. Mi fermo qui. Ci tornerò su.
Passiamo all'argomento numero due: i milanesi (meglio: i lombardi in genere) in vacanza. Tolti quelli (che saranno la maggioranza, certamente) che si fanno gli affari loro e che usano un tono di voce moderato o proprio assente, sulle spiagge mi capita spesso di incontrare varia umanità dall'accento settentrionale che urla e spesso si lamenta dello stato selvaggio dei locali  (qualche ragione ce l'hanno, ma che ci sono venuti a fare, considerato che tornano TUTTI gli anni?). Oppure, colgo negli sguardi di qualche esponente della razza ariana d'Italia un misto di disprezzo e ingiustificabile senso di superiorità. Perché loro, i produttivi connazionali nati (o comunque cresciuti) al di là del Po, nei paesini e nelle valli pedemontane da dove provengono "hanno abbassato la saracinesca" (cit) per un po', ma poi torneranno a rialzarla, ammesso che il governo non li tassi dell'altro. Mentre qui, questi generici terroni si grattano la panza e lasciano tutto sporco, ma di cambiare mentalità proprio non se ne parla.
Devo però aggiungere che un pizzico mi viene anche da gongolare, considerato che le Marche, anche quelle del Sud, non possono di certo essere ascritte all'ex Regno borbonico. E però c'è sempre qualcuno più meridionale di noi con cui prendersela e io, lo confesso, non sopporto di essere guardata (a volte) dall'alto in basso solo perché vengo da Chieti.
E insomma, ce ne ho una per tutti: bella scassapalle, non c'è che dire.
Terzo e ultimo argomento, gli habituè della spiaggia libera dove noi Sfaccendati (ebbene sì, signori del Nord: non c'avemo voja de faticà, come dicono da queste parti) siamo soliti passare le nostre mattine.
In particolare, c'è un tizio sui settant'anni o giù di lì che mi ha incuriosito già dallo scorso anno. Occhi chiarissimi, secco come un chiodo, abbronzatura dorata molto simile alla mia e un tatuaggio non meglio identificato sulla scapola, quest'uomo, tutte le sante mattine, nuota fino alla secca a un centinaio di metri dalla riva, con una sistematicità davvero impressionante.
Prima di tutto si bagna, quando fa particolarmente caldo come oggi, altrimenti, intorno alle undici-undici e mezzo, si tuffa a pochi passi dalla riva e con lente bracciate percorre metà del suo percorso abituale. A quel punto, se ne resta lì in ammollo, qualche volta fa anche il morto, e poi, a seconda forse anche delle correnti, decide se proseguire a dorso o sempre a stile libero. La sua testa pelata diventa così sempre più piccola, finché, talvolta si innalza sulla secca, come ho visto fare ieri da un sub che sembrava camminare sulle acque come Gesù. Con analoga calma, torna indietro, in genere prima a stile libero, poi, a metà strada, a dorso. Anche in questo caso non nuota perfettamente perpendicolare alla riva, come se sapesse che tagliando le onde si fa meno fatica. Una volta uscito dall'acqua, poi, infila le ciabattine e si allontana sulla battigia. Fino a quest'anno non sapevo dove si dirigesse, da poco l'ho capito: va a farsi la doccia al più vicino stabilimento. Forse, dopo, va anche in bagno, ma di solito non a cambiarsi il costume. Come faccio a saperlo? Perché quando torna al suo asciugamano, liscio e perfettamente parallelo alla riva, gli abiti altrettanto perfettamente piegati sopra uno dei lembi superiori, si sdraia di schiena, poggiando i gomiti a terra, la testa liscia reclinata in avanti, e dopo un po' si gira e prosegue con l'asciugatura del lato anteriore. A un certo punto, probabilmente per via del caldo, si calca sulla testa il suo cappellino bianco con la visiera e gli occhiali da sole. A questo punto del rito, so già che saranno più o meno le dodici e trenta. Tra un po' si alzerà e si rivestirà.
Prima, però, riannoda i fili interni del costume, poi si infila la maglia, quindi piega perfettamente l'asciugamano e se è il caso con il quadrato che ne ha formato si asciuga la pelata sollevando un po' il suo cappellino.
Nessun rito riesce esattamente uguale, però. Me ne sono accorta stamattina, quando il soggetto in questione, che io credevo impegnato a riannodare i lacci dello slip, in verità li stava sciogliendo per calarseli giù. Stavo guardando verso il mare, quand'ecco che, voltandomi verso di lui, l'ho visto in piedi, di spalle, con una strana fessura più chiara al di sotto della schiena. Velocemente, devo dire, ho constatato che stava già infilandosi i pantaloncini, ma non ho potuto fare a meno di strabuzzare gli occhi. Anche perché, di fronte a lui, a pochissima distanza dai gioielli di cui sono dotati tutti i maschietti (anche il suddetto nuotatore ordinato), c'era la solita, graziosissima ragazza bionda anche lei abituale frequentatrice di quel tratto di spiaggia. Mi pare che stesse dormicchiando, ma non ne sono certa. In tutti i casi, è facile che abbia richiuso gli occhi non appena intravista tanta meraviglia.
E dire che in altre zone dell'Europa è considerata prassi svestirsi del tutto e rivestirsi dopo il mare. Tuttavia, sono rimasta un tantino spiazzata, più che altro perché non mi tornava con l'idea che mi ero fatta del personaggio. Sarà il caso di osservarlo (sempre a debita distanza) un altro po' per capire se ci saranno evoluzioni. Beh, speriamo di non dover assistere all'arresto per atti osceni in luogo pubblico.
In tutti i casi, vedremo che cosa farà la bionda. Se piazza l'ombrellone da tutt'altra parte o se non la rivedrò più, sarà il caso che prenda di mira qualche altro bagnante per le mie improduttive osservazioni di fine estate.

venerdì 17 febbraio 2012

Un po' di retorica, che diamine


Ormai è ufficiale: mi sto rincoglionendo.
La prova provata è la foto in alto. Nuria Gonzalez recita la parte di Clara nel mio telefilm preferito. Nella puntata di ieri, la professoressa prima di inglese e ora di storia (historia, prego) nonché ex preside, ha compiuto 45 anni e ha preso una decisione importantissima: vuole diventare madre. Delle sue intenzioni parla con Olimpia, professoressa d'inglese nonché ex preside anche lei, nei bagni dei prof.
Quest'ultima si dice felicissima della decisione della collega, la quale però ha un piccolo problema: è single e madre affidataria di Ruth, un'adolescente con già superati problemi di bulimia. Come si risolve la faccenda?
Le strade possibili sono due: adottare un neonato o ricorrere all'inseminazione artificiale.
Ebbene, la prima strada non è praticabile: nell'episodio di oggi Clara è risultata essere troppo vecchia per il dipartimento dei servizi sociali cui ha inoltrato la domanda. Con l'età che ha potrebbe aspirare a un bambino di almeno cinque anni. Ma Clara, che non ha voluto figli quand'era più giovane (o giovane e basta? vabbè, tralasciamo), vorrebbe godersi tutte le fasi della maternità, comprese pappe e pannolini. Tristemente, comunica la notizia a Ruth: quest'ultima, abbracciandola, le prospetta la seconda opzione. O meglio, ho intuito io che andranno a parare da quelle parti dal fatto che nel frattempo Gorka, l'ex fidanzato di Ruth, un piccoletto veramente bastardo, ma solo in apparenza (ha appena messo incinta Paula, la compagna bassetta con cui ha fatto malauguratamente sesso senza protezione, ma è pronto a diventare padre visto che lei non vuole abortire), e Fer, omosessuale dichiarato, vogliono guadagnarsi un po' di soldi donando lo sperma alla banca del seme. 
Sicuramente Clara farà un tentativo con il liquido di Gorka. Sono pronta a scommetterci su.
Comunque vada a finire (prima ho visto su You Tube la scena finale della serie, in cui la Gonzalez ha una pettinatura veramente orrida, mentre Blanca, la prof di lettere, da bionda si è fatta rossa e ha chiaramente scelto Berto, il barista della scuola con precedenti penali, al posto di Martin, l'attuale preside dello Zurbaran), continuo davvero a sorprendermi di quanti temi ci abbiano infilato dentro. Trovo veramente divertente e appassionante come riescano a trattare argomenti scomodi con così tanta naturalezza. La vita è varia e a tinte forti, anche nei momenti più cupi e difficili.
Anche in Spagna c'è la crisi economica e presumo che pure i giovanissimi attori del telefilm oggi saranno alle prese con la disoccupazione, visto che il serial è finito. Certo, peggio staranno tutti gli altri, quelli non famosi e magari più bravi di loro, però, davvero, quel telefilm aiuta a sorridere e a guardare avanti anche un'anzianotta come me.
E se anche non dovessi, come ho già scritto, mai avere figli, mi piace pensare che tutto sia ancora possibile, in ogni campo della mia vita.
Oggi ho finalmente spedito il mio piccolo lavoro di foto-racconto: sarà anche per questo che mi sento così commossa e incline alla retorica da fiction? Può essere, però, per una volta, voglio concedermelo.
C'è sempre tempo per ritornare seri. Basta aprire un giornale per perdere il sorriso.
Com'è provinciale un paese che discute delle mutande di Belen.

mercoledì 4 gennaio 2012

Sulla maternità

Il tipo in primo piano è un artista: si chiama Maurizio Governatori. L'opera sullo sfondo ha suscitato la mia curiosità prima di tutto perché ha sostituito un'installazione con due oche vere che mi aveva lasciato alquanto perplessa; in secondo luogo, per il soggetto raffigurato.
Si tratta di una maternità "negra", ritratta, probabilmente, dal vivo in uno dei frequenti viaggi che sembra faccia l'autore. Da quel che ho capito, Governatori è più all'estero che in patria, il che gli fa onore, considerato l'attaccamento dei locali alla loro terra d'origine. Un attaccamento giustificato dalla bellezza delle colline marchigiane, tuttavia un po' soffocante se privato dell'umano desiderio di allargare i propri orizzonti.
Forse, qualcosa del genere succederà anche ai conterranei della Madonna nera dipinta dal nostro: indirettamente lo conferma Loretta Emiri nel suo libro "Quando le amazzoni diventano nonne", in cui, con molta originalità, l'autrice accosta la propria storia familiare, rurale e povera, con gli usi degli Indios Yanomami, con cui ha vissuto per anni.
Loretta è una piccola donna dallo sguardo lungo: solo una persona dotata di queste caratteristiche poteva compiere un'operazione così azzardata, e cioè sfatare il mito del buon selvaggio e insieme farci rivivere i tempi semplici, ma estremanente duri, dell'Italia della prima metà del Novecento.
La maternità, ai tempi, poteva essere atroce, quando era conseguenza di rapporti ferini, per nulla desiderati, soprattutto dalle donne.
Non so, non posso dirlo, se quella donna nera sia felice o meno della sua pancia esibita e dei suoi meravigliosi seni già prossimi all'allattamento, ma so con certezza che non tutte le donne vorrebbero trovarsi in quella condizione, sotto lo sguardo indiscreto di estranei che ne soppesano le forme.
Loretta Emiri scrive di non aver voluto figli per scelta: dovrò chiederle perché e se la sua decisione abbia a che fare con la brutalità biologica cui è condannata la madre, costretta per mesi a stare alle regole stabilite dalla creatura generata.
Una coppia che mi è molto cara non ha voluto figli per non accelerare, mi ha detto, l'esaurimento delle risorse terrestri. Di avviso simile sono tutti quelli che ritengono la procreazione un bisogno primitivo, l'opposto di una società evoluta, che invece dovrebbe mirare a prendersi cura di tutte le creature, non solo dei cuccioli d'uomo. E in effetti, non è un caso se nei paesi più civilizzati i figli siano diventati sempre di meno.
A volerlo, sono state innanzitutto le donne: per questo, poi, ci sono blogger fintamente provocatori che scrivono che sarebbe meglio che queste ultime non studiassero.
A ben guardare, è proprio così: più c'è cultura, più ci si tiene lontane dalla maternità.
Forse, finito di posare, quella bellissima futura madre nera avrà chiesto all'artista di parlarle dell'Italia, di illustrarle le abitudini di un popolo così lontano, incalzandolo con domande sempre più dettagliate.
Le donne sono curiose, quasi tutte, e quando hanno la possibilità di ragionare con la propria testa, difficilmente si lasciano imporre un destino.
Fare la madre, probabilmente, non è il mio: mi dispiace se deluderò familiari e amici, ma comincio a pensare che sia così.
Sono troppo vecchia e il mio corpo sta scegliendo per me. Prima, ho voluto conoscere, viaggiare, studiare e amare in libertà. Non posso farci niente se ho avuto le possibilità economiche per scegliere chi diventare.
E chi sono? Chi sarei? Una donna abbastanza serena, abbastanza realizzata, sempre desiderosa di scoprire cose nuove, pronta a sperimentare nuovi cambiamenti, nonostante la precarietà e il peso di un futuro sempre meno limpido.
Psicologicamente, oggi sarei pronta a fare la mamma. Avrei voglia di raccontare quel che so (e quello che non so) a mio figlio o mia figlia (o a tutti e due: geneticamente sarei predisposta a generare gemelli!), ma non me la sento di forzare la natura, non lo trovo giusto. Questo sì che sarebbe egoistico e tremendamente occidentale.
Così leggo di altre maternità, di amiche e di donne lontane (Gabriela Wiener ha scritto un bellissimo racconto sul parto naturale nel numero speciale delle Storie di Internazionale), commuovendomi ai loro aneddoti e partecipando alla loro fatica.
Se potessi, darei una mano a tutte le mamme, cullerei i loro piccoli e mi divertirei a giocare con loro. Sono capace di stare con i bambini, me ne sono accorta con i miei nipoti e, anni prima, con il primogenito di una mia amica ormai lontana.
La vita, però, è bizzarra, il destino ancora di più.
Intanto, il sangue rosso, quello che richiede una vera e propria iniziazione tra le donne yanomami, scorre e se ne va, ancora un'altra volta, chissà per quanto tempo ancora.
Quando è comparso la prima volta, con un certo anticipo rispetto alle mie coetanee, sono stata dal dottore: nessuna iniziazione, dunque, ma solida, razionalizzante, medicalizzazione.
E così che va la vita tra le donne acculturate nate nel benessere. Una condizione che sta via via esaurendosi, già, e chissà che non sia proprio l'istinto materno a tenermi alla larga dalla miseria cui potrei condannare i miei figli qualora li generassi.
Se non doveste arrivare, come comincio a credere, sappiate che vi avrei voluto bene. Un bene ancestrale e primitivo, un bene che nessun libro, nessuna storia saprebbe mai narrare.