Il mio vecchio computer ci mette talmente tanto ad accendersi da spingermi quasi a desistere. Anche perché sono reduce da un'ennesima giornata a scribacchiare inezie per guadagnarmi la pagnotta.
Mi accorgo di essere partita subito male. Non ho alcuna intenzione di lamentarmi. Volevo parlarvi della settimana enigmistica.
Ho cominciato a ricomprarla in occasione dei miei lunghi viaggi dall'Italia.
Non riuscendo a completarla nelle quattordici ore di treno (perché almeno una piccola parte la passo a dormire), poi il solitario numero rimane in bagno, con la penna infilzata sulla pagina, a farmi compagnia per diversi giorni. Settimane.
Mi sono appena rassegnata a buttare la copia di fine maggio: non sono riuscita a finire un crittografato, di quelli con le frasi celebri. C'entrava Carlo V, ma ho sbagliato una sequenza di lettere, per cui, via, cestinato insieme con un femminile preso sempre nel medesimo viaggio di ritorno in terra asburgica.
Dopodomani torniamo in Italia, il bipede non lo fa da un pezzo.
Sono giorni che carico questo avvenimento di molti significati. Inevitabile, vista la vicinanza del mio compleanno.
Dopo un giugno di un caldo qui giudicato epocale, da una settimana è tornato il fresco continentale. E il vento viennese.
Sono molto stanca, quindi poco lucida.
Però oggi, tornando dal lavoro, ho riavvertito il senso di estraneità per questi luoghi che purtroppo fatica a passare. Immagino capiti alla maggioranza degli espatriati, ma mi accorgo di quanto sia difficile farlo capire a chi transita in questa indubitabilmente bella città solo per qualche giorno.
E dire che adesso sono meno preoccupata di prima di esprimermi male in questa lingua dura. Se serve lo faccio, l'ho fatto a dire il vero da subito, ma non ho la pazienza necessaria che ci vuole per apprenderla.
Vorrei più risultati, in ogni campo.
Sono stanca di attendere una serenità che fatica ad arrivare.
Emigrare da adulti è complicato.
Ma sono stanca, come dicevo, e conviene intanto partire. Un giorno alla volta, attaccandosi a quel presente di cui parlo spesso.
Se serve, meglio stordirsi un po' per perdonarsi gli sbagli e le mancanze.
Un'altra abitudine di questo primo anno di viaggi infiniti, è l'acquisto di qualche Diabolik nella stazione di Bologna.
Quelli, di solito, li finisco in treno, però. Adesso che ci penso, potrei provare a rileggerli, ma non mi farebbero lo stesso effetto.
Cerco strategie di mantenimento, in tutti i campi, dal fisico che via via si stagiona, allo spirito, lunatico come al solito.
Che effetto mi farà rivedere casa mia? E quella dei miei genitori? E mio padre, i miei amici?
Ce la farò a tornare su più carica?
Guardo le nuvole mobili. I picchi sono andati già a dormire, fino a poco fa li vedevo decollare dagli alberi di fronte. Su un balcone svettano da un grande vaso dei girasoli. Sono giorni che li osservo, sono bellissimi.
Nel giardino dei proprietari c'è una rosa gialla, l'unica, più alta e superba accanto alle altre vermiglie.
Ogni tanto spuntano un paio di bambini piccoli nel giardino confinante con il culetto in vista. Una volta i loro genitori giocavano con le racchette a quel gioco che credo si chiami volano. Mi sembrava la scena di un film, di quelli inglesi con i colori pastello.
E poi mi è venuto da ascoltare Arbore e la sua orchestra italiana.
Mai stata una particolare fan della musica napoletana, ma la nostalgia gioca strani scherzi. E comunque mi ha tirato su.
Il Bipede poi mi ha passato sul telefono un po' di dischi dei Police.
Ieri ho riascoltato "Synchronicity" mentre correvamo. Credo di avere imparato i testi a casa di mia nonna o forse ce l'avevamo anche io e mia sorella.
Anni Ottanta, mio zio ancora giovane, Phil Collins e la sua batteria.
La cameretta con il letto singolo, i mobili di legno pesanti della sala, la vetrinetta con le foto in bianco e nero del matrimonio. La vecchiaia povera ma dignitosa, gli occhi azzurri vispi e il naso di famiglia, il loro e il mio.
Poi mi compare mia mamma in sogno, ma anche nello specchio, nelle foto che mi scatta il Bipede o che mi scatto da sola. Sento la sua voce e vorrei che i legami più forti non si spezzassero mai. E forse davvero non si spezzano, se poi, ripensandoci, li senti ancora qui con te, a così tanti chilometri di distanza, e oltre ogni distacco.
Il freddo improvviso ha trattenuto ancora un po' le rondini. Giù da noi, almeno mi pare, vanno via prima.
Le vedo sotto le nuvole mobili, pian piano taceranno anche loro per la notte.
Tra poco si accenderanno le luci del palazzo di fronte. I giovani omosessuali, presumo una coppia, che fumano spesso nudi alla finestra, in questi giorni non ci sono. A volte mi verrebbe voglia di salutarli con il braccio, ma poi mi vergogno un po', anche per loro, sfrontati come io non sono mai stata.
Ecco, mi sento meglio. Stanca, sfinita e perplessa come prima, ma meglio.
Vi lascio con il mio vecchio avvocato, rivisto ieri con molta tenerezza e sincero affetto. Osservavo la sua pancia e il suo look stazzonato e sorridevo. Mi ha interrotto la telefonata del mio giovane collega, adorabile quanto inopportuno. Ma meno male che c'è, glielo ripeterò sempre. A lui auguro di mantenersi il più a lungo possibile così, vitale, inquieto e superficiale quanto basta per non soffrire mai troppo.
A voi, grazie. E a presto.
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