Visualizzazione post con etichetta #concorsonerai. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #concorsonerai. Mostra tutti i post

lunedì 30 novembre 2015

Nuova vita, nuovo lavoro: give me a chance, please



Se non fosse venuta mia cugina, dubito che sarei riuscita a tornare in quel posto con la leggerezza che, tutto sommato, ho provato.
Cioè, intendiamoci: sono piombata in una delle stanze che ben conoscevo un tempo con un fortissimo scetticismo, alimentato, peraltro, anche da quel che ho sentito lì dentro.
Mi pare di capire, detto in soldoni, che la politica europea e italiana delle quote accettabili sul suolo patrio di migranti non funzioni proprio benissimo e anche se comprendo con tutta l'umanità di cui sono capace che quelli che ci lavorano a stretto contatto abbiano l'urgenza di far sapere quanto male stiano le cose, dubito assai che qualcuno dei presenti all'incontro (me compresa, ovvio) potrebbe fare qualcosa per "squarciare il velo dell'indifferenza", usando una delle noiosissime frasi fatte, circolanti in ambienti sociable.

Insomma: come ho già scritto un po' di tempo fa, non credo (non più, comunque) nel giornalismo sociale. Mi spiego meglio: credo che il giornalismo, se fatto bene, abbia una natura sociale, socializzante e solidale di per sé, senza bisogno di ulteriori aggettivi.
Come farlo bene? Lo dico apertamente: dietro sonante denaro. Per scrivere pezzi seri, fare reportage dal basso o dall'alto, come volete voi, bisogna avere (ma guarda un po') compensi adeguati ed editori veri. Diversamente, si scriveranno, filmeranno, condivideranno chiacchiere o punti di vista limitati al mondo al quale si appartiene e dal quale non si ha il coraggio (comprensibile, abbiamo tutti famiglia) di uscire.
Ma andiamo avanti.

Per fortuna, qualche perla rara si trova pure in mezzo alla monnezza.
Alcuni incontri e alcune informazioni raccolte resteranno nella mia memoria e anche il fatto di aver usato l'auto, di essermi vestita e armata di una corazza immaginaria contro uno dei vari mondi che mi ha rifiutato (o che io non ho accettato), male non mi ha fatto.

Ammetto, comunque, che essere stata platealmente ignorata da gente che ho conosciuto e rivisto negli anni e da uno che appena un mese e mezzo fa mi diceva di seguire con attenzione il mio avvicinamento alla Rai, mi ha lasciato lì per lì esterrefatta. Sono tuttavia ben fiera di non aver ceduto nemmeno per un secondo alla tentazione mortificante di ri-presentarmi.
E, tutto sommato, quel che ho sentito dalla voce e il bel viso di Stefano Dionisi, mentre parlava del suo libro La barca dei folli , sulla malattia mentale mi è stato utile.

L'attore lascia trasparire la sua fragilità: sinceramente non mi è sembrata costruita. Temo tuttavia che il circo delle presentazioni che si scatena quasi in automatico per i vip dell'editoria potrebbe danneggiarne l'autenticità. E trasformarlo in una macchietta.
In bocca al lupo di cuore: il dolore va rispettato. Sempre.

Avrei voluto scrivere anche cose più crudeli e sarcastiche, ma preferisco andare oltre.
Sto cercando di cambiare lavoro, come qualcuno sa già e come vado ripetendo quasi per convincermene del tutto. Specifico meglio (è una nota che sto aggiungendo solo ora): cambiare lavoro significa per me trovarne uno che niente abbia a che fare con il giornalismo (così il mio amico di liceo, che non aveva capito, e come dargli torto, le mie parole, è più contento).

Una cosa del genere mi è successa molti anni fa, quando ho deciso di andare via da Milano. Anche in quel caso, prima l'ho deciso e poi ho cominciato a dirlo, con una certa ingenuità, nei corridoi del giornale che molto generosamente mi aveva elargito un contratto serio (il solo della mia vita, in pratica), scavandomi da sola la fossa.
In questo caso è diverso, perché sono davvero finita giù in fondo a un burrone ed è come se stessi gridando, da molti metri sotto terra, "ehilà, sono quaggiù, mi sentite?".
Quindi, non ho, in fondo, molto altro da perdere.

Semmai, ho da guadagnare. Una nuova vita.
Blogger sfigata (e culturista) chiama Terra. Please, give me a chance.
Sinceramente, me la merito.

lunedì 9 novembre 2015

Murakami e l'attrazione irresistibile per il micro



Non riesco a smettere di leggere Murakami.
La vita di una persona di una certa età è più amara per la maggior parte del tempo, ed è anche per questa ragione che quando si passano ore in appassionata letteraria compagnia, sembra davvero un miracolo.

Ammetto, comunque, che il clima mite di questo inizio novembre mi stia aiutando non poco a mantenermi lucida. A tratti persino incoscientemente positiva.

Ho spedito un po' di curricula. Nella maggior parte dei casi si tratta di candidature che niente hanno a che fare con il percorso seguito finora.
L'avevo detto e l'ho fatto (sto cominciando a farlo).
Secondo la logica buddista di mia sorella (le poche nozioni che ho in materia sono mediate dalla sua esperienza di neo-adepta), già desiderare fortemente il cambiamento, ti predispone su quella strada.

Sinceramente, visto quel che mi è successo con il concorsone Rai, non credo basti la forza di volontà.
A forza di sentirmi dire dagli amici più cari, anzi, che sarei stata adatta a fare tv, che era arrivato il mio momento etc etc, avevo quasi quasi cominciato a crederci pure io. Per cui potete immaginarvi che delusione ritornare alla realtà.
E tuttavia, nel segreto della mia psiche, ho sempre saputo che poteva benissimo non succedere nulla.

Prima dell'estate, anzi, già mettendomi a cercare con sempre maggiore determinazione la casa qui sul mare, mi ero detta che dovevo ricominciare daccapo. Magari il concorsone è stata solo un'utile distrazione.

Ho avuto infatti l'occasione di leggere molti giornali, di riprendere il tedesco, di ascoltare/guardare un sacco di video in inglese, di riflettere sul mondo dei media e poi, ma sì, di divertirmi a fare prove di improvvisazione in video. Alla fine non ho fatto altro che impiegare il tempo in un modo creativo, come, tutto sommato, faccio tutti i giorni. In privato e quasi in segreto, com'è mio uso.

In definitiva, questo del blog, così minuscolo, continua ad essere la mia dimensione ideale.
Poi, sì, ho bisogno di lavorare (come quasi tutti), ma dubito che se fossi uscita dall'anonimato piombando in kafkiani corridoi aziendali, questo mio istinto alla fuga verso il micro sarebbe passato.

L'unica, sostanziale, differenza rispetto a quando ero più giovane è che oggi ne sono consapevole.
Non ho nulla da dimostrare se non a me stessa.
Da me, sempre, cercherò di pretendere il massimo dell'attenzione. Del rigore e della forza.
Queste doti (sì, sono doti) mi hanno comunque permesso di raggiungere il principale obiettivo che mi ero prefissa negli ultimi anni: comprare la casa.

Non vedo perché adesso dovrei tornare indietro.
Quindi, rifacendomi al titolo della foto che vedete sopra, su il sipario.

(Non vedo l'ora di continuare nella lettura stregata).

mercoledì 21 ottobre 2015

#concorsonerai: riflessioni a margine e poi stop, si volta pagina

La sottoscritta nella foto del cv (e della carta d'identità), anno 2011


Riflessione a margine del #concorsonerai: dopo attento e ponderato ragionamento, sono giunta alla conclusione che l'elenco dei 100 eletti andasse reso pubblico. E pure quello dei non eletti, ma sì. Concordo cioè con quanti sostengono - Usigrai compresa - che la privacy di quei vincitori che vi hanno preso parte pur avendo un contratto a tempo indeterminato da qualche altra parte, in questa precisa circostanza, non c'entra proprio un accidente.

Se si fosse infatti trattato di una selezione privatistica o di autocandidature per altrui lidii (e scrivanie) assolutamente più che legittime (in un mondo normale tutti noi avremmo diritto di cambiare lavoro se e quando ci pare: in altri Paesi, pensate un po', succede ancora che ci si possa licenziare per farsi riassumere altrove), allora ok, la privacy aveva una sua ragion d'essere.

Essendo, invece, un concorso pubblico, allora no, diavolo, tutti noi, cittadini semplici compresi, abbiamo il diritto di sapere chi saranno i 100 nuovi eroi della tv di Stato.
Peraltro, la stessa logica della privacy era stata bellamente disattesa, almeno per qualche ora, con la diffusione sul web del gruppo dei 400 prodi (si fa per dire) di Bastia Umbra, la criticatissima sede della preselezione tenutasi l'1 luglio scorso.

Il mio nome (con relativa data di nascita e sesso, ci mancava solo lo stato civile. Lo aggiungo ora: sono femmina, coniugata, nata il 20 luglio del 1971) è circolato non so più per quanto tempo con gli altri 399 prima che qualcuno rimuovesse il file dalla Rete. 
Ho tra l'altro appena scoperto che la stessa cosa è successa a quello dei vincitori finali (cioè prima reso pubblico e linkabile, poi rimosso), quindi, in verità, chi voleva conoscere i nomi di tutti noi, promossi e bocciati, lo sa eccome. 
Pulcinella con i suoi segreti è proprio un dilettante.

Non voglio tuttavia che si pensi che stia solo rosicando (dopo due giorni e mezzo di lutto, ho capito che è l'ora di farla finita con l'auto-flagellazione). E ribadisco il mio sincero in bocca al lupo ai 100 eletti e a quelli che, eventualmente, dovessero essere via via inseriti).

Dico solo che i tempi in cui viviamo meriterebbero maggiore di trasparenza, a tutti i livelli.
E anche assunzioni di responsabilità.

Comincio io pubblicando i miei voti per esteso:
  • redazione e lettura di un testo giornalistico destinato alla TV: 20 punti (massimo 25 punti);
  • redazione e lettura di un testo giornalistico destinato alla radio: 21 punti (massimo 25 punti);
  • redazione di un “tweet” di 140 caratteri: 3 punti (massimo 5 punti);
  • improvvisazione in video su un tema di attualità: 6 punti (massimo 10 punti);
  • prova pratica volta alla verifica della capacità di utilizzo da parte dei candidati degli strumenti informatici utili all’elaborazione di contenuti audio e video: 3 punti (massimo 5 punti);
  • prova di valutazione della capacità di utilizzo del web: 3 punti (massimo 5 punti);
  • test e colloquio di valutazione della conoscenza della lingua inglese: 6.5 punti (massimo 10 punti);
  • test e colloquio conoscitivo e di orientamento, con valutazione anche del curriculum vitae presentato nel formato standard europeo: 3 punti (massimo 5 punti);
  • colloquio di valutazione della lingua diversa dalla lingua inglese, almeno ad un livello intermedio superiore: 0 punti (massimo 3 punti);
  • valutazione dei titoli: 7 punti (massimo 7 punti) così suddivisi:
    • Laurea Magistrale: 3 punti;
    • Voto di laurea superiore a 105: 1 punto;
    • Master e/o Scuole di specializzazione giornalistiche riconosciute dall’Ordine dei Giornalisti: 3 punti.
  • Punteggio totale: 72.5
Posizione in graduatoria: 210

Ho fatto schifo? Sicuramente sì rispetto ai cento in testa alla classifica.
Non è questo il punto, comunque (e in ogni caso il primo degli eletti ha circa 91, mentre il 100esimo circa 78. Insomma, è come se avessi presi 7- - in bella compagnia, tra l'altro).

Il punto è quello che sto cercando di mettere agli ultimi quindici anni di vita, consapevole (ve lo posso garantire) fino in fondo dei miei limiti, errori, responsabilità e sfighe. Ma anche dei miei meriti.
In cima a tutti, il fatto di essere una brava persona. Non dico onesta, perché sennò faccio la fine di quelli che, in nome dell'onestà, hanno fatto la peggiore delle fini (penso pure alla grottesca vicenda di Ignazio Marino).

Ogni tanto mi incazzo (e pure tanto), l'ho scritto pure nel mio profilo senza usare il francesismo, ma su di me si può sempre fare affidamento.
Quindi?
Quindi nulla.
La vita è breve e, ovviamente, andrò avanti.

Concludo con poche parole sulla scomparsa di Maria Grazia Capulli, un famosissimo volto del tg2, di origine marchigiana, bella di una bellezza che purtroppo non ha fatto in tempo a invecchiare (aveva 55 anni, pensavo fossimo coetanee, anzi, che fosse pure più giovane di me).
Se n'è andata stamattina: l'ho scoperto compulsando pigramente Facebook. Stavo stirando, il Ruggito del coniglio era finito e mi sentivo il morale a terra.
Paradossalmente, leggere della sua prematura morte, mi ha dato ancora di più la misura di quanto questa storia del concorso sia piccola cosa.

Spero per lei che abbia vissuto intensamente ogni singolo istante dei suoi anni.
Con tutta la mia confusione personale e professionale, è quello che cerco di fare ogni giorno.
La vita è più importante di tutto. Ed è - accidenti se lo è - irripetibile ben più di qualsiasi contrattino giornalistico.

lunedì 19 ottobre 2015

#concorsonerai, fuori dagli eletti. Con onore



Vi assicuro, non sono depressa. Incazzata, forse, un pochino sì. Di tutto mi rode di più questa cosa: non essere riuscita a entrare nel gruppo dei 100 giornalisti professionisti che varcheranno i tornelli di Saxa Rubra (e di svariate sedi regionali Rai a partire da Aosta, Cosenza, Campobasso e qualche altra che non ricordo) mi costringerà a fare come sempre. E cioè, mai una cena fuori, pochi film al cinema, pochissimi acquisti (alla crema antirughe, però, non posso rinunciare e nemmeno alla palestra: il crollo è dietro l'angolo e le delusioni di certo non aiutano).

Minchia che vita sfigata. Fortuna che abito sul mare e che, tutto sommato, intorno a me non vedo girare molta gente con i soldi, ma davvero, quello stipendiuccio mensile, pure solo per qualche mese ogni tot, non mi avrebbe fatto schifo.
Invece ciccia, si andrà avanti così. Ho da scoprire ancora molto sulla cura delle piante da balcone (da interno no: sennò la grigia ce le fa fuori tutte. Mortacci suoi).

Ma torniamo un attimo indietro al giorno in cui avevo saputo di aver superato la prima fase del concorsone Rai, era inizio luglio, la pelle non ancora rinsecchita dal sole.
Che botta in positivo per l'autostima, accidenti. E che senso di rivalsa sapere di essere andata lì a farmi largo con il mio metro e cinquantadue tra 2.800 persone, con sole due settimane di preparazione rappezzata alla bell' e meglio, dopo mesi in cui leggiucchiavo pochissimo i giornali, assai ben più attratta com'ero (e come tornerò ben presto ad essere) da libri in lingua inglese (mo' ci metto pure il tedesco, tiè), corsette sul mare e svariati impegni familiari (trasloco compreso).

Da quel momento in poi, però, tutto è cambiato. Ho, per l'appunto, realizzato che mi si dava l'occasione, probabilmente irripetibile, di tornare a fare il lavoro che mi ero scelta quindici anni prima, da una posizione un po' meno marginale di quella che ho avuto negli ultimi dieci, mese/anno più o meno.

Risistemandomi il curriculum, oggetto di valutazione (ho appena visto che ha preso un bel 3 su 5 punti) tra gli altri elementi che hanno contribuito a formare la graduatoria finale, ho riletto la mia vita professionale sotto una luce diversa.
Ho fatto un sacco di cose, accidenti. Anche quelle apparentemente meno importanti, come la partecipazione al laboratorio dei pazienti psichiatrici della Comunità di San Girolamo di Fermo, in qualità di volontaria (o aspirante ospite? Scherzo, of course) è stata gratificante e, direi proprio, formativa.

Ho strappato il posto 210 su 400 in graduatoria (accanto ad altri colleghi - ancora per poco - tra cui un paio di donne simpatiche incontrate il giorno del concorso e su facebook), il che, considerati i punteggi che ho riportato nelle singole prove, mi consola parecchio. Studiare a qualcosa è servito, per la precisione a ottenere sette punti su sette quanto a titoli. Però, per me, la lode doveva dare un punto in più (e che diamine), tanto, comunque, non mi avrebbe permesso di entrare in Rai.

E insomma, più scrivo più mi sento sollevata.
Prendere 21 punti su 25 nella prova di radio, per dire, non è poco, considerato che le mie esperienze in materia risalivano al mitizzato stage al gr Rai all'inizio del mio viaggio nel giornalismo (e a poco altro qualche anno dopo, ora che ci penso, con un mio carissimo amico dell'Ifg di Milano, uno che ha saggiamente lasciato perdere il giornalismo diversi anni fa, quando la crisi non era ancora deflagrata).
Mi rode un cicinìn non avere preso manco un punto in tedesco, ma del resto non lo praticavo da tempo immemorabile e solo adesso (nur jetzt!!) comincio a ri-raccapezzarci qualcosa, dopo un'estate di studio matto e disperato (wie schwer ist Deutsch!!).

In inglese me la sono cavata benino (meno di come pensavo, francamente: 6,5/10), ma, ripeto, pure lì, sono sicura che se avessi preso il massimo, sarei stata fuori lo stesso.
A questo punto, spero (francamente, ardentemente) solo che i 100 ammessi siano davvero i migliori.
Lo spero con tutto il cuore perché ho trovato davvero squallido il polemicone sollevato da alcuni di quelli che non hanno superato la prima fase. E poi perché, davvero, di gente brava, motivata e dotata di grinta e di pazienza ce n'è davvero bisogno, in Rai come in altri posti.

Posti, sia chiaro, nei quali non ci si sieda e basta, bensì dotati di sedie con molle molto elastiche in maniera da essere catapultati rapidi nel mondo, per raccontarlo nei modi più rigorosi e originali possibili.
Se i cento entrati alla prima botta (smentisco tutti quelli che dicono che tanto la Rai non li chiamerà mai: non è così, rassegnatevi. LORO lavoreranno presto all'ombra dei cavalli della tv di Stato) saranno in grado di stupire pure me, che me ne starò dall'altra parte dello schermo come al solito, beh, allora vorrà dire che sono dove devono essere.

Da parte mia, continuerò ad ascoltare soprattutto la radio, in attesa di qualche voce nuova che sappia parlarmi con il giusto accento (detesto i conduttori troppo aggressivi, ma pure quelli dalle spiccate cadenze regionali). E se poi nasceranno le newsroom (pare che i tg rai vadano verso un paio al massimo di mega-redazioni), se un sacco di gente con stipendi che personalmente non ho mai sperato di avere, nel frattempo lascerà spazio a qualcun altro oltre il limite dei primi 100 che hanno passato con me l'estate a sperare (preparandosi per bene) in un cambiamento di quelli che davvero ti ribaltano la vita, beh, meglio così.

Dubito, in ogni caso, che lo squarcio nel filo spinato degli eletti si allarghi fino alla zona della classifica nella quale mi sono fermata io: o, se lo faranno, potrebbe, magari succedere tra due-tre anni, ossia il tempo massimo di durata della graduatoria dei 400 aspiranti e non (più).

Io, comunque, non posso permettermi di aspettare tempi così lunghi: nessuno può farlo (potremmo morire per colpa delle emissioni truccate della VW domani mattina), ma tanto meno una che non vede un euro di entrata da mo'.

Quindi adesso che succede?
Non ne ho idea. Come ebbe a dire l'ex sindaco di Fermo (non dico quale) a qualcuno che gli chiedeva forse di piazzargli un nipote: "Checcosa farò".

Per forza.
Grazie, amici, e scusatemi per la lunga assenza.
Tornerò (credo) a essere più assidua.
Scrivere fa parte di me, non c'è niente che possa cambiare questo dato di fatto.

Bis bald (a presto).

sabato 4 luglio 2015

#concorsonerai, presagi di una guerra (ahimè) necessaria


Qualche piccolo segnale premonitore di come dovesse andare a finire l'anteprima di questa storia, lo ammetto, mi era arrivato.
Del nostro amico senegalese Ibrahim detto Rai vi ho già parlato un po' di post fa.
Bene: il suddetto mi ha telefonato il giorno prima della mia gita a Bastia Umbra, nella calura crescente che non ci ha ancora mollati, verso la fiera di Perugia, dove si è celebrato un rito collettivo di biblico sapore.

Sono arrivata al padiglione 7 alle 10 e un quarto. Fresca, relativamente, e determinata a non parlare con nessuno.
Mi sono nascosta dietro agli occhiali da sole di mia mamma (uno dei due modelli che uso abitualmente) e, per i miei parametri, calma, ma anche vagamente incazzata, ho aspettato che facessero entrare anche noi del "varco 10".

Percepivo intorno a me una certa tensione, ma anche una vaga rassegnazione, soprattutto in quelli più vecchi. Come me. O forse ero solo io che proiettavo sugli altri il mio stato d'animo.
"Nella foto ero più giovane", ho detto alla bella moretta che mi ha preso tesserino e carta d'identità squadrandomi bene in viso per essere certa che fossi la stessa persona ritratta nella foto. "Me lo dicono tutti", mi ha risposto dolcemente, facendomi sentire ancora più vecchia e inadeguata.

Ho preso posto in fondo all'hangar di Casablanca - mi domandavo dove avessero spostato gli aeroplani con le eliche (non è vero: me lo sono appena inventato) e mi sono messa in attesa che ci dicessero qualcosa, provando, in verità, un certo imbarazzo intestinale. "Vado o non vado al bagno?", mi domandavo, sempre più incupita con me stessa per il corpo che in quest'ultimo periodo sta facendo un po' troppe bizze.

Alla fine ho resistito usando la mia solita strategia anti-stress: ho scambiato qualche parola con la ragazza alla mia destra, faccia concentrata, aspetto gradevole. "Però con la V fanno presto ad arrivare a noi", dice commentando l'estrazione della prima lettera del cognome dalla quale partiranno per la seconda (e terza) prova.
Chissà se anche lei aveva il presentimento di potercela fare. Chissà se ce l'ha effettivamente fatta. Ignoro come si chiami. Dopo la prova non ci siamo neanche salutate. Meglio così. Troppa confidenza crea solo mala creanza. I detti di una volta hanno il loro perché, date retta a zia Alessandra.

Uscita, mi sono allontanata il più rapidamente possibile dalla fiera, il Bipede tra i coniugi, compagni etc etc in impaziente attesa. Si schiattava di caldo e lui non sopportava nessuno (in particolare i candidati che avevano già finito la prova), dev'essere stato uno sforzo non indifferente farmi da body-guard in questa circostanza. Io, in tutta risposta, mi sono mangiata senza battere ciglio la metà del suo panino direttamente in macchina, manco il tempo di raggiungere un luogo più ameno.

Ma torniamo per un attimo a Rai: mio nipote piccolo, almeno fino all'anno scorso, tutte le volte che lo vedeva gli domandava: "Ma sei Raiuno, Raidue o Raitre?".
Me ne sono ricordata quand'eravamo già a casa, risvegliandomi dal riposino della nonna.

No, non può essere, mi sono detta, riscuotendomi.
E invece è.

Per cui adesso, alla vigilia delle 44 primavere, mi aspetta un'estate di matto studio, con l'assoluta consapevolezza che sarà una vera guerra.

Qualche giorno prima della prova, mi sono iscritta al forum dei candidati su Facebook. L'ho fatto pensando che potessi ricavarne qualche indicazione utile sia su cosa studiare sia sui problemi logistici eventualmente riscontrati da chi era già lì.

Di informazioni ne ho ricavate parecchie, devo ammetterlo, ma su aspetti che non mi sarei mai immaginata.
Per esempio, su quanti siano i professionisti più o meno a spasso, ma questo era, in fondo, scontato.

Tra i molti rosicamenti di chi non ce l'ha fatta, ho notato anche quella tendenza tipicamente italiana al complottismo.
Sinceramente: perché sprecare le proprie energie a interrogarsi su come siano stati redatti i quizzzzz, sui cognomi illustri di quelli che sono passati e sul fatto che tra quelli che ce l'hanno fatta diversi non hanno mai fatto tv?

Una persona ha giustamente fatto notare quel che è: i 400 selezionati si prenderanno a coltellate solo per essere nel gruppo dei 100 che andranno a formare una graduatoria dalla quale si potrà (forse) pescare entro i prossimi tre anni per contratti a tempo determinato.

Detto in altri termini: io potrei (sempre che lo passi) ritrovarmi ad avere il mio primo contrattino in Rai a - minimo - 47 anni.
E nel frattempo che faccio? Forse la colf, che manco mi riesce, la stiratrice (mmmh), la daddy-sitter (quello lo faccio abbastanza bene, pare).

E infatti tra gli amici che hanno declinato il gentile invito al party umbro, ce n'è più d'uno che ha ridato un'occhiata alle proprie priorità, dicendosi: ma figuriamoci, non c'è neanche da bere.

Scherzosamente, una delle mie ex compagne di casa dei tempi (poetici, per forza di cose, visto che sono lontanissimi) della scuola di giornalismo, mi ha detto che vuole "il primo stipendio" come pizzino. Mi ha fatto davvero ridere. Speriamo (nel caso) di arrivarci per lo meno prima della menopausa.

A beneficio di chi non conosce tutta la mia storia, comunque, io in Rai ci sono stata, ed è anche per questo che mi fa una certa impressione pensare di rientrarci fosse anche solo per espletare fino in fondo il mio ruolo di candidata.

I miei primi stage sono stati a RadioRai. Poi ne ho fatto uno nel programma di Enzo Biagi, al quale è seguito un contrattino.
In seguito ho preso altre strade, ma in questi giorni mi sono ricordata di come ero e di come non sono più.

Il mio cognato tedesco ha fatto un'osservazione giusta: forse, ha detto, neanche la Rai è più quella di quindici anni fa. E già. Bisognerà adesso capire in che modo siamo cambiati lei e io e se possiamo eventualmente andare d'accordo.

Finisco con un altro segno premonitore, stavolta auto-indotto.
Lungo la strada per Bastia, non so come, mi è venuto in mente Francesco Guccini.
Mi sono ricordata in particolare della canzone che si chiama Autogrill (ecco perché: ne abbiamo agognato uno per parecchi chilometri per necessità fisiologiche. Bisognerà che avvisi gli addetti ai candidati di mettermi a disposizione un pitale, mentre svolgo le mie prove. Sennò pannolone e stop).

Mio marito detesta tutta la musica italiana, per cui, snobbandomi, ha subito commentato: "Che palle".
Io gli ho ribattuto che uno dei brani inediti di Tracker del nostro amato Mark Knopfler (per la precisione My heart has never changed) parla più o meno di quel che dice il Guccio nel suo. Certo, musicalmente siamo piuttosto agli antipodi, ma io, sotto sotto, al Francescone nazionale sono affezionata per ragioni sentimentali.

Bene.
Una delle domande del quizzone era: Chi ha composto l'album live "Tra la via Emilia e il West". Guccini, ovvio.
Un sacco di candidati l'ha cannata. Io no.

Non vi dico (ma sì: ve lo dico) che errori del C. ho fatto io.
Le Déjeuner sur l'herbe? Ovviamente è di... no, mi vergogno troppo se vi rivelo quale risposta ho segnato. Mamma mia. Mamma Rai mia.

Però, a parte qualche svarione davvero imbarazzante, mi sono riconsolata: farmi studiare, alla fine, a qualcosa è servito.

Adesso sono, come dicono gli spiritosi, volatili per diabetici.
Spero solo che mi passi questa dannata febbriciattola psicomatica.
L'avevo detto io che sarebbe stato meglio se non mi convocavano.

Il buon Rob Brezny, quello degli oroscopi di Internazionale, sostiene che devo, una volta buona, agire non da cancerina. E' una parola. Alla preselezione - ebbene sì - ce l'ho fatta, ma mo'?

Mo' vediamo.
Intanto mi godo, per così dire, ancora per qualche ora il meritato riposo (indotto dalla febbre, ahimè).

E poi
à la guerre comme à la guerre.

Chi l'avrà detto?
Meglio che controlli, va.
Per il prossimo quizzone, stavolta da Gerry.

giovedì 2 luglio 2015

Mondo operaio, la vera cronaca del trasloco più lungo della storia



E niente, da quando vi ho promesso che mi sarei di nuovo fatta viva con la seconda puntata di Mondo operaio, sono successe talmente tante altre cose che, davvero, se non la scrivo subito, non la scrivo più.

Torniamo a quel lontano (issimo) giorno di fine maggio. Il 29 maggio, per essere precisi. Svegli dall'alba, noi bipedi (e inconsapevolmente i quadrupedi) immaginavamo che la giornata incipiente sarebbe stata lunga. Non potevamo tuttavia sapere quanto.

Partiti gatti e marito, mi sono messa in attesa abbastanza zen dei traslocatori. Ci avevano assicurato che sarebbero arrivati alle otto in punto. Si presentano mezz'ora dopo, ma comunque mi avvisano e io, tra me, democratica come sono, mi dico: "e vabbè, un ritardo ci può stare. Sono tanto giovani. Ieri sera forse hanno fatto tardi".

Salgono e cominciano a lavorare all'apparenza con grande alacrità. No, l'alacrità è autentica, ma nel mio animo liberal fanno capolino i primi dubbi. "Ce la faranno a portare tutto entro le 16, termine massimo per l'occupazione del suolo pubblico, da me salatamente pagata?".

No, perché, a naso, continuo a rimuginare, a che cosa serve ammucchiare tutti i pacchi davanti al portone, nemmeno se stessimo allestendo una bancarella da rigattiere, se prima non smonti i mobili?

Diverse ore dopo avremmo avuto risposta al mio, in quel momento, affiorante quesito.

Ed era: certo che avrebbero dovuto innanzitutto smontare e rimontare i mobili e solo in un secondo momento occuparsi di pacchi e valigie.

Imbufalita come un leghista (si cambia facilmente ideologia quando si è sfiniti), ho ancora fissa nella memoria l'immagine di me stessa che sposta pacchi da una stanza alle altre della casa nuova, per fare spazio ai nuovi che i collaboratori del giovane capo azienda continuavano a portare di sopra.

"Signora, lei deve seguire me: dove vanno queste cose?". Mi dice a un certo punto uno dei facchini (perché di questo stiamo parlando. Detto, naturalmente, con il massimo rispetto per la categoria: il problema è che a noi non servivano dei facchini, ma degli operai specializzati in traslochi).

Furibonda, gli borbotto, spostando a mia volta tre-quattro borse alla volta, "di qua, di là", e via discorrendo.
Resosi conto del mio stato d'animo, forse per tentare di rabbonirmi il suddetto facchino commette però un gravissimo errore: prova a fare lo spiritoso.

"E se avevate figli quanti pacchi avevate?". Non reagisco. Ma lui, dopo poco: "Fai la professoressa, signora? Vedo che hai tanti libri". Mia risposta: "No". Secca come una delle mie piante tra breve.
Più avanti: "Ma ve c'entra tutta sssa roba? Pare tando piccola ssa casa".
Sento che dalle narici mi esce qualcosa, del genere fumo sulfureo: "Veramente sono ottanta metri più quindici di soffitta", acida come gli yogurt 0,1.

Finito il "passamano", anzi, lu passamà, come definiscono il passaggio di mano in mano degli scatoloni lungo le scale della palazzina nella quale viviamo dall'altro ieri ufficialmente pure per i vigili urbani, si pone il problema di come (e quando, visto che nel frattempo si sono fatte le dieci di sera) montare la cucina.

Perché, fino a quel momento, l'unico ambiente che i nostri eroi sono riusciti, pezzo più pezzo meno, a riprodurre è la camera da letto. Circondata, anzi, sommersa, dai pacchi che ho dovuto spostare dall'ingresso per far spazio alla varia mobilia pressoché tutta smontata.

Ve la faccio breve.
In questo modo.
Vrrrrrrrr... (suono del trapano, ndr, ripetuto anche più avanti), non gebbbocca ("non ci entra"), vrrrrrrrr.... non iiira ("non gira"), vrrrrrrr, nongebocca, non forzà.

Nei giorni seguenti il bipede è andato avanti con questa litania in vernacolo shtrittu shtrittu svariate volte al giorno. Impossibile scordarlo.
Non sapevo che esistesse la sordina per il trapano, comunque. L'ho scoperto quando, verso le 23.30 circa, il gruppo residuo della provetta squadra ha cercato, effettivamente con sforzo sovrumano, di terminare il lavoro della cucina.

Ce l'hanno fatta, secondo voi? Ma quando mai.
Sporca, tesa, pronta pressoché alla jihad anti-operaista, io comunque, per evitare di scagliare la fatwa su qualcuno, a un certo punto ho rifatto il letto tirando fuori lenzuola e coperte dalla valigia, che mi ero prudentemente preparata all'inizio dell'infinita giornata, e me ne sono andata a dormire.

Per tutto il giorno, peraltro, il marito, in genere polemico e puntuto, si era quasi arrabbiato con me nel vedermi a mia volta polemica e puntuta. A un certo punto, anzi, abbiamo pure un pochino discusso. "Ma insomma, dovevano pur mangiare!". Ma certo, ma figuriamoci. Non sia mai che mi svengano sulle scale (rallentando ulteriormente il lavoro), ma, forse, dico forse, una pausa pranzo di due ore circa è un po' troppo. O no?

Alle 15, infatti, quando tornano a Fermo dove ero rimasta in solitaria attesa da mezzogiorno in poi, praticamente me li sono mangiati (anche perché, al contrario loro, io ero quasi a stomaco vuoto).
Nell'attesa, naturalmente, avevo portato parecchie delle nostre cianfrusaglie sempre nell'androne del gentilizio palazzo fermano, mutatosi del tutto in un bazaar, con il risultato di procurarmi pure una infiammazione al ginocchio sinistro e varie vesciche ai piedi (le all stars sono le scarpe più anti-anatomiche del mondo).

Ma pazienza: sono una che sfacchina (la prossima volta mi faccio ingaggiare da loro, per la precisione voglio lavorare ai comandi di quello che s'impicciava dei fatti miei di cui sopra. Così se lo ammazzo è per legittima difesa).

Il giorno dopo, oltretutto, l'incazzatura mi era già passata.

Sapete chi nel frattempo è diventato nero nero? Il nostro Bipede, of course.
L'ira (iiirante come le balle) gli è scattata quando si è accorto di come avevano rimontato la cucina: cappa e fornelli da una parte, il forno dall'altra.

Non ci ha visto più.
Alle otto (eravamo svegli, facendoci largo tra i cartoni, tipo dalle sei) ha chiamato il capo-banda e gli ha fatto una lavata di testa che riesco solo a immaginare.
Sì, perché ha preferito uscire ben sapendo che sennò mi sarei ri-imbufalita nuovamente.

Il trasloco, sulla carta "fattibilissimo" (cit), alla fine è durato cinque giorni, intervallati, peraltro, da altre piccole disavventure, tipo il tubo della lavatrice attaccato male (leggi: non attaccato), del quale mi sono tristemente accorta solo quando, ovvio, avevo mandato un lavaggio a pieno carico.

Il buco in più nel bagno, che sta ancora lì, quando tentavano di montare (vrrrrrr....) i pensili della cucina.

Non torno sul capitolo elettricisti, ma giorno dopo giorno, ho notato che, ok le canaline, ma qualche presa in più me la potevano pure mettere.

E insomma.
La mia cronaca forse poteva essere più leggera di come non l'abbia buttata giù.
Ma sono ancora piuttosto stanca. E stavolta la casa non c'entra.

O meglio: c'entra, perché comprarla mi ha spinta a ritirare fuori il mio (scarso) super-ego, ossia a partecipare alla preselezione del concorso Rai, ribattezzato dai colleghi #ilconcorsone (c'era pure una domanda su che cosa sia l'hashtag, il che, tutto sommato, ha pure un senso).

Sono combattuta se scriverci su qualcosa. Se lo facessi adesso, sarebbe di una cupezza sconfortante, quindi lascio correre. Vi linko giusto Luca Fazzo, infiltrato (per sua fortuna) per il Giornale.

Vi dico solo che, come il trasloco, che ormai mi sembra già un ricordo lontanissimo, pure l'esperienza umbra sarà presto un ricordo.

E d'altronde: vrrrrrrrr, 2.800 candidati per 100 posti a tempo determinato?
Nongebboccano.