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lunedì 11 gennaio 2016

Reinventarsi senza eroi, ma con lo sguardo fisso lassù




Ok, d'accordo: bisogna attaccarsi al presente. Peccato, però, che il presente faccia obiettivamente piuttosto schifo. Non voglio unirmi al coro generale di cordoglio per la scomparsa di David Bowie, semplicemente perché conosco troppo poco la sua musica per poterne parlare in modo sensato.

Di certo, non lo nascondo, il video di Lazarus, il pezzo dell'ultimo disco Blackstar uscito solo l'8 gennaio, giusto il giorno del suo compleanno, poco prima di dire addio alla Terra (e ai suoi cari), mi ha fatto un certo effetto.
Doveva essere, resterà per sempre, un'icona di fascino e di sensualità difficilmente replicabile.

Vi dirò, peraltro, che l'ho trovato particolarmente irresistibile nel concerto di Berlino (sopra Heroes da quel concerto) di cui oggi molti parlano, quello del 2002, in cui il Duca Bianco, come lo chiamavano, era poco meno che sessantenne. Non so se capita solo a me, resta il fatto che trovo assai più interessanti gli uomini (e le donne) con qualche segno del tempo sul corpo piuttosto che gli sbarbatelli muscolati.

Certo: ho appena visto due pezzi cantati da Bowie nel 1973 e beh, era uno spettacolo per gli occhi e non solo, pure allora.
Sarà forse che per molti come me che si approssimano alla mezza età a grandi falcate è ancora urgente avere qualche modello di riferimento, qualche eroe in cui credere. Qualcosa o qualcuno, se possibile, che parli anche del futuro, del nostro e di chi verrà dopo di noi, e non di un passato che - come quello di Bowie e di quelli che avevano vent'anni o poco più come lui negli anni Settanta - comunque non ci appartiene.

E' dura invecchiare senza eroi, ve lo garantisco. E lo è tanto più se non si accettano quelli precotti (direi decotti) musicali, letterari e politici che la stragrande maggioranza del mondo social (banalmente, semplice evoluzione tecnologica delle piazze e dei bar della stra-provincia nazionale) continua ad accreditare come tali per pavidità e/o opportunismo.

Ma va bene così: meglio essersi accorti per tempo del grave rischio che si stava correndo.
Tolti di mezzo preconcetti e pensieri artefatti, però, che si fa? Come si vive? E chi lo sa.

Di certo, mi ci vorrà un po' di tempo per rimettermi in una qualche carreggiata.
Perché se dovessi basarmi sulle offerte di lavoro che quotidianamente mi segnala Infojobs (verso l'1 di notte, giusto per farmi venire l'ansia, casomai a quell'ora sbirciassi il cellulare: fortuna che non lo faccio mai), adesso dovrei stare già giocando i numeri che mi vengono spesso in sogno.

Ho provato - giuro, l'ho fatto proprio ieri in vista di questo post - a restringere il "campo dei miei interessi", come mi suggerisce uno dei portali per la ricerca del lavoro più gettonati in Italia, ma niente, i risultati restano più o meno gli stessi.
Ve ne faccio qualche luminoso esempio.

L'incipit della mail è sempre lo stesso: "Ciao, Alessandra. Ecco le offerte di lavoro selezionate per te, sulla base delle tue preferenze". Bene: oggi da Fermo mi segnalano una posizione come "carrellista settore cartotecnica". Lo preferisco, secondo voi? La domanda, ovviamente, è retorica. Ma andiamo avanti.

Nella provincia di Ancona, mi si prospetta un attraente futuro come carrozziere, oppure, in alternativa, come aggiustatore meccanico di stampi (basta cambiare la i con la a finale, ed ecco spiegata la ragione di questa segnalazione). Se proprio non dovessero bastarmi, potrei sempre propormi per fare il cuoco, il lavapiatti o, udite udite, l'addetto alla fonderia. Eh, ma quante ne vorrò ancora? Ah, ecco: cercano anche un addetto alle pulizie. Ok, quelle, tutto sommato, le faccio sempre a casa mia, magari mi prendono.

Apro l'offerta. E no, non mi prendono: cercano gente iscritta alle categorie protette, che però sappia usare macchinari per la pulizia di tipo industriale. E vabbè, meglio non commentare sennò faccio adirare qualche seguace del politicamente corretto.

Tra i miei mestieri preferiti, c'è quello del fresatore: me lo propongono molto spesso. Dovrò pensarci su. Se fossi stata un po' più grossa (sono muscolata, vero, ma pur sempre femmina e pure tappa), potevo candidarmi come vigilante: mi ci vedevo con la divisa.

E insomma: Infojobs (ormai è sicuro) non mi trasformerà di certo in qualcosa che non sono. Mi piacerebbe tuttavia sapere se a qualcuno è servito. Davvero: c'è qualcuno tra voi che ha trovato lavoro grazie a questo portale o altri? O vale la solita storia del passaparola? In fondo, anche per trovare casa, alla fine, sono serviti innanzitutto i miei occhi cecatelli, grazie ai quali ho visto il cartello vendesi su quello che sarebbe diventato il mio balcone.
Non mi vorrete forse dire che tutta sta' tecnologia è solo un grande specchietto per le allodole e che il lavoro si continua a cercare col solito sudore e consumo delle scarpe? Ma allora di che parliamo quando ci dicono che dobbiamo smetterla di girare e invece di telelavorare? O pure questa faccenda qua è già passata di moda, come credo?

Tolta l'ovvia considerazione sulla fine già giunta non da mo' del mestiere del cronista con taccuino, lapis e cappello sulle ventitré, come lo si vedeva nei film in bianco e nero che tanto mi piacciono, si avrà pure il diritto di ricominciare in qualche altro modo, utilizzando, sperabilmente, le competenze e le esperienze comunque accumulate anno dopo anno?

Sono davvero curiosa (ma mica vero) di leggere il resoconto dell'incontro organizzato domani a Roma dal gruppo parzialmente aderente alla Federazione nazionale della stampa italiana, tale Lsdi, acronimo, piuttosto emblematico, che sta per Libertà di stampa, diritto all'informazione, sulla sfiga generalizzata della maggioranza dei giornalisti freelance.
Secondo i dati raccolti dal gruppo, infatti, pare che ben il 64% e passa dei giornalisti italiani eserciti (per così dire) la professione da freelance, ossia senza un contratto o, se vogliamo essere più eleganti, come autonomo. Bene. Anzi, malissimo: perché di questi ben 4 giornalisti su 10 sono come me, ossia a reddito zero.

Giuro: non voglio lamentarmi. Ho scelto da sola di allontanarmi dalla grande città etc etc, ma resta il fatto che così non si può andare avanti. Chi può, davvero, impari a fare il fresatore. Tutti gli altri, ciccia, imparino, se già non l'hanno fatto, a mutare prospettiva.
Io ci sto provando, giorno dopo giorno, e non da adesso.

Tanto per fare un esempio: sto continuando a studiare tedesco e a leggere/ascoltare l'inglese. Soprattutto, leggo libri (pochi giornali) e cerco di concentrarmi. Su cosa? Su tutto ciò che mi regala la giornata, dall'ora di palestra al telefilm della sera. Sui riflessi del mare e del cielo, sul vento improvvisamente caldo e pure sulle mie mani sempre un po' martoriate. Se posso, condivido le stronzate che scrivo e che fotografo. Cerco, al contempo, di non essere troppo dipendente dalle tecnologie, perché dopo un po' che sto qui a digitare o, peggio, con il collo piegato stolidamente sul dannato smartphone, mi prende un certo mal di vivere.

Vorrei più cultura, più bellezza, più arte, più poesia in queste giornate di "reinvenzione". Per questo, poi, se se ne va uno come Bowie, di cui, ripeto, so pochissimo, mi intristisco pure io.
Fortunato lui e quelli come lui che sono passati alla storia. Che grande privilegio (e spesso dannazione) hanno avuto.

A noi umani normali tendenti allo squallido anonimato non restano che poche tracce di quelle stelle eterne. Cerchiamo solo di tenere lo sguardo fisso lassù. Così, almeno, ci sentiremo più leggeri.
Ciao pure a te, bellissimo Duca.

sabato 24 dicembre 2011

La dignità non va in ferie

Lavorare stanca, diceva Cesare Pavese. Eppure, al lavoro dei campi e alla bellezza dello stare a contatto con l'aria, il vento, la pioggia e il fuoco aveva dedicato uno dei suoi libri più belli.
Oggi, probabilmente, sarebbe costretto a rivedere il suo pensiero. Non lavorare stanca molto di più.
Per questo, poi, si finisce per inventarsi dei simil-lavori o per buttarsi anima e corpo nel sostegno ai familiari anziani o malati.
Niente di male, intendiamoci. L'una e l'altra strada seguite dai senza paga sono forme di resistenza alla fine del lavoro salariato e dipendente.
L'estate scorsa ho letto ben due libri in proposito, ma qui non mi va di fare sfoggio di finta erudizione.
Piuttosto, volevo parlare delle ferie che ha preso la mia edicolante scontrosa, quella che quando mi vede comprarle un giornale, vorrebbe che sparissi in una frazione di secondo.
No, non ce l'ho fatta a cambiare edicola, come mi ero ripromessa qualche post fa. Semplicemente, ho lasciato passare qualche giorno prima di ritornare da lei che, incredibilmente, mi ha accolto con un sorriso.
Forse, non vedermi troppe volte di seguito le fa bene: magari capisce che sono una delle poche persone che legge (stupidamente) ancora i quotidiani e che, tutto sommato, guadagnare qualche spicciolo non è così malaccio.
Fatto sta che dopo quel sorriso è tornata al suo standard rugnoso. Fino all'altro ieri, quando l'ho incrociata mentre attraversava la piazza.
Questa volta, non solo mi ha sorriso, ma addirittura mi ha chiamato per nome!
Io, invece, andavo di fretta, infreddolita e incupita da un fastidioso contrattempo. La sua cordialità ritrovata mi ha disorientato. Com'era possibile? Qualche ora più tardi s'è svelato l'arcano.
L'edicolante è andata in ferie. Ebbene sì: ha chiuso i battenti fino all'1 gennaio dell'anno incipiente e chi s'è visto s'è visto.
Evidentemente, a lei, di stare ore e ore in quel bugigattolo freddo, con i pochi clienti che ancora si ostinano ad acquistare carta scritta, proprio non gliene va. Peggio ancora adesso, sotto le feste, con le "orde" di turisti e cittadini a spasso, tutti lì a costringerla a darle incalcolabili resti di monetine. Per carità, troppa fatica.
Idem ha fatto la gelateria (e del resto, chi è che compra il gelato d'inverno?) che ha preferito sprangare le serrande. 
Poco fa ha citofonato una giovane rilevatrice del censimento per farci la ramanzina. Ebbene sì, non abbiamo ancora compilato il modulo: i disoccupati et similia hanno un sacco di impegni, mica possono perdere tempo con la burocrazia?
Tra i due episodi c'è un nesso. Eccome se c'è.
Se ci fosse un mercato del lavoro serio e una politica (nel senso proprio del termine) altrettanto accorta, non sarebbe possibile chiudere i battenti in tempo di ferie o, viceversa, non si potrebbero costringere malcapitati ragazzini a lavorare giusto alla vigilia di Natale. Perché, ne sono sicura, nei giorni scorsi non ci ha cercato proprio nessuno.
Edicolante carissima, se qualcuno ti avesse tenuto aperta la rivendita in questo periodo, ti avrebbe fatto schifo? E tu, gelateria, che ne dici? 
Ugualmente, Comune e simili, perché assumere, a ridosso della festa più importante dell'anno, dei poveri cristi in cerca di reddito, spedendoli all'uscio di gente impegnata a fare cappelletti e pacchetti?
Intanto, lo spread sale e i risparmi vacillano, mettendo a rischio anche le speranze di quelli che non vogliono arrendersi. Lavorare stanca, non lavorare stressa e abbatte, ma ancora di più logora sentirsi senza prospettive.
In questa condizione oggi quanti saremo? Molti di più di quanto potessi immaginare, almeno dal piccolo sondaggio che ho potuto fare in questi giorni di numerosi scambi e incontri.
Al contempo, però, c'è ancora molta ricchezza e, diciamolo, diversi privilegi. Perciò, le voci di chi vorrebbe fare, con competenza, serietà e umiltà, restano flebili. 
Ho appena dato l'ok a un mio amico che ha intenzione di documentare come vivono i professionisti sciolti da contratto. Leggendo la sua richiesta, ho sentito come una scossa: diavolo, sono proprio come mi descrive lui, appartengo anch'io al gruppo di quelli "in perenne stato di precarietà e con scarse tutele sociali", una categoria che annovera "i lavoratori autonomi che operano nel campo della conoscenza come fotografi, architetti, grafici, sceneggiatori, programmatori, traduttori, copywriter, blogger, videomaker, musicisti", come scrive nella sua mail.
Quando ci sei dentro, finisci per dimenticartelo, fingendo, con te stesso, prima ancora che con gli altri, che tutto vada bene, che tutto sia sotto controllo.
Del resto, i dolori più forti, persino il travaglio, li dimentichiamo. Se non fosse così, cadremmo in un'angoscia, questa sì perenne, altro che reddito precario.
Perciò, ok, ci sto a fare la professionista senza (o quasi) tutele, ci sto a fare lavori non troppo qualificati; potendolo fare (ma sono troppo vecchia: dubito che mi avrebbero selezionata), sarei andata anch'io a bussare alle porte degli italiani alle prese con il capitone, però sogno un giorno in cui saremo chiamati a dare il nostro contributo con la dignità che meritiamo. E con la competenza che abbiamo accumulato anno per anno, giorno per giorno, con amore e dedizione per ogni passo in più realizzato. E non mi riferisco solo ai freelance come me, ma parlo anche a nome del tecnico delle bombole, della rilevatrice del censimento, dell'operaio tuttofare, e, sì, anche dell'edicolante a corto di motivazione. 
Dignità vuol dire anche equo compenso, giuste condizioni di lavoro e adeguati ammortizzatori nei momenti di crisi.
Dignità vuol dire rispetto vero per la vita di ciascuno.
Da quest'ultima non si dovrebbe mai andare in ferie.
Buon Natale, amici.