Visualizzazione post con etichetta teatro dell'Aquila. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta teatro dell'Aquila. Mostra tutti i post

giovedì 19 novembre 2015

Billy Elliot e i sogni (si spera) contagiosi dei ragazzi


Prima di tutto, una piccola confessione: non sono un'esperta di musical. Sarà per questo che ieri sera, a un certo punto, diciamo intorno alle 23, ho cominciato ad agitarmi vieppiù sul seggiolino alto del palchetto dell'affollatissimo Teatro dell'Aquila di Fermo, dal quale ho assistito alla messa in scena di Billy Elliot, tappa esclusiva regionale dell'allestimento curato da Massimo Romeo Piparo, con le musiche di Elton John tradotte in italiano.

A essere bravi, erano tutti bravi e in parte: in particolare ho apprezzato Mrs Wilkinson, l'insegnante di danza di Billy, interpretata da Sabrina Marciano. Mi ha poi molto divertito il personaggio di Michael, l'amico del cuore del protagonista, per il cui ruolo di sicuro è stato rubacchiato qualcosa a Elton.

Credibilissimo il fratello maggiore di Billy, il sanguigno minatore difensore dei diritti della classe operaia, che non riesce a capire, insieme con il grosso degli uomini-machi della piéce, per quale motivo un ragazzino preferisca la danza al pugilato.

Forte anche la nonna, anche se un po' troppo caricaturale, per i miei gusti.

Che cosa non mi è piaciuto?
A mio personalissimo avviso, a parte l'eccessiva lunghezza, i balletti non erano eccezionali, a parte quelli a base di tip tap e i volteggi del Billy grande con quello giovane.
La musica, mi spiego meglio, molte volte era troppo potente e troppo energica, mentre lì, sulla scena, il leggiadrissimo protagonista Alessandro Frola, continuava a roteare su se stesso, anche quando, sempre secondo me, avrebbe dovuto tirare fuori più fervore.

A ben guardare, per buona parte dello spettacolo è giusto che Billy non sveli a noi del pubblico tutto il suo talento, ma a me è sembrato che non l'abbia fatto neanche nella canzone danzata davanti alla commissione del Royal Ballet, nella quale ci stava, per l'appunto, spiegando perché ama così tanto ballare. Ma può anche darsi che fossi semplicemente stanca morta e che a mancare d'energia fossi solo io.

Nel complesso, comunque, è stata un'esperienza interessante: davanti a me c'erano due ragazzi più o meno della stessa età dei due protagonisti e del grosso delle ballerine sul palcoscenico. Uno dei due teneva segretamente il tempo e canticchiava le canzoni dello spettacolo. Dall'accento ho dedotto che non fosse di Fermo, ma non ho capito bene se facesse parte anche lui della compagnia. Di certo lui e il suo amico (o il fratello?) con i capelli lunghetti avevano l'aspetto di ballerini. Solo nell'intervallo mi sono resa conto che il teatro era strapieno di adolescenti così ed è stato davvero straordinario osservarli tutti insieme. Quanti talenti, quanto entusiasmo, quanti sogni.

Nelle interviste della Rai che ho guardato ieri alle due piccole star del Billy Elliot nostrano, mi ha colpito proprio quello che entrambi dicono sul loro futuro: tutti e due vogliono diventare "artisti completi". Lo affermano con una sicurezza dalla quale ci si vorrebbe far contagiare, come capita alla già citata Mrs Wilkinson, la fascinosa e disillusa insegnante di danza che è la prima ad accorgersi di quale etoile in potenza abbia davanti a sé.

Il vero spettacolo, in definitiva, erano proprio i giovanissimi attori in scena e quelli intorno a me, immersi nei loro progetti a tutto tondo, bisognosi, però, di tutto il sostegno dei grandi.
Ed è poetico, e si vorrebbe credere anche vero, che il maschilista papà di Billy (l'attore Luca Biagini) addirittura metta da parte la sua aspra battaglia sindacale pur di stare accanto al figlio "diverso".

Il potere delle storie più amate dai noi esseri umani è, concludendo, proprio questo: trasmettere sentimenti di speranza e spiragli di vita nuova. Quindi, onore a voi, artisti e ragazzi innamorati di Billy Elliot.
E soprattutto, buon futuro.

Ps guarderò presto il film che ha dato vita a tutto ciò e, nel caso, ne parlerò. Vi toccherà tornare a trovarmi :)

venerdì 21 marzo 2014

Loretta Emiri, Giacomo Leopardi e il progresso dell'uomo


 
 
Per pura coincidenza, ho terminato il montaggio del video che vedete sopra proprio la sera di mercoledì, giorno nel quale sono andata ad assistere alle Operette morali, lo spettacolo del Teatro Stabile di Torino, con la regia di Mario Martone, ricavato dagli omonimi scritti di Giacomo Leopardi, in scena al Teatro dell'Aquila di Fermo.
 
Giusto a chiusura della rappresentazione, sul palcoscenico è stata innalzata una enorme vela, punteggiata di segni geografici e abbozzi di mappe: l'accorgimento scenografico doveva trasportare noi spettatori sull'Oceano Atlantico, solcato da Cristoforo Colombo quando viaggiava alla volta del Nuovo Mondo.
 
Speravo tanto che nel dialogo tra l'attore che interpretava il famoso navigatore italiano e Pietro Gutierrez, il suo compagno d'avventura (personaggio affidato al bravissimo Renato Carpentieri, quello che in Caro Diario scappa via da Alicudi, urlando "frigoferooo, ascensoreee, televisioneee, telefonoooo"), si facesse un qualche accenno alle conseguenze dello sbarco nelle Americhe.
Certo, come la pensasse il grande poeta-filosofo di Recanati sul progresso lo si poteva capire anche da altri dialoghi (fenomenale, per esempio, quello tra Timandro ed Eleandro).
 
Un riferimento esplicito, però, mi avrebbe aiutato a trovare un aggancio tra l'entusiasmante esperienza teatrale dell'altra sera e quella vissuta in compagnia di Loretta Emiri, la mia amica scrittrice, a sua volta amica (alleata) degli Indios d'Amazzonia, che ho avuto l'onore di accompagnare durante la sua conversazione con il pubblico presente lo scorso 8 marzo a Monte Giberto, in occasione dell'incontro organizzato dall'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina, un altro alacre paese in provincia di Fermo.
 
E tuttavia non importa.
L'aggancio tra il pensiero dell'immortale genio recanatese e quello di Loretta c'è comunque.
Il progresso, di per sé, è un'illusione, sembrano dire entrambi. O meglio: tale è il progresso tecnologico, se privo di analogo progresso morale da parte degli uomini.
 
Negli anni Settanta, ossia il periodo in cui Loretta è approdata in Amazzonia, gli indios brasiliani (e non solo loro) erano ridotti a poche centinaia di migliaia. Grazie all'intervento di missionari, religiosi e laici, le loro condizioni sono andate via via migliorando, al punto che l'eguaglianza tra indios e bianchi (ma anche, naturalmente, meticci di ogni ascendenza) è diventato principio fondante della Costituzione del Brasile, entrata in vigore nel 1988, dopo la fine della dittatura militare. E Loretta è giustamente orgogliosa di aver dato il suo contributo alla cosiddetta opera di "coscientizzazione" delle popolazioni native di quel bellissimo Paese all'altro capo del mondo.
 
Perché sia andata lì e non in Africa, per esempio, la scrittrice indigenista l'ha spiegato con parole semplici, intrise di quella modestia orgogliosa che contraddistingue il suo carattere. Loretta non voleva "evangelizzare" nessuno e in Brasile, almeno per l'esperienza che ha avuto lei, non era questo lo scopo principale che ci si prefiggeva.
 
I primi tempi, anzi, si è dovuta rimboccare le maniche prestando anche aiuto sanitario, lei che era, nella sua prima vita, titolare di un'agenzia di assicurazione, niente di più lontano dalle esigenze di pura sopravvivenza nutrite laggiù all'epoca.
 
In seguito si è trasformata in formatrice di maestri indios ed è lì, immagino, che si deve essere compiuta la sua totale trasformazione.
Ho volutamente lasciato l'attimo di commozione che si avverte nella sua voce mentre legge il brano dedicato agli abbecedari realizzati direttamente dai nativi.
 
Tra le parti che ho tagliato, con un certo rammarico, c'è la risposta che la nostra "eroina dei due mondi" ha dato a una delle molto stimolanti domande del pubblico: se gli indios del Nord del Brasile, gli Yanomami con i quali Loretta ha anche vissuto direttamente in foresta, erano i più preservati dal contatto con l'uomo bianco - ha chiesto a un certo punto una signora - perché andarli a disturbare?
 
Perché il "disturbo", ha risposto la scrittrice, c'era comunque già stato: a insidiarli, ci avevano già pensato i cercatori d'oro e la strada da loro fatta costruire che si addentrava nella foresta lambendo anche i villaggi più sperduti.
Si potrebbe dire: ma il progresso non si può fermare. Certo che no, ma mi domando e vi domando: è progresso quello che porta con sé anche malattie, fisiche e morali, come ha raccontato Loretta?
 
E in ogni caso, anche ammettendo che, in effetti, non si può più tornare indietro, chi l'ha detto che tutti vogliamo vivere in città assediate da fumi e rifiuti? Perché, in altri termini, invadere tutto il pianeta con un modello di sviluppo che sta già da anni cominciando a implodere?
 
Non si tratta di essere fintamente ecologisti, si tratta di lasciare coesistere, a beneficio di ogni creatura vivente, alternative concrete allo stile di vita della maggioranza dei popoli.
Anche senza arrivare all'essenzialità dei nativi amazzonici, insomma, potremmo imparare da loro moltissimo. Potremmo esercitarci a essere più autentici, più umani, in una parola.
 
Leggendo Loretta e ascoltandola parlare, si coglie tutta la vastità del mondo. E ci si ricorda, come diceva Leopardi nel Dialogo della natura e di un islandese, che non ne siamo affatto i padroni.
 
La superiorità dell'uomo, quella sì, è un'illusione.
Chi volesse continuare a perseverare in questa convinzione, in ogni caso, impari a esserlo davvero, lasciando in pace chi ha un'altra idea, di sé e degli altri.

giovedì 5 dicembre 2013

The Suit a Fermo, la vita oltre la tragedia grazie a Miriam Makeba



Davvero piacevole The suit, lo spettacolo di Peter Brook, Marie-Hélène Estienne e Franck Krawczyk che ho visto ieri sera al Teatro dell'Aquila di Fermo.
Non so dirvi se c'erano imperfezioni tecniche (non sono una critica teatrale), ma posso solo raccontarvi dell'atmosfera, resa lieve dai colori accesi della scenografia e dei costumi, e anche dalla leggiadria di Matilde, detta Tilly, il personaggio femminile protagonista di quella che in verità sarebbe una tragedia della gelosia, ma che invece finisce per trasformarsi in un inno all'amore e alla vita.

Non ho idea di come si chiami la ragazza sudafricana che aveva le lacrime agli occhi quando si sono accese le luci a fine spettacolo. Sulla cronaca della prima delle due serate, pubblicata da un quotidiano locale, ho visto che le hanno attribuito il nome della curatrice dell'opera andata in scena per la prima volta nel 1999, con il titolo Le costume.

Non sono certa che abbiano ragione, ma in ogni caso ho trovato assai credibile quel che avrebbe detto l'affascinante attrice, ossia di essersi completamente calata nella parte.
Del resto, bastava vederla cantare Malaika di Miriam Makeba per capire le ragioni della sua commozione.

Sarà che l'età mi sta rendendo sempre più malinconica, in ogni caso, stamattina, leggendo la storia di Mama Africa, com'era chiamata la voce simbolo della lotta all'Apartheid, e soprattutto scorrendo il testo del brano riproposto ieri sera in scena, mi sono scese un po' di lacrimucce.

E a proposito: visto che ho capito quasi tutto senza leggere i sovratitoli, giacché ci sono, faccio un ulteriore esercizio traducendo nella nostra lingua (nel modo meno scolastico possibile) il testo che scorre dopo le note biografiche della Makeba, in swahili e in inglese.

Prima si sente Miriam che dice:
"Signore e signore, questa canzone viene dalla Tanzania: è una canzone in Swahili, una canzone d'amore, e dice semplicemente 'Malaika, nakupenda Malaika', che vuol dire solo 'ti amo, mio angelo'".

E poi comincia a cantarla:

"Angelo, io ti amo, angelo (due volte)
vorrei sposarti, mia fortuna
vorrei sposarti, sorella
Non ho saputo difendermi dai colpi della sorte,
ma vorrei comunque sposarti, angelo (due volte)
La mancanza di denaro sta affliggendo la mia anima (due volte)
E io, tuo giovane amante, che cosa posso fare?
Non ho saputo difendermi dai colpi della sorte
ma voglio sposarti lo stesso, angelo (due volte)
Uccellino, ti sogno, uccellino mio (due volte)
E io, tuo giovane amante, che cosa posso fare?
Non ho saputo difendermi dai colpi della sorte
ma vorrei comunque sposarti, angelo (due volte)
Angelo, ti amo, angelo (due volte)
 E io, tuo giovane amante, che cosa posso fare?
Non ho saputo difendermi dai colpi della sorte
ma vorrei comunque sposarti, angelo (due volte)
voglio sposarti, angelo
voglio sposarti, angelo

Sotto vi riporto un'altra versione di Malaika, con una Miriam Makeba giovane e splendente, molto simile alla bella attrice che ieri ho avuto l'onore di vedere da molto vicino.





Adesso starà allietando gli angeli e gli uccellini, ne sono sicura.
Grazie, a lei e ai suoi giovani e bravi discendenti.

Aggiornamento del 6 dicembre:
Giusto ieri sera, mentre mi preparavo ad andare a dormire, ho scoperto che Nelson Mandela l'ha raggiunta da qualche parte. Ed è incredibile che abbia acceso la radio nell'esatto momento in cui stavano dando la notizia.
Madiba è entrato, in fondo, di recente a far parte anche della mia storia, intellettuale ed emotiva.
Sono contenta di averlo conosciuto un po' meglio anche grazie ai rapporti che ho stretto con i miei giovani insegnanti sudafricani.
Spero proprio che l'umanità non ne dimentichi lo straordinario passaggio su questa terra.