"Cartonito non ci piace". Lo ha detto spesso mio padre nei giorni che abbiamo trascorso insieme (almeno durante le ore meridiane) con i nipoti. Parole pronunciate al vento, naturalmente: un nonno, per natura, non può fare altro che soccombere alla dolce tirannia di creature ben al di sotto della maggiore età, peraltro anche per via del saggio proverbio "chi è causa del suo mal pianga se stesso".
Sì, perché è stato proprio il suddetto nonno a introdurre nella casa di Francavilla al Mare la tv dallo schermo ultrapiatto dotata di digitale terrestre. E quelle piccole, tenere e innocenti faccine non ne avevano praticamente mai avuta una, cresciuti come sono stati (fino a questo momento. Sul futuro ho qualche dubbio, a questo punto) a dvd, frammenti di Youtube, libri e musiche stralunate.
Perciò, caro nonno, beccati Cartonito (che poi non si scrive così, lo so) e le avventure di B1 e B2 e di quell'imbroglione di Rat, che in ogni episodio se ne inventa una nuova per complicare, giusto un pochino, la trama.
Sapete che vi dico? Alla fine le ho trovate veramente "bananastiche", come continuavano a ripetermi quei due citandomi la pubblicità del cartone animato. L'episodio che linko sopra, però, non l'ho ancora visto, quindi non posso giurare sulla sua rappresentatività come puntata-tipo.
In ogni caso, mentre andavano in onda le avventure delle Banane in pigiama, bisognava stare attenti a non passare davanti all'apparecchio e a usare un tono della voce appropriato. Diversamente, dal divano composto di due poltroncine letto (una delle quali è stato mio giaciglio sabbioso della notte), arrivavano mugugni ben più accesi della debole protesta del nonno per l'impossibilità di vedersi un tg in santa pace. E d'altra parte, l'attualità è talmente deprimente che tutto sommato non è stata una grande perdita (neanche per il nonno, ci posso giurare) restare leggermente indietro.
Risolte alcune difficoltà tecniche, peraltro, è stato possibile piazzarli anche davanti al computer per i più tradizionali dvd con il panda Po e il cattivo Shen e la famiglia di Barbapapà fino a un paio d'anni fa vera e unica passione dei due fratellini. Il cartone che ho portato io, invece, stavolta non è stato troppo apprezzato e oggi che l'ho rivisto con calma ne ho capito meglio il perché. Qualcosa mi dice, però, che già l'anno prossimo il maggiore potrebbe rivalutarlo. Sto parlando de I sospiri del mio cuore, che parla di una storia d'amore pre-adolescente mescolata alla passione per la musica e la scrittura, dei due giovanissimi protagonisti. Roba poco interessante alla loro età.
Comunque sia, tolte le ore serali e notturne, in cui, però, dormono anche gli adulti - se va tutto bene - l'oretta e poco più passata davanti ai cartoni è l'unica pausa di relax per tutti i presenti in quel momento tra le pareti domestiche. Bisogna perciò assolutamente approfittarne per: 1) andare alla toilette; 2) leggere una paginetta di giornale o di libro; 3) lavare i piatti/scrollare la tovaglia; 4) bere il caffè; 5) scambiare quattro chiacchiere con la nonna o la sorella su un qualunque argomento che non riguardi - almeno non necessariamente - i piccoli, adoratissimi occhioni rapiti. Se si prende il ritmo, devo dire, ci si riesce e poi la seconda parte della giornata scorre rapidamente verso la cena, altro momento critico nell'organizzazione velleitariamente militaresca delle baby-vacanze. Se però capita qualche avvenimento inconsueto - tipo l'arrivo di Cicchitti, il tuttofare della famiglia Santurbano-Cicalini, e il suo compare falegname, piombati in casa intorno alle due e mezzo, per fortuna non durante le bananastiche banane, per rimontare la serranda schiantatasi esattamente all'inizio delle ferie della famiglia di mia sorella - allora le cose si complicano un po'. Tra le risa dei genitori, con mio grande sollievo.
Non so come, sono riuscita a intrattenere il maggiore con la costruzione di un treno e l'osservazione della vista dall'altro balcone, non quello sulla soglia del quale lavorava il falegname. Il minore, invece, si distrae più facilmente, ma al contempo è più capace di starsene per i fatti suoi a dialogare con pupazzi e altri personaggi immaginari.
Fatto sta che alla fine ha pure chiesto al falegname chi era la capa di casa sua, scatenando risate generali, e di sottrarre (prima che glielo ristrappassi dalle mani) il compenso destinato al suddetto sottoposto della propria moglie, com'è giusto che sia (si scherza, ovviamente).
Alla fine riesco a trascinarli fuori e li porto al mare.
Sono stanca e accaldata. Ed è lì, nel piazzale antistante lo stabilmento del Paraculo, che ho un piccolo mancamento.
Stavolta la scena è mia. In men che non si dica, mi ritrovo seduta su un lettino con le gambe verso lo schienale, mentre un tipo mi dice con gentilezza di chiudere gli occhi e di respirare. A quel punto sto già meglio, ma mi rendo conto che ormai ci sono e devo fare la mia parte fino in fondo. Così bevo anche acqua e zucchero, mormorando un "che figura" mentre guardo i nipoti con un mezzo sorriso per accertarmi che non siano rimasti sconvolti dalla scenetta della zia. Quei due, a dire il vero, stanno chiacchierando animatamente con un amichetto per cui quasi quasi ci resto male.
Dopodiché ringrazio tutti, mi alzo e vado a raccontare al cellulare allo Sfaccendato lontano quel che mi è appena successo. I piccoli sono stati accompagnati dal nonno dell'amichetto a giocare a biliardino.
Il mio soccorritore mi si avvicina e mi offre un ghiacciolo.
Non avendo riscosso granché successo con il coniuge lontano che minimizza, tento di impietosire mia madre, che arriva, in effetti, quando ormai sono già con la palla in mano sulla riva, tra i nipoti che s'inseguono buttandosi in acqua.
Anche in quel caso nessuna pietà per la malcapitata zia che dentro di sé riflette su quanto sia cambiata dalla sceneggiata di molti anni prima, quella che, parzialmente, ha determinato varie scelte, non tutte opportune, del proprio avvenire.
E' tutto passato. Tutto sepolto. Quella lei non c'è più.
Ed è così bananastico rendersene conto che vorrei urlarlo al mondo.
Di questo devo ringraziare anche quei due meravigliosi piccini, così paurosamente facili da amare.
Il giorno dopo ho compiuto 41 anni e benché fossi distrutta dallo scarso sonno e dall'avvicinarsi della scadenza del mio mandato di zia-baby sitter, ho partecipato con una gioia lucidamente infantile alla caccia al tesoro che hanno organizzato con la complicità di mio cognato, annientato anch'egli da una stanchezza di certo maggiore della mia, non foss'altro per la più lunga frequentazione con il sangue del suo sangue, un impegno a vita ben più oneroso di un incarico alla Banca mondiale.
Dopo la partenza dei nipoti, mi sono goduta ancora un po' la compagnia dei genitori finché non è arrivato anche il mio turno di prendere la via di casa.
Sono - lo ammetto - ancora un po' stanca per le giornate francavillesi, ma so di aver vissuto intensamente ed è quello che mi preme di più. E benché anch'io, come nella traduzione di Country Roads, la canzone di John Denver che fa da colonna sonora al film d'animazione sopra citato di Yoshifumi Kondo su sceneggiatura di Hayao Miyazaki (il grande autore de "La città incantata" e il Castello errante di Howl, per citarne solo due), molto probabilmente non tornerò mai più nella mia terra se non per sporadiche visite come quella appena trascorsa, so che porterò sempre con me il ricordo di quel che sono stata, anni e anni fa: una bambina molto amata che ha imparato ad amare anche grazie al molto (forse troppo, chissà) amore ricevuto.
Arrivederci a presto, mia country road. E grazie di tutto.