"Largo ai giovani", dice Peppy Miller all'intervistatore. Al tavolo alle sue spalle sta cenando George Valentine, famoso attore del cinema muto, orgogliosamente ancorato alle pellicole prive di sonoro. La sua scelta conservatrice lo porterà, come si vedrà nel corso del film, quasi alla morte, ma per una volta, accidenti, un film così intenso e originale come non se ne facevano da tempo, sceglie il lieto fine.
Che poi, intendiamoci, non vuol dire che sarà possibile tornare indietro. Tutt'altro: il tempo, ahinoi, non si ferma mai, figuriamoci il progresso tecnologico. Però un sottile e sottinteso messaggio didascalico la pellicola di Michel Hazanavicious lo dà proprio grazie alla sua coraggiosa e assai creativa scelta di girare alla maniera del cinema degli esordi, naturalmente con tutte le differenze potrei dire post-moderne del caso.
Il messaggio è a mio avviso il seguente: nessun 3D di ottima fattura potrà mai soppiantare la necessità di una trama convincente e di una recitazione altrettanto degna di questo nome. Il regista, peraltro, è abbastanza giovane, ma non per questo sembra essersi dimenticato dell'importanza del passato.
Lo stesso, purtroppo, non accade in Italia, in cui si è fatto di tutto per bruciare presente e futuro di schiere di ex giovani e giovani veri.
Chi segue questo blog (pochi ma buoni) sa che lo scrivo da tempo: la generazione più disgraziata di questo crudele Paese è quella a cavallo tra i 30-40 anni; sì, proprio quella da sempre impegnata a guardarsi l'ombelico (le schiere di fan dell'
Ultimo bacio ne sanno qualcosa) e a farsi un'istruzione destinata a frustrarli a vita.
Del resto, l'ha detto anche Mario Monti non più di qualche giorno fa, tra gli applausi entusiasti anche di gente della mia età (le blandizie pagano ancora, si vede): a riportarlo, è stato il
Manifesto della generazione perduta, segnalatomi dal mio caro amico Paolo Ferrario, che ha peraltro anche avuto il coraggio di firmarlo, benché, per fortuna sua, non lo riguardi direttamente.
Vi confesso, tra l'altro, di averlo già ricevuto ieri, ma, sinceramente, non ho avuto il coraggio di aprirlo perché sapevo che mi sarei inc... inquietata assai.
Vi trascrivo giusto la premessa dell'iniziativa di questi miei coetanei (forse pure più giovani: perché la tragedia vera è che quelli di noi nati tra i Sessanta e i Settanta avrebbero anche potuto averlo un posto a tempo indeterminato, ma chi l'ha perso o se n'è andato convinto di poter trovare di meglio, sa bene, troppo bene, di aver perso l'ultimo treno per darsi uno straccio di stabilità economica).
Mi auguro solo che non si tratti dell'ennesimo tentativo di avere visibilità a buon mercato, sempre nella malcelata speranza di passare dall'altra parte, tra quelli che parlano di crisi solo perché oggi fa tanto fashion. Eccoli qua:
Noi siamo la generazione perduta. Quei 30-40enni italiani per i quali – come ha di recente confermato il Presidente Monti – lo Stato non potrebbe far altro che limitare i danni. Perché è ormai troppo tardi per offrirci speranze e futuro. Siamo consapevoli – e ce lo ha ricordato lo stesso Premier – che le responsabilità di questa situazione sono di un’altra generazione: quella alla quale appartiene buona parte della classe dirigente che negli ultimi venti anni ha guidato questo Paese. Oggi i quasi dieci milioni di italiani che appartengono alla nostra generazione vengono considerati “perduti” ed invitati ad accettare con rassegnazione un destino senza speranze né futuro. E padri senza futuro non possono generare figli capaci di averne.
In questi pochi paragrafi c'è tutto, quindi non serve aggiungere molto altro. Resto però colpita dal fatto che a parlare, ancora una volta, sia un uomo: lo deduco dal riferimento alla paternità mancata o perduta, che dir si voglia. La prima domanda che mi pongo è infatti: che fine hanno fatto le donne del movimento "Se non ora, quando?". Forse che lì c'erano anche svariate esponenti di quella fetta di classe dirigente in rosa tuttora ben piazzata sugli scranni del potere, la stessa, sì, proprio quella, che ha impedito alle più giovani di farsi largo anche senza, perdonatemi la volgarità, allargare le gambe? Lo sanno le agiate (e spesso ageé) signore che recitavano Christa Wolf o qualche altra autrice radical chic che per molte delle loro un po' più giovani compagne di sfilata post-femminista non ci sarà mai il momento per rivendicare la proprietà sul proprio corpo (quante violenze domestiche su italiane ci sono già state quest'anno?) né tanto meno difendere quello delle figlie sventuratamente messe al mondo? Sanno che alcune di loro rischiano di fare come Anna Magnani in "Bellissima"? E non ditemi, per favore basta, che la colpa è di Berlusconi. E' anche sua, naturalmente, come perfetto esponente dell'Italia che ha rubato il presente e il futuro a me e agli ex ragazzi del Manifesto sopra detto, ma parte di questa colpa ce l'ha anche Monti, che avrebbe potuto anche scegliersi collaboratori più giovani, anziché quelle vecchie ciabatte incarognite che hanno dato più prove di quanta considerazione abbiano per i famosi bamboccioni.
Come uscirne? Io qualche idea comincio ad averla, come forse s'intuisce dai miei continui riferimenti alla mitizzata nazione tedesca. Nel frattempo, continuerò a digitare parole e a credere, ferocemente, in tutti i progetti, anche i più strampalati, che dovessero partorire dalla mia testa. E da quella di altri "sfaccendati" come me che vogliano - anzi: PRETENDANO - esattamente quanto indicato come punti programmatici dal Manifesto: rispetto, merito, impegno, progetto, fiducia.
E no,
Claudio Risè non ha del tutto ragione, caro Paolo Ferrario: io non avrei potuto fare nient'altro che la giornalista o qualcosa del genere. Però è vero che lo sfascio di un Paese che non sa più formare i ragazzi ai mestieri, quelli che teoricamente gli italiani non vogliono più fare, ha aggravato il dramma della mia generazione. Io, poi, ho fatto il Classico e dopo Scienze Politiche. Peggio di così.
Per fortuna ho imparato (abbastanza) a fare almeno le pulizie. E non è escluso che per racimolare qualche denaro ricominci proprio dalla ramazza. Basterà mentire sul curriculum o, magari, sulla nazionalità: a parte l'altezza, posso passare per ucraina. Dirò che sono muta. Ecco: straniera e appartenente alle categorie protette è l'ideale.
Una volta messi da parte un po' di denari, quelli bastevoli per comprarsi un piccolo terreno su cui costruire una casetta di legno con un piccolo appezzamento da destinare a orto, potrei passare direttamente "dalla penna alla vanga", come mi aveva predetto il mio amatissimo Sfaccendato. Perché, nonostante la sfiga, ogni tanto sorridiamo. L'unico vero antidoto contro la miseria, soprattutto morale, in cui vorrebbero farci sprofondare.
Concludo con un contro-appello ai promotori del Manifesto: voglio credere nei vostri intenti, ho pure firmato, cosa che non faccio mai, men che meno sul Web. Per favore, non deludetemi.