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martedì 25 aprile 2017
Dal mare a Fermo. E ritorno
Sono un tantino stanca, quindi perdonatemi per il tono un po' dimesso.
Le ultime due giornate sono state piuttosto strane.
La mattina di domenica ho partecipato alla Camminata delle donne con un po' di amiche di palestra e, oltre a fare la figura dell'idiota con lo speaker della manifestazione, con quella storia della colazione sbagliata come causa probabile della mia nausea dopo appena dieci minuti che correvo, ho rischiato pure di mettermi a piangere mentre ascoltavo la testimonianza di una donna che ha scelto di rasarsi a zero piuttosto che mettersi parrucche o fazzoletti per nascondere gli effetti della chemio. Una tizia affianco a me mi ha abbracciato e mi ha sussurrato: "Anche io ci sto passando". Mi sarei voluta sotterrare. Ma da un altro lato, se posso esserle stata di aiuto come spalla, va bene così.
Mia madre non ha perso i capelli, le si erano giusto un pochino diradati. Ma anche questo non è il punto.
Volevo esserci a quella Camminata, che ho scoperto essere legata al reparto di oncologia dell'ospedale di Fermo la scorsa edizione, l'ultima (almeno credo) a Porto Sant'Elpidio, dopo lo spostamento a Lu Portu, la cittadina in cui vivo.
Forse ero in ansia anche per questo motivo e poi perché, in fondo in fondo, sono una persona competitiva. Ho in mente almeno due episodi della mia infanzia che testimoniano il mio desiderio, sempre negato verbalmente, di primeggiare. Ma ve li risparmio.
Spero che la piantina grassa che ho comprato allo stand dell'Anpof (associazione Noi per l'oncologia del Fermano) attecchisca e diventi grande. L'aloe sul balcone dei miei sta magnificamente.
Spero ancora di più che quell'atmosfera gioiosa dell'altra mattina produca effetti duraturi in chi lotta ogni giorno, non solo per via della malattia.
Riesco solo a lanciare preghiere monche e banalotte, ma non ho ricette né strategie generali per affrontare il dolore.
Nella serata di domenica ho saputo della morte di Teo Tini, un bibliotecario di Fermo che ho solo sfiorato negli anni passati, ma che era riuscito a lasciarmi una forte impressione.
Difficile incontrare tutte insieme umanità, intelligenza e ironia: quando capita, non te lo scordi più.
Molto sentiti i ricordi dei suoi amici stamattina durante il funerale: mi ha colpito anche il sacerdote, che ne ha parlato come si farebbe tra intimi, non da un pulpito.
Ho anche avuto la sensazione che nessuno avesse bisogno di nascondersi nel parlare di lui.
Teo evidentemente sapeva leggere negli altri e il risultato si è visto nell'autenticità ritrovata in un rito che troppe volte suona stucchevole.
Il funerale di mia madre non è stato così vero, anche se il parroco, che ne raccoglieva le confessioni e che la conosceva da molti anni, non credo fingesse. Semplicemente non la conosceva davvero perché mia madre era schiva, molto schiva, molto, troppo forse, trattenuta. Non amava fare esibizione di sé, in altri termini, ma spesso finiva per censurare il suo innato istinto da leader.
Mi resterà sempre il dubbio che sia andata davvero così: che si sia ammalata per non aver creduto a sufficienza nella sua naturale capacità di primeggiare. Ma non so, forse proietto e basta quel che leggo in me. Che leader non sono: ho un altro temperamento, nutrito di chiaroscuri come il suo, ma molto più superficiale.
Tornando al bibliotecario e all'immagine che mi hanno restituito i tanti volti afflitti che lo salutavano, penso che lui fosse di una pasta speciale, silenziosa e attenta, che in qualche modo resterà.
Pur nella tristezza della circostanza, sono stata contenta di essere lì e di rivedere vari volti noti dei miei anni trascorsi a Fermo.
Verso il comune sul colle nutro sentimenti ambivalenti: non riesco a non associarlo ai fatti più dolorosi (è inutile negarlo) della mia vita marchigiana, ma d'altra parte, proprio per la loro estrema importanza, ogni volta che ne ripercorro le vie del centro storico, me ne ridiscendo al mare diversa, con un peso specifico maggiore.
Dicevano che Teo si era innamorato del mare di queste zone la prima volta che le vide durante il militare. Qualcosa di simile è successa anche a me durante la scuola di giornalismo.
Mi domando ogni tanto se davvero non sia tutto scritto.
Poi vado avanti, com'è ovvio.
Avverto però, lo ammetto, un legame con i volti, i suoni e le pietre di quelle salite e discese. Sto cercando di metterlo a fuoco, forse per farci pace o per chissà quale altra ragione.
Staremo a vedere.
Per il momento, meglio guardare il mare il più possibile da vicino, sotto quei fuochi che la notte scorsa l'hanno illuminato a giorno, costringendo i miei gatti a nascondersi in fondo al letto.
Ne ho sentito uno con un piede, andando a dormire.
E ho sorriso.
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