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martedì 25 marzo 2014

La scrittura e la mia cifra personale: ritorno al passato


E' passato quasi un anno dalla mia esperienza sui Sibillini (ne ho parlato su Minime Storie, se vi va andate di là), ma non immaginavo quanto si fosse sedimentata dentro di me, fino a stamattina.

Ho appena finito di rileggere il raccontino che ho ricavato da uno degli esercizi proposti da Minuti Scritti, l'appassionante manuale di scrittura creativa di Anna Maria Testa, che suggerisco a tutte le persone che vogliano divertirsi un po' con le parole.

Non ricordo con precisione quale fosse la traccia da seguire ed è peraltro probabile che l'abbia cannata. Di una cosa, infatti, mi sono resa conto, mentre svolgevo a uno a uno gli esercizi della Testa: parto per la tangente con una rapidità più che felina.

Il risultato che vi propongo sotto, perciò, è frutto del mio divagare attorno agli input letti nel manuale, ma il motivo per cui lo condivido è solo uno: mi fa troppo pensare ai miei Racconti dal passato, la rubrica che trovate in alto, accanto a Gli sfaccendati.

Mi piacciono le storie ambientate in treno da sempre, è evidente.
E quelle in cui i sogni che si intrecciano con la realtà.

Niente di che, certo, però, forse, la mia cifra personale è tutta qua.

A voi (se lo gradirete), buona lettura.



UNA MAGA PER AMICA

“Non c’è estate senza mare!”, osservò con enfasi Liliana. Marco la trovò ridicola: “Hai ragione, tesò, ma che ci possiamo fare se dobbiamo stare su?”, le rispose guardando dal finestrino le macchie degli ombrelloni e qualche corpo in ammollo. Tanto contento non era neanche lui, ma il lavoro è il lavoro. E poi la montagna in fondo non gli dispiaceva. “Scusate se mi intrometto, ma dove state andando?”, chiesa la signora occhialuta seduta di fronte a loro. Moriva dalla voglia di attaccare bottone, i due ragazzi se n’erano accorti già alla partenza, diverse ore prima, dalla stazione di Lecce.

Accanto a lei, un ometto di mezza età, tutto insonnolito aprì un occhio solo, come i gatti, disapprovando assai di essere stato svegliato da quell’improvvido vociare. “Che diavolo gliene importa dove vanno quei due disgraziati?”, pensò tra sé e sé, aggiustandosi meglio sul sedile.

Educatamente Liliana rispose: “A Trento e poi in Val di Non: faremo gli animatori turistici in un hotel, tutta l’estate”. Istintivamente le venne da abbassare un po’ lo sguardo.

Marco socchiuse appena gli occhi indirizzando anche un vago sorriso alla signora. “E léi?”, le domandò per pura cortesia..

“Ah, che bello il pugliese! Mio marito era di Bari, ma viveva a Tricase… io sono di Milano, invece, mio marito non c’è più e i miei figli abitano a Londra. Eh, com’è brutta la vecchiaia…”, sospirò con il chiaro intento di proseguire la conversazione.

Invece niente: i due ragazzi non sapevano proprio cosa risponderle. Con la testa erano già proiettati lontano, dubbiosi e forse spaventati. Ce l’avrebbero fatta a resistere senza la cucina della loro mamma e i loro rispettivi fidanzati? “Brutta davvero, già, meno male che quei due non hanno abboccato, va”, pensò con sollievo il tipo, serrando di nuovo gli occhi.

“Biglietti, prego! Signore? Signore?”.

Stravolto, si accorse del ghignare dei due ragazzi, mentre cercava affannosamente il biglietto in tutte le tasche. La signora lo guardò dubbiosa.

“Eccolo qua”, sospirò il tipo.

La signora gli sorrise. “E poi dicono le borse delle donne, eh… dove è diretto?”.

Stavolta non poteva sfuggire.

“Padova”.

“E’ veneto?”.

“No”.

“Va in vacanza?”.

“No”.

“Lavoro?”.

“No”.

Liliana e Marco seguivano lo scambio come fossero a una partita di tennis.

Che cos’altro gli avrebbe chiesto prima di mollare?

“A Padova ci sono dei miei cugini, non li vedo da molto. Magari qualcuno sarà anche morto... la vita è così, del resto, prima dà e poi si riprende tutto. Ma voi siete giovani, non ci pensate, eh”.

Nessuna risposta.

Il tipo richiuse gli occhi.

Marco e Liliana si infilarono gli auricolari.

La signora si alzò, prese la sua borsa e, chiedendo permesso, uscì nel corridoio.

Si addormentarono per davvero.

Ridestandosi, non poterono credere ai loro occhi.

Non c’era più un bagaglio, né di Marco né di Liliana né tanto meno del tipo laconico. “Ma che accidenti?? Ma quella p… ma porc…”, gridò quest’ultimo in preda al panico.

Liliana sbiancò e pianse, Marco si tastò le tasche atterrito: non aveva più neanche il cellulare. E adesso?

Scrutando intorno, alla fine, notò qualcosa sul sedile dov’era seduta prima la signora. Era un foglietto bianco, piegato in due. Marco lo lesse tra sé, mentre Liliana e il tipo cercavano di fare altrettanto assiepandosi intorno a lui.

“Belli miei, avete presente quei personaggi delle favole che si travestono per sottoporre gli umani a qualche prova? Beh, che ci crediate o no, io sono uscita da una storia delle più antiche. Volevate arrivare tranquilli tranquilli a destinazione? Bastava che mi parlaste un po’ di più, giusto qualche battuta, eh, magari anche sul tempo. E invece avete fatto come tanti, zitti zitti, le cuffie e il sonno forzato.

Beh, la prossima volta ci penserete due volte.

Ah, dimenticavo. Volevo dirvi giusto una cosetta in più. La vostra roba è in buone mani. C’è tanta gente che c’ha bisogno.

Adieu.  La maga Sibilla”.

 

Tiziana richiuse il libro e chiese alla mamma: “Mamma, a che ora arriviamo? Rispondimi, per favore. Sennò poi mi devi ricomprare tutti i vestiti”.

La mamma guardò interrogativamente la sua bambina e poi le disse: “Tra pochi minuti. Anzi, svelta, rimetti il tuo libro nello zaino, su… ma che cosa stavi leggendo? Non è una storia per bambini, mi pare”.

“Me l’ha dato la maestra Ida, quella delle Marche, ricordi?”.

“Ah, la streghetta bruna, sì sì. Comportati bene con lei, mi raccomando”.

“Sì, sì... abbiamo tutti i bagagli, ci vuole bene”. Tiziana si accorse che la mamma non la stava già più ascoltando.

Giorni dopo la sentì domandarsi: “Dov’è finito il mio rossetto?”.

Pensò alla signora che chiedeva l’elemosina davanti al supermercato.

Era in buona mani, poteva stare tranquilla.










lunedì 27 gennaio 2014

Giglio rosso, cuore grosso, un altro esercizio di Minuti scritti



Non ho molto tempo (sto aspettando una telefonata importante), ma approfitto dell'attesa per parlare per l'ultima volta (lo giuro) di Minuti scritti, lo stimolante libro di Anna Maria Testa che ho finito di leggere sabato scorso.

Leggere non è il verbo adatto, perché in realtà volevo dire che ho terminato tutti i compiti contenuti nel manuale della pubblicitaria milanese, ma non ho seguito proprio adesso uno dei consigli più importanti dalla medesima elargiti, ossia rileggere per bene ciò che si è scritto tagliando il superfluo.
Ma in questo caso, non fa niente: come si dice, solo chi fa sbaglia.

E io ho sbagliato parecchio durante la lettura ragionata dei suoi esercizi, che la Testa fa seguire da un capitolo conclusivo dedicato a tirar le fila di un ragionamento condotto con la grazia elegante di una chiacchierata brillante, di quelle che ti squarciano la tua, di testa (e, a proposito, giusto a me che sono fissata con il motto nomen omen, doveva capitarmi di imbattermi in una persona con un cognome così. Un bel cranio, il suo, non c'è che dire).
Tornando a bomba, mi limito a riportare qui l'esercizio che mi è venuto meglio (per quello peggiore, invece, bisogna che ci rifletta un altro po'...), precisando che non so proprio da dove sia saltato fuori.

O meglio: ho capito ancora una volta che la mia scrittura analogica, ossia quella sollecitata ad arte dal prezioso manuale, si attacca alle suggestioni dell'ultim'ora in una maniera quasi scientifica.
Se avessi avuto più tempo, cioè, non credo che avrei svolto l'esercizio intitolato "Storie per strada, tempo richiesto 15 minuti + una passeggiata", nel modo che vedrete.

Come base di partenza avevo solo una targa d'auto, dalla quale dovevo estrarre le prime due lettere o le ultime due, che mi avrebbero dato le iniziali di una persona e di un motto (Anna Maria aggiunge anche "una caratteristica o un fatto saliente") e il sesso della persona, maschio se l'auto era scura, femmina se chiara.
E la passeggiata? Beh, non l'ho fatta, semplicemente perché in quel momento pioveva assai e non mi andava, ma nel libro erano riportate una serie di targhe, l'ultima delle quali è diventata la mia, almeno per i quindici minuti successivi.

Eccovi qua l'esercizio:

GIGLIO ROSSO, CUORE GROSSO
 
Giglio rosso, cuore grosso. La prima volta che l’aveva sentito dire avrà avuto quattro anni. Da allora non l’aveva più dimenticato. E dire che di anni ne erano passati ben 71. Giorgio non riusciva a crederci. Nella sua famiglia era, allo stato attuale, il più vecchio. Noi Rapisardi siamo sempre stati debolucci, me lo diceva sempre mia madre. Però lui era nato sotto una buona stella, sempre a sentir lei. Un maggio così tiepido non si era mai visto, gli raccontava, tenendolo sulle ginocchia. “Sei nato in un pomeriggio talmente caldo e limpido che sembrava già fine giugno”, gli diceva cullandolo.
Giorgio adorava la voce di sua madre, un po’ sgranata e quasi maschile. Non sarebbe mai sceso dalle sue ginocchia, in particolare quel giorno che gli parlò, per la prima volta, del giglio rosso che improvvisamente era spuntato, tra i soliti bianchi. Stava per partorire, aveva appena rotto le acque.
“Tuo padre era bellissimo, ci parlavamo a gesti, sai? Solo molto dopo ho imparato la sua lingua. Gli dissi che ero incinta, un giorno prima che salpasse. Dovevi vedere com’era contento, gli vennero le lacrime agli occhi, lui che era sempre così calmo. Tornò con un sacchetto di semi e mi fece capire che dovevo piantarli subito, così non l’avrei dimenticato. Ma come potevo dimenticarlo, tesoro mio? Mi aveva dato te, mai sarebbe successo. Nel sacchetto c’era anche un biglietto, che all’epoca non riuscivo a leggere bene. Avevo solo la terza elementare, lo sai, e all’epoca chi ci pensava alla scuola?”.

Guardò fuori dalla finestra, c’era un bel sole, chissà se era lo stesso di tanti anni prima. Fu allora che vide la macchia rossa, nel mare di bianco. Forse sua madre aveva ragione. Sarebbe vissuto ancora a lungo.

Dall’altra parte dell’Oceano Martin Red si lasciò uscire una lacrima, mentre l’infermiera gli misurava il battito. “Complimenti, Mister Red, il suo cuore è ancora in forma. Mi dice qual è il suo segreto?”.

Martin sorrise e si lasciò sfuggire come per caso: “Giglio rosso, cuore grosso… Buon compleanno, figlio mio”.
 
Non sarà un capolavoro (ma figuriamoci), però mi piaceva pubblicarlo oggi. La Shoah non c'entra (o forse un pochino c'entra), ma la memoria collettiva e personale sì.

Ho ricevuto la telefonata che aspettavo. Vorrei tanto che quel motto fosse vero.

martedì 21 gennaio 2014

Margherita Hack e il segreto del matrimonio, in un esercizio di scrittura




Chissà chi è l'autore di questa bellissima fotografia di Margherita Hack, gli occhi celesti più vivaci che io abbia mai visto, che le regalavano, almeno in età avanzata, uno sguardo molto simile a quello che aveva la mia nonna paterna. In comune tra loro, c'è anche l'anno della scomparsa, ancora troppo recente per poter essere completamente metabolizzata.

Mi accorgo, tra l'altro, proprio adesso, mentre scrivo, di aver già scovato un'altra analogia tra una grande donna della letteratura come Doris Lessing e la madre di mio padre, poco scolarizzata ma dotata di un'intelligenza ricca di buon senso veramente fuori dal comune esattamente come queste due signore immortali per la storia dell'umanità. Qualcosa mi dice che si sarebbero state simpatiche se si fossero conosciute. Ignoro, tra l'altro, se non sia davvero capitato, almeno a Margherita e Doris, di conoscersi personalmente.

In tutti i modi, mio padre mi ha passato il libro ricevuto in regalo a Natale Italia sì, Italia no, considerato il testamento spirituale dell'astrofisica fiorentina, amante delle stelle e degli animali. Ricordo di essere stata accolta al telefono, durante l'intervista che ho avuto la fortuna di farle, dall'abbaiare del suo cane. Dimenticai di chiederle come si chiamasse, probabilmente perché intimidita dalla consapevolezza di avere all'altro capo dell'apparecchio questa grande azzurra signora.

Non so perché, anzi forse lo so, ma ho parlato di lei e del suo compagno di vita Aldo nell'esercizio che ho tratto da Minuti scritti, il prezioso libro di Anna Maria Testa, che ho comprato per prepararmi a un possibile imminente lavoro.
Osservando la foto dei due anziani che si baciano in una strada deserta di città, mi è tornata in mente la frase scritta dalla Hack a proposito del suo matrimonio, durato sessant'anni grazie all'amicizia straordinaria e alla complicità tra lei e il suo uomo, due elementi che sembrano così difficili da reperire nei rapporti della contemporaneità.

Avevo, certo, solo venti minuti di tempo per buttare giù un testo che fosse collegato a una delle quattro immagini selezionate dalla pubblicitaria milanese dotata di grande mestiere e sensibilità, ma tra tante storie, o abbozzi di queste ultime, la mia psiche è andata a ripescare proprio quella frase, letta pochi giorni fa, ma rimasta scolpita in me assai più dei brani del libro decisamente più significativi per il futuro della nostra patria, che Margherita ha finito per dettare dal suo letto d'ospedale, due giorni prima della morte.

Ve lo ripropongo qui sotto, non perché sia un capolavoro letterario, ma soltanto per la sincerità con cui l'ho buttato giù.


Margherita e Aldo si sono amati e rispettati per sessant’anni. Dieci volte sei. Ci pensate? Non so dire se si scambiassero anche effusioni in pubblico come i due anziani nella fotografia. Una fotografia che, tra parentesi, trovo un tantino scontata. Sì, sorridono mentre le loro bocche si toccano proprio lì, in mezzo al marciapiede di una cittadina forse americana o forse nordeuropea. Però è talmente chiaro che siano consapevoli della presenza del fotografo. Magari li ha voluti ritrarre così una nipote (sì: è ancora tipico delle donne cedere a sdolcinatezze così), il che me li rende più simpatici. E tuttavia non so: scambiarsi baci in pubblico non è mai stato il mio forte neanche quando avevo vent’anni, non so dire che cosa farò alla loro età, ma qualcosa mi dice che preferirei evitare prove materiali dell’eventuale passione tardiva.

Non che non desideri, come qualsiasi ex bambina sopra i 40, di amare ed essere amata tutta la vita dal mio uomo. In generale, l’amore è un grande miracolo dell’esistenza: non vedo perché negarselo in età avanzata. Posso ben dirlo io che ho scritto per anni di anziani. L’esperienza lavorativa, anzi, mi ha aiutato a interrogarmi molto più di quanto non abbia mai fatto prima sul senso dell’esistere.

Sul tempo, le stagioni, la malattia, la morte. Sì. Anche quella. Sono sicura che Margherita avrebbe continuato a scegliere il suo Aldo mille altri giorni ancora se la falce non l’avesse recisa. Certo, campare fino a oltre novant’anni sembra un intervallo ragguardevole tra il  nulla che precede e quello che probabilmente segue. Eppure, sono certa che per una donna come lei, con un’energia straordinaria come la sua, il pensiero di non esserci più non dovesse aggradarle poi molto. Chissà che cosa sta facendo il suo Aldo adesso. Le parlerà guardando le fotografie, sfogliando i suoi libri? Mi è appena venuto in mente il personaggio di Pereira, il bel libro di Antonio Tabucchi interpretato da un invecchiato ma sempre immenso Marcello Mastroianni. Proprio Pereira, tutta la vita passivo e schivo, rimasto legato troppo a lungo al ricordo della moglie scomparsa, alla fine capisce che è arrivata l’ora di battersi per un ideale maggiore. Per l’umanità. Per il futuro. Tutti dobbiamo scomparire e per chi non crede nell’aldilà morire è una vera iattura, a meno di non essersi condannati anzitempo alla morte interiore. A meno di non essere così disgustati da questo sangue che ci pulsa in corpo da preferire la polvere e la terra al frusciare degli alberi e il rullar del mare.

Insomma. Ben vengano anche le foto in strada, in posa o meno, se servono di esempio a chi dubita di avere ancora qualche carta da giocare, fosse anche a 80, 90, cento e passa anni.

Perciò grazie, Margherita, per quel che hai fatto per tutti noi e per il tuo amore per Aldo, che sicuramente non ti dimenticherà mai.

Che cos'altro aggiungere?
Solo che bisogna darsi da fare. Soprattutto se si è donne e si vive in Italia. Se poi si ha la fortuna di incontrare un uomo che ci sa stare affianco, meglio, ma nessuno può dotarti di una forza che non hai.
Ricordiamocelo sempre.