Riassumendo: da inizio luglio sono tornata in Italia. Definitivamente.
Mi sono accorta da vari segnali sui social che un sacco di miei conoscenti non l'aveva capito.
Non che ci tenessi, evidentemente, a mettere i manifesti.
Avevo bisogno di riprendere confidenza con il mio Paese, la mia cittadina adottiva (Porto San Giorgio) e quella natale (Chieti).
Tutto qua.
E però, finita l'estate da un momento all'altro (ma proprio letteralmente: ho fatto il bagno l'ultima volta il 4 ottobre), mi sono resa conto che, se non proprio i manifesti, almeno qualche piccolo poster bisognava pure che lo appendessi.
E sì, perché ho bisogno di lavorare e, come immaginavo già da prima di tornare (anzi: già da prima di trasferirmi a Vienna), il lavoro qui (particolarmente qui, ma anche oltre confine, ve l'assicuro) lo si trova più facilmente per conoscenza diretta.
Ovviamente, non sto parlando di raccomandazioni (se fosse così, non avrei bisogno di scrivere questo post): sto parlando proprio del classico passaparola.
Ecco. Più di qualcuno adesso si starà domandando, come ai vecchi tempi, "che cosa vuoi fare?".
Darò una risposta probabilmente scontata, ma è l'unica che mi viene in mente: "Tutto".
Specificando un po' meglio, tutto quel che il mercato del lavoro mi darà la possibilità di fare quando me ne darà l'occasione.
Ad insegnarmelo, è stato il passaggio in Austria, dove mi sono trovata a sperimentare la doppia vita di lavoratrice dipendente con contratto a tempo indeterminato e di disoccupata con sussidio continuativo.
Gli inizi, dell'una e dell'altra esistenza, sono stati complicati per via della limitata conoscenza del tedesco e del rigido protocollo da seguire.
Una volta sistemata la burocrazia, tutto è poi filato liscio fino all'ultimo giorno. Gli asburgici hanno finito di versarmi ad agosto di quest'anno tutto quel che mi spettava, fino all'ultimo centesimo.
Finché sono stata lì, in cambio l'Agenzia del lavoro (chiamata Arbeitsmarketservice, in sigla AMS, temutissima da me, quando la vedevo lungo le ciclabili con quei caratteri cubitali in blu e rosso) mi ha chiesto solo di mostrarmi attiva nel mio desiderio di reinventarmi un futuro. Come l'ho fatto? In primo luogo, ho frequentato due corsi di lingua tedesca incrociandoli con gli incontri con le consulenti specializzate nel supporto al lavoro al femminile.
Sulla mia strada ne ho incontrate tre, più una quarta che è stata quasi un'amica, e varie altre figure di contorno, compreso il simpatico turco, Taylan K., ex giornalista laureato in Scienze Politiche come me, che mi ha parlato di Berlusconi.
Della prima consulente, ho già scritto qui, come forse qualche amico lettore ricorderà. Ai tempi stavo per sostenere il mio esame B1 di tedesco e pensavo di potermi candidare anche per posizioni, diciamo così, più basic: a detta della consulente, avrei potuto provare a fare la commessa in qualche negozio italiano del centro, dato che, a suo dire, l'austriaco parlato da una figlia della terra do' sole è considerato "charmant".
Tutto questo succedeva quando il Covid era già tra noi e i negozi, compresi quelli che mi avrebbero dato (forse) della charmant, erano chiusi o stavano per farlo. Idem per i musei, dove ho tentato di candidarmi per fare la sorvegliante (Museumsaufsicht, ricordo ancora la dicitura che inviavo all'AMS nei report periodici sulle mie candidature).
Per fortuna, il sussidio era sempre lì a sostenermi, per cui, tra una foto alle pipe di mio marito e l'altra, ho continuato a tenere duro.
Soprattutto, sono andata avanti con lo studio del tedesco, ottenendo anche il B2 alla vigilia della, credo, seconda ondata viennese e relativo lockdown.
Salto qualche passaggio per arrivare alla prima parte di quest'anno, quando ho conosciuto le altre due consulenti.
Katarzsyna S. è una quarantenne di origine polacca, con occhiali ed espressione bonaria su viso rotondo e fisico solido. La prima volta ci siamo viste su Skype. Non sapendo che cosa aspettarmi, per l'incontro mi ero messa persino il rossetto.
Lei, invece, indossava una felpa oversize, sfoggiando anche una grossa pinza nella quale aveva raccolto i suoi lunghi capelli chiari.
Abbiamo chiacchierato a lungo, mi ha parlato di Freude, gioia, in quello che si fa per campare, di Beruf, lavoro nel senso di professione, mestiere, impiego e Berufung, vocazione, sottolineando quanto sia importante fare qualcosa che ci somigli, come si dice.
Io la guardavo con rispetto, questo sì, ma anche con un pizzico di perplessità, non per le sue belle e rassicuranti parole (intervallate da materni Frau Cicalini, pronunciati sempre con grandi sorrisi), ma per le reali probabilità che dalle sue belle parole la sottoscritta potesse arrivare un giorno ad avere un nuovo lavoro, pagato, ovvio, ma anche foriero di gioia.
Con Kate ci siamo viste online almeno altre due volte. Indimenticabile quella in cui, di ritorno dall'Italia, il Bipede ed io siamo stati accolti dal riscaldamento rotto. In vista del mio appuntamento con lei, mi sono lavata almeno i capelli, scaldando le pentole sul fuoco. A pochi metri da me, dall'altra parte dello schermo del mio computer, stazionava il proprietario intento a discutere con l'idraulico su come rianimare la caldaia defunta (e per fortuna alla fine sostituita con un modello endlich, finalmente, moderno).
Ma dello scrauso ho già parlato, quindi andiamo avanti.
L'ultimo incontro con Kate è avvenuto di persona. Di persona personalmente, avrebbe detto Catarella.
Era fine maggio, la decisione di rimpatriare era già stata presa, ma lei ci ha tenuto comunque a incontrarmi. Ci ha tenuto perché? Forse le ero anche un po' simpatica - con gli estranei faccio spesso la giullare - ma credo che in verità il motivo fosse un altro. Il fatto era che tra le consulenze alle donne disoccupate la sua società prevedeva anche le passeggiate in natura a due, o in gruppo.
Ok, le ho detto via mail, vediamoci pure. Posto prescelto per il Berufungsausflug (me lo sto inventando adesso: vorrebbe dire qualcosa del tipo gita motivazionale) il parco di Schönbrunn, il mio posto del cuore a Vienna.
Mi ha parlato dei suoi nonni polacchi e del fatto che non fossero stati contenti che i genitori la portassero a vivere proprio nella terra dei nemici di un tempo. Kate alla fine si è inserita, ci ha messo un po', ha precisato, ma alla fine di Vienna le piace, le piaceva, la Gemütlichkeit, la tranquillità. Per lei, mi diceva mentre camminavamo, da sempre abituata ad andare a mille (un periodo si era pure lei trasferita all'estero, non mi sovviene dove, forse il Canada), Vienna è insomma un posto dove non c'è alcun motivo per correre. L'ho ascoltata con sincero interesse, anche quando sosteneva che gli italiani fanno più fatica degli stranieri provenienti da altri Stati, a inserirsi in Austria. Un po' come noi polacchi, mi è parso di cogliere tra le righe.
Sia come sia, lieta di come si era svolta la nostra camminata motivazionale, alla fine le ho chiesto se potevamo scambiarci gli indirizzi.
Le ho scritto io pochi giorni dopo per mandarle una foto, poi non ci siamo sentite mai più.
Non importa, è giusto così, però io dovevo mandarle quello scatto così straordinario.
Mentre eravamo intente a vergare i nostri indirizzi sedute su una panchina, a pochi metri da noi gironzolava una volpe, rossiccia e quieta, perfettamente a suo agio tra noi e gli altri umani che passeggiavano per il parco e che naturalmente avevano preso a fotografarla.
Kate, che credeva un po' nello sciamanesimo o in qualcosa del genere, mi ha parlato di quell'incontro tra noi e la bellissima quattrozampe come di un segno. Non saprei dire di che cosa, ma è comunque un ricordo che porterò per sempre con me, insieme con le sue parole sul mio valore. Non dimenticarti mai chi sei e quanto vali, mi ha detto. Grazie ancora, Kate, qualunque cosa tu stia facendo adesso, chissà se davvero sempre a Vienna.
Tolto il momento amarcord, mi tocca arrivare al punto nodale di questo lunghissimo post.
Dicevo che le consulenti che ho conosciuto erano tre.
L'ultima, solo in ordine cronologico, è Bettina H. Se oggi sono qui finalmente a casa mia, lo devo infatti essenzialmente a lei.
Giornalista di formazione e presumo di professione, l'ho scovata scoprendo per caso il progetto di reinserimento al lavoro dei pennivendoli come la me di un tempo, chiamato Ajour.
Finanziato anche questo dall'AMS, ho potuto accedervi sempre perché ho lavorato (come speaker di una radio in store finanziata dal gruppo Rewe) con un contratto superiore a dodici mesi e perché sono munita di una qualifica professionale, che evidentemente riconoscono anche lì.
Per essere inserita nel progetto, ho sostenuto un colloquio con un collega presumo pensionato, un austriaco anziano dal fisico da camminatore di montagna e giacca di tweed marroncina.
Molto simpatico, molto giornalista vecchia scuola, mi ha accolto in una specie di Circolo della stampa non troppo dissimile da quello milanese: ci siamo capiti, avevo in effetti già in testa di rientrare in patria e ho apprezzato tantissimo il tempo passato insieme a spulciare sul web le aziende austriache che hanno contatti con l'Italia.
Salutandoci, mi ha allungato il depliant più dettagliato del progetto Ajour ed io ho notato che tra i loro consulenti c'era anche uno psicologo. "Ci sono molti colleghi che ne hanno bisogno", mi ha spiegato rispondendo a una mia domanda vagamente ironica sulle ragioni che li avessero spinti a prevedere un supporto del genere. Ho smesso immediatamente di fare la stupida, ho ringraziato e mi sono messa in attesa della chiamata della collega che parlava italiano.
"Ha avuto un culo mondiale", mi ha detto questa signora di cui non ricordo più il nome. "Si è liberato un posto con la nostra consulente Bettina H. che potrà seguirla almeno fino a fine giugno".
Ottimo. Conosciamo anche Bettina, mi dico.
Capelli grigi su viso florido, Bettina si è palesata su Zoom un pomeriggio imprecisato tra aprile e maggio, scuro e minaccioso.
Ho sempre avuto un problema di punti luce, in pratica in tutte le case in cui ho abitato. Chissà che cosa avrà pensato di me, Bettina, vedendomi illuminata di giallo itterizia.
Qualunque siano stati i suoi pensieri, mi ha chiesto di descriverle che cosa avessi fatto durante la mia vita lavorativa: è andata abbastanza nello specifico. Mi ha chiesto persino quanti lettori ho su questo blog, un dato che, naturalmente, ignoravo e ignoro tuttora.
Rammento di essermi sentita un po' a disagio: perché insiste così, mi domandavo, perché vuole sapere tutte queste cose?
La mia faccia doveva parlar più chiaro delle mie parole in tedesco, perché a un certo punto Bettina mi ha fatto la domanda delle domande: "Ma tu - perché Bettina mi dava del tu a differenza delle altre due consulenti - dove vuoi vivere: qui o in Italia?".
Risposta secca, dopo una piccola pausa drammatica: "In Italien".
"Allora dobbiamo fare tutto un altro ragionamento", ha considerato lei.
Con Bettina H. abbiamo stabilito il calendario dei successivi incontri, fino all'ultimo di fine giugno, in cui ci siamo viste per un semplice caffè virtuale, dato che a quel punto avevamo ormai già impacchettato tutto.
La seconda volta, invece, Bettina mi ha messo al centro del foglio che vedete sopra.
Alessandra kann, Alessandra può, e mi ha aiutato a tirare fuori una per una le mie competenze e attitudini. Ho conservato quel foglio fino ad oggi perché sapevo che un giorno ci avrei scritto qualcosa.
Chi conosce la lingua non ha bisogno che mi metta lì a tradurne le singole voci, per tutti gli altri posso giusto riassumerne il senso generale.
Alla Obama maniera, anche io, come tutti noi, posso, possiamo, essere protagonisti delle nostre vite.
L'importante è crederci davvero, profondamente. Con fiducia e determinazione.
Perché se non ci crediamo noi, difficilmente ci crederà qualcun altro.
Su questo concetto, all'apparenza banale, ci lavoro tutti i giorni, con una convinzione sempre maggiore, prestando bene attenzione a non intristirmi eccessivamente o, peggio, ad autocommiserarmi.
Allenarsi a credere davvero in se stessi implica anche circondarsi di persone positive, ma imparare a riconoscerle è un'operazione che richiede antenne dritte, molto buonsenso e zero buonismo.
Non vedo l'ora di potervi raccontare gli sviluppi.
Madamatap è tornata. Più Tap e Madama (ho svoltato i 50, non ci posso credere!) che mai.
Ah, dimenticavo: il curriculum che vedete sotto è stato tradotto dalla sottoscritta dal tedesco all'italiano. L'impaginazione è rimasta all'incirca quella che aveva impostato la prima consulente, quella che mi parlava di charmant (Kate aveva provato a sua volta a stilare una seconda versione con un lunghissimo primo foglio di sintesi, ma il suo tentativo non ha entusiasmato Bettina, per cui alla fine l'ho accantonata e mai più ritradotta).
I colori, invece, sono stati aggiunti da Michaela R., una quarta consulente che ho conosciuto ai tempi dei miei corsi di tedesco, una donna dagli occhioni blu alta e longilinea, amante delle passeggiate in bicicletta, che mi ha dato a sua volta ottimi consigli, pratici ma non solo.
Per questo e per molto di più mi sento molto fortunata.
Basterà solo mettersi davvero in gioco e tutto andrà come deve andare. Dateci dentro con segnalazioni di qualità, daje!
E, in ogni caso, bis bald, a presto, e grazie del sostegno.