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giovedì 19 ottobre 2017
George Winston, i gatti e la vita
E alla fine il posto in prima fila ce l'hanno sempre loro: gli amici a quattro zampe.
Sono mesi che non aggiorno il blog e non credo che tornerò a farlo in modo regolare, però ho proprio avvertito l'esigenza di ripassare di qua dopo aver letto un articolo dedicato a George Winston, pianista americano noto (soprattutto) per aver riarrangiato la musica di Vince Guaraldi da quest'ultimo composta per i film sui Peanuts.
Ignoravo quale ruolo avessero giocato i gatti nella vita di questo musicista, autore di un cd di commovente bellezza, intitolato Spring Carousel.
Nell'articolo si spiega come e dove l'abbia realizzato, ossia di sera nella sala musica dell'ospedale nel quale Winston era ricoverato dopo un serio intervento chirurgico.
Non so se questo pianista dal viso etereo e il sorriso rasserenante abbia sconfitto definitivamente il male, ma di sicuro i ventidue gatti che ha incontrato durante la sua esistenza dall'infanzia a oggi l'hanno aiutato a elevarsi al di sopra di ogni dolore.
Basta sentire la sua musica per capire di cosa sto parlando.
Ho corso con i brani di Spring Carousel nelle orecchie durante l'ultima dieci chilometri che ho affrontato in buona parte da sola. Era la prima volta che l'ascoltavo e ne ignoravo la genesi.
Eppure.
L'album è dedicato alla primavera, racconta sempre il musicista nell'intervista, ossia il periodo della sua convalescenza in ospedale.
Un'analoga primavera si è portata via mia madre, ma io non ho smesso di amarla, come stagione, né ho smesso di credere nel potere curativo dei gatti (ma anche dei cani, per chi li ha), che pure lei ha imparato a conoscere a partire da un certo momento della sua vita.
C'è qualcosa in queste creature che ti costringe alla contemplazione. La grigia che vedete sopra sulla radio, per dire, tutte le mattine mi miagola fortissimo finché non mi costringe a sedermi e a tenerla in braccio.
Non crediate che lo faccia per affetto: sono certa che voglia solo scaldarsi un po', ma non nascondo che il suo opportunismo mi piaccia davvero molto, perché è come se mi spingesse a fare altrettanto.
Molla gli ormeggi, biondina, sembra voglia dirmi, intiepidendomi le cosce.
Uno dei brani dell'album di Winston porta il nome di uno dei gatti più importanti nella sua vita (si chiama Pixie #13 in C - Gobajie).
L'intervistatore lo giudica particolarmente ispirato e in effetti ha ragione, forse anche perché anticipa bene i pezzi conclusivi dedicati all'amore, in tre diverse declinazioni, difficili da descrivere con le parole.
Se proprio devo sforzarmi, direi che nei brani di Winston (anche in quelli dedicati ai Peanuts) c'è sempre qualcosa che ti invita a lasciarti andare, esattamente come fanno i corpi di questi animali quando dormono.
Al contempo, una musica di così immensa grazia richiede un ascolto attento, così come fa la gatta grigia, quando mi assale con i suoi miagolii finché non mi trasformo nel suo scaldino.
Durante la corsa c'eravamo solo io, le mie gambe e le note di questo straordinario personaggio. Sono arrivata al traguardo quasi riposata. Qualcosa del genere mi capita dopo una seduta con la gatta sulle gambe, tolti gli scricchiolii delle giunture e lo stiramento sonoro molto poco felino.
Sono momenti di presente assoluto e di nostalgia.
Chissà se capisce quello che le dico. Perché, naturalmente, con i nostri piccoli amici si parla. In particolare, arriva sempre un momento in cui muovo un arto preceduto dal mio: "Ok, adesso è ora di scendere, forza". Di solito alza prima mezzo orecchio e solo al secondo o terzo micro movimento salta giù con un vago senso di fastidio. I cuscini umani non valgono una cicca, penserà.
La seduta mattutina mi costringe ad accettare lo scorrere del tempo, a spurgarmi, a volte, dai sensi di colpa per la mia protratta inattività.
La musica di Winston si adatta perfettamente a questo stato d'animo.
Intuisco la grandezza del privilegio che mi è capitato in sorte proprio durante attimi del genere.
Dov'è andata la rabbia? Perché, anzi, ero arrabbiata prima?
Poi, certo, il cd finisce e la gatta si accoccola nell'angolo del divano sulla sua copertina.
Io sono ancora in pigiama o in tuta, non ho nemmeno messo la crema sul viso e non so bene che cosa sarà della mia giornata, ma non è il caso di preoccuparsi.
La vita va avanti lo stesso.
E qualcosa accadrà.
Fino alla prossima seduta musico-felino-terapeutica.
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lunedì 5 gennaio 2015
Ciao, Joe, Ed e Pino. E grazie
Edward Hermann, alias il grandissimo Richard Gilmore e non solo |
Occupata come sono stata ad affrontare il primo Natale senza la mia mamma, non ho avuto la forza né la voglia di dedicare qualche parola a due, da stanotte tre, personaggi pubblici che hanno influito sulla mia vita. I primi due su quella recente, l'ultimo in ordine di tempo sulla mia prima adolescenza.
Sto parlando di Joe Cocker, scomparso alla Vigilia di Natale, di Edward Hermann, scomparso alla vigilia del nuovo anno, e di Pino Daniele, che se n'è andato giusto alla vigilia della Befana.
Sull'ultimo proprio in questo momento si stanno versando molte lacrime, alcune di coccodrillo come sempre capita in circostanze simili, per cui mi limito per il momento solo a rilanciare nuovamente il pezzo di Massimo Del Papa, sentitamente sobrio come solo un asso della parola come lui sa fare quando vuole.
Su Joe Cocker rilancio di nuovo il mio provetto cognato, ma aggiungo giusto che alla vibrante voce di Sheffield ho in passato dedicato più di un post. Giusto la scorsa estate, dopo aver ricevuto dal Bipede il suo ultimo live, mi ero detta che mi sarebbe assai piaciuto vederlo dal vivo. Non ho fatto in tempo, ma da un altro punto di vista ho fatto in tempo: a conoscerlo e apprezzarlo come era giusto fare. Te ne sei andato anche tu troppo presto, Joe. Non dovevi proprio farci questa, accidenti. Non appena avrò la forza, riascolterò l'album Fire it up, che ho ancora nella mia scassata pennetta-radio, accanto alle poche cose nuove che vi ho inserito (Cristina Donà, intendo: l'ultimo e Tregua, il primo).
Della perdita di Edward Hermann, invece, sono sicura che sono in pochi a dolersi, almeno in Italia, o per lo meno tra la maggioranza di quelli che non hanno seguito la saga delle Gilmore.
Richard, il nonno di Rory e il padre di Lorelai, è sopravvissuto, durante le sette stagioni, a due diversi brutti colpi, il secondo più grave del primo. Alto un metro e novantacinque, 71 anni compiuti lo scorso 21 luglio (un giorno dopo il mio compleanno), questo mega attore nato a Washington DC ti dava l'idea della solidità fisica ed emotiva.
Non avevo idea che se lo stesse mangiando a brandelli un tumore al cervello. A porre fine alla sua agonia, hanno infatti pensato i familiari (l'amatissima seconda moglie in particolare, rimasta incinta di Ed nel 1981, durante le riprese di un film, quando l'attore era ancora legato alla prima moglie), che hanno dato l'ok al distacco da tutti i macchinari.
Della sua scomparsa ho saputo tornando in treno il primo dell'anno, dallo smartphone di mio marito. Inebetita dall'assenza di sonno, sono rimasta senza parole e senza lacrime, come mi è successo anche stamattina, quando, compulsando il mio lento accricco telefonico, ho scoperto dell'ennesima scomparsa.
Associo Pino Daniele a mia sorella Linda e ai suoi anni inquieti di adolescente. La guardavo con ammirazione (cosa che sotto sotto faccio anche adesso), perché la trovavo sofisticata nei suoi gusti, nell'abbigliamento innanzitutto, ma anche in quelli musicali.
Grazie a Linda ho conosciuto Vai mo' e Nero a metà, in particolare, e sempre grazie a lei ho scoperto di amare assai i ritmi latino-brasiliani (anni dopo ha avuto il periodo Caetano Veloso e Gilberto Gil) e in generale di non riuscire a vivere senza una qualche colonna sonora.
Nel tempo ho naturalmente sviluppato un gusto autonomo, ma quel che accade a 13-14-15 anni ti resta attaccato alle vene più di un'infezione.
Dedico ai miei anni verdi (e a quelli di molti di voi, passati, presenti e futuri) una delle canzoni di Pino che ho amato di più:
Grazie.
domenica 9 giugno 2013
Etta James, una vita con l'amore dentro
Post volante prima di tornare dalla regina Vicky (è già tardi, poverina).
Ho scoperto Etta James: mi fa venire le lacrime senza un perché.
E del resto, era proprio lei a dirlo: le mie canzoni fanno piangere anche me, anche se se non ce ne sarebbe motivo.
Di ragioni per tirare fuori tutta l'anima direttamente dalla sua ugola, in verità, la piccola-grande Etta ne aveva molte. Una madre bambina, drogata e scombinata, un'infanzia bruciata troppo presto e una maturità piena di alti e bassi.
Etta James è morta a 74 anni nel 2012 di leucemia. E io non ne sapevo nulla. Conoscevo, certo, una delle sue canzoni più famose, finita in uno spot tv. Ma non avevo idea che dietro quella voce blu ci fosse una ragazzina di appena 22 anni. Ebbene sì: i suoi capolavori li ha registrati in un'età bellissima, sì, ma molto pericolosa. Quando il successo arriva troppo presto, infatti, è più facile che poi il resto della vita trascorra nel rimpianto di ciò che c'è già stato. Ma in fondo non so niente di lei e chissà che non fosse comunque stata contenta così. Almeno, si sarà detto, la mia vita ha avuto un senso e continua (ve l'assicuro) ad averlo anche per chi non mi ha mai sentita cantare dal vivo.
Io, per esempio, come l'ho conosciuta? Ascoltando frammenti del suo album più famoso, "At last", sul cellulare. Uno dei veri prodigi degli smartphone è proprio quello di darti uno strumento in più di conoscenza. Basta mettersi a cercare e qualcosa prima o poi salta fuori.
Da ieri ho il cd (anzi, doppio cd più varie bonus track), ossia sono tornata all'antico, grazie a Paolo che ha pensato bene di regalarmelo per il nostro anniversario (della festa, non del matrimonio! Perché noi teniamo quasi più alla prima che al secondo, non so bene perché. Forse è una sorta di sindrome da sabato del villaggio pre-matrimoniale).
Ed eccovi qui il brano che ha dato il nome al titolo.
Piangete un po' con me e poi andate fuori a cercare l'amore. Se non l'avete già trovato. Se non vive già in voi, come dovrebbe, tutti i giorni della nostra vita.
venerdì 25 gennaio 2013
Video e inglese, sentieri di dignità
Comunque vada a finire, vale la pena provarci. Fino in fondo.
Da qualche tempo, per esempio, ho ripreso a studiare inglese e mi sono prefissa l'ambizioso obiettivo di arrivare a usare anche su questo spazio, in un giorno chissà quanto lontano, la lingua allo stato attuale ancora più diffusa (usata) al mondo. Certo, sarebbe meglio puntare sullo studio del mandarino, ma temo che mi ci vorrebbe più tempo e soprattutto denaro, due elementi (soprattutto il secondo) che cominciano a scarseggiare.
Contemporaneamente, sto cercando di imparare, da totale autodidatta, a montare i video, un'attività, lo confesso, che mi piace veramente molto. Al punto da rischiare di farmene fagocitare del tutto, cadendo in una sorta di trance da nerd (come si chiamano gli smanettoni da un po' di tempo a questa parte. Mi chiedo sempre quando sia stata introdotta sta' inglesistica parola) un tantino insana.
Per fortuna poi ci pensa la palestra e la mia voglia di respirare aria fresca a farmi riscuotere.
E così, tra una lezione d'inglese, una visita in biblioteca per raccogliere informazioni sulla sibilla picena e altre leggende delle stupende montagne che contemplo spesso dalle finestre, e infine la ricerca e selezione delle immagini delle nostre gite fuori porta, è cominciato il nuovo anno, dalle prospettive piuttosto incerte in verità non solo per noi Sfaccendati.
E d'altra parte, mi domando e lo chiedo a voi: che cosa mai potremmo fare per sgombrare almeno un po' di nebbia da questo tunnel lunghissimo che abbiamo imboccato, il Paese e noi personalmente?
L'ho già scritto, ma conviene ripeterlo: l'unico bene da coltivare sempre, in tutte le fasi della nostra vita, è il rispetto di noi stessi. Solo così potremo continuare a guardarci nello specchio, impallidendo appena.
Perciò voglio chiarire un punto, a beneficio di quelli che ti esortano paternalisticamente ad andare avanti su questi sentieri, come farebbe uno zio magnanimo con il nipotino che si esercita alla chitarra: per me, lo studio della lingua, il montaggio di gallerie fotografiche e video, gli stessi post di questo blog non sono hobbies (per l'appunto), ossia non sono passatempi come il mio amato tennis dell'adolescenza o come il burraco per pensionati felici.
Sono invece la realizzazione pratica di questa battaglia continua per la dignità, il sogno di riscatto di chi spera (e lotta) ancora.
Detto questo, sono lieta di presentarvi il primo video realizzato congiuntamente da mio marito Sfaccendato e da me: quello che vedrete è il risultato di tre diverse passeggiate al mare, in giorni e luoghi differenti dello scorso autunno, così diverso da tutti quelli vissuti finora.
Sono fierissima del risultato, per quanto imperfetto sia: le musiche, composte dal compagno della mia vita, mi hanno guidato nel rimontaggio di alcuni passaggi e nella selezione finale del girato.
Spero proprio che sia solo un inizio di una collaborazione tra noi. Comunque vada a finire, valeva la pena provarci. E sì.
Buon ascolto e buona passeggiata al mare, amici.
Da qualche tempo, per esempio, ho ripreso a studiare inglese e mi sono prefissa l'ambizioso obiettivo di arrivare a usare anche su questo spazio, in un giorno chissà quanto lontano, la lingua allo stato attuale ancora più diffusa (usata) al mondo. Certo, sarebbe meglio puntare sullo studio del mandarino, ma temo che mi ci vorrebbe più tempo e soprattutto denaro, due elementi (soprattutto il secondo) che cominciano a scarseggiare.
Contemporaneamente, sto cercando di imparare, da totale autodidatta, a montare i video, un'attività, lo confesso, che mi piace veramente molto. Al punto da rischiare di farmene fagocitare del tutto, cadendo in una sorta di trance da nerd (come si chiamano gli smanettoni da un po' di tempo a questa parte. Mi chiedo sempre quando sia stata introdotta sta' inglesistica parola) un tantino insana.
Per fortuna poi ci pensa la palestra e la mia voglia di respirare aria fresca a farmi riscuotere.
E così, tra una lezione d'inglese, una visita in biblioteca per raccogliere informazioni sulla sibilla picena e altre leggende delle stupende montagne che contemplo spesso dalle finestre, e infine la ricerca e selezione delle immagini delle nostre gite fuori porta, è cominciato il nuovo anno, dalle prospettive piuttosto incerte in verità non solo per noi Sfaccendati.
E d'altra parte, mi domando e lo chiedo a voi: che cosa mai potremmo fare per sgombrare almeno un po' di nebbia da questo tunnel lunghissimo che abbiamo imboccato, il Paese e noi personalmente?
L'ho già scritto, ma conviene ripeterlo: l'unico bene da coltivare sempre, in tutte le fasi della nostra vita, è il rispetto di noi stessi. Solo così potremo continuare a guardarci nello specchio, impallidendo appena.
Perciò voglio chiarire un punto, a beneficio di quelli che ti esortano paternalisticamente ad andare avanti su questi sentieri, come farebbe uno zio magnanimo con il nipotino che si esercita alla chitarra: per me, lo studio della lingua, il montaggio di gallerie fotografiche e video, gli stessi post di questo blog non sono hobbies (per l'appunto), ossia non sono passatempi come il mio amato tennis dell'adolescenza o come il burraco per pensionati felici.
Sono invece la realizzazione pratica di questa battaglia continua per la dignità, il sogno di riscatto di chi spera (e lotta) ancora.
Detto questo, sono lieta di presentarvi il primo video realizzato congiuntamente da mio marito Sfaccendato e da me: quello che vedrete è il risultato di tre diverse passeggiate al mare, in giorni e luoghi differenti dello scorso autunno, così diverso da tutti quelli vissuti finora.
Sono fierissima del risultato, per quanto imperfetto sia: le musiche, composte dal compagno della mia vita, mi hanno guidato nel rimontaggio di alcuni passaggi e nella selezione finale del girato.
Spero proprio che sia solo un inizio di una collaborazione tra noi. Comunque vada a finire, valeva la pena provarci. E sì.
Buon ascolto e buona passeggiata al mare, amici.
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giovedì 11 ottobre 2012
E se fossi un musicista? Scoprilo con il metodo BrainArm di Guido Mallardi!
Ho sempre amato il pianoforte, l'unico strumento capace di produrre, almeno per le mie orecchie digiune da nozioni di armonia e solfeggio, rimbombi carichi di poesia.
Rammento ancora con molto piacere il saggio di musica di Valentina, una delle mie più care compagne di scuola. E dire che lei non era affatto contenta di esibirsi in pubblico. Invece io ho amato ogni singola nota partorita dalle sue mani e da quelle degli altri allievi, pure le più incerte.
Sensazioni simili a quel lontano pomeriggio della mia prima adolescenza sono riaffiorate quasi identiche durante le prove di mio marito e degli altri iscritti all'Accademia professionale di musica di Guido Mallardi, in vista del saggio di fine anno che si sarebbe tenuto da lì a pochi giorni.
Seduta sullo strapuntino di un piccolo divano pieno di spartiti e altri oggetti vari, a pochi passi dall'imponente pianoforte marrone al quale si avvicendavano gli allievi, mi sono sentita completamente a casa. Rispetto all'esperienza di molti anni fa, avevo in più il privilegio di poter osservare assai da vicino i volti concentrati dei pianisti (e di una giovanissima bassista). Ero talmente partecipe del loro sforzo esecutivo da sentirmi praticamente al loro posto. Da lì la mia idea di fotografarli durante il saggio, sempre, naturalmente, che ne fossero contenti sia il titolare dell'Accademia sia gli altri partecipanti. Ricevuto l'ok, ho tentato il più possibile di non disturbarli durante le prove e soprattutto nella prima serata ufficiale e ho scattato, scattato... Tempo fa ho pubblicato le piccole e amatoriali gallerie che raccontavano a modo mio entrambe le serate concertistiche (e parte delle prove generali).
Oggi sono lietissima di diffondere i video ufficiali prodotti direttamente dall'Accademia professionale di musica con il contributo di una piccola fetta delle mie fotografie (com'è giusto che sia) e qualche nota (nel secondo video, quello più breve) di "Pollini", la composizione del mio Sfaccendato preferito...
Quei giorni d'inizio estate sembravano promettere nuovi percorsi con l'autunno tornati a essere alquanto nebulosi. Eppure: niente è perduto, soprattutto quando nasce dal talento più puro.
Se poi quest'ultimo è accompagnato da grande serietà e impegno, i frutti sicuramente arriveranno.
L'ultima frase è dedicata in particolare a Guido Mallardi e alla sua brava e simpatica moglie, Elisa Campofiloni, insegnante di propedeutica musicale per i bambini dai 2 ai 7 anni.
Nonostante tutto, bisogna crederci, con forza e bastevole incoscienza.
A voi e a tutti quelli che verranno a provare il metodo Brain Arm pubblicizzato negli spot sopra riportati, grazie di cuore, per la musica che riuscirete a far sgorgare dalla vostra essenza e per l'effetto rinvigorente che procurerete a chi verrà ad ascoltarvi!
domenica 15 luglio 2012
E meno male che siamo Sfaccendati
La domenica è un giorno di festa anche per gli Sfaccendati? Ma sì che lo è, perché non dovrebbe esserlo?
Ieri c'è stato il bis, meritevole anch'esso di montaggio ad hoc, un altro lavoro gratuito che farò con grande partecipazione e impegno.
Domani, però, mi aspetta un'altra incombenza, emotivamente molto intensa. E naturalmente gratuita anch'essa. Perché l'amore (anche quello per i consanguinei...) mal si concilia con il denaro.
Oltretutto, sarò ripagata (e moltissimo) da affetto, risate, creatività ed energia. Tutti beni che non si comprano proprio per il loro inestimabile valore.
E se un domani dovessi essere meno Sfaccendata, beh, almeno mi consolerò ripensando a giorni magici come quello narrato nella galleria sopra linkata.
E agli altri vissuti canticchiando "il coccodrillo come fa".
Non c'è nessuno, ma proprio nessun adulto bene inserito nel mondo, che lo sa.
D'altra parte, a giudicare dalla scarsità dei bagnanti stamattina sulla riviera di Porto San Giorgio, comincio a pensare che di gente non in vacanza ce ne sia davvero molta in giro, checché ne dicano i servizi sui tg e sui giornali (ma che pena i poveri stagisti/cronisti locali mandati a fare domande alla commessa di turno in pausa pranzo al mare: non vorrei proprio essere al loro posto). Saranno al lavoro, direte voi? Può darsi, considerata la tradizione degli italiani di ammassarsi tutti ad agosto sulle spiagge nazionali o negli aeroporti per località più in, ma a sentire Rai, Ibrahim o Birahim, se la memoria non mi inganna, senegalese ultracinquantenne diventato ormai un amico di famiglia, di affari se ne fanno davvero pochi e non perché i potenziali clienti delle sue borse taroccate (o vere, chi lo sa: bisognerebbe chiederlo ai grandi marchi che fingono disappunto per la contraffazione delle loro griffe milionarie) siano tutti al lavoro.
In ogni caso, gli Sfaccendati veri si riconoscono anche dalla loro capacità di dare una mano, sempre e comunque, a chi si trova più o meno sulla stessa barca.
Quel che manca, almeno per ora, non è il cibo né un tetto, ma solo una reale, concreta e lucida (magari anche ludica, come stavo freudianamente scrivendo) prospettiva futura, ma per il resto la giornata scorre, piena, anzi direi zeppa, di cose da fare.
Però non tutti possono capirlo, meno che mai chi ha un lavoro più o meno sicuro e un reddito continuativo. Meglio, quindi, evitare inutili fraintendimenti e tenersi per sé le eventuali ansie e/o frustrazioni con chi non è in grado di comprendere. Ogni tanto, certo, qualcosa ci sfugge e allora si resta male se qualcuno ci propone di chiedere una mano all'Fnsi, ossia la federazione nazionale della stampa, preposta a erogare, per tre volte al massimo nella vita, donazioni da 1.500 euro l'una ai giornalisti indigenti, dietro presentazione di lettera e comprovate pezze d'appoggio del proprio status di poveracci.
A parte la comprensibile ritrosia a mostrarmi come tale, obiettivamente non credo che 1.500 euro mi risolverebbero il problema di cui sopra. Però me la sono cercata, quindi mi becco anche il deprimente consiglio, ma mi riprometto, non a caso digitandolo e sparandolo in rete, di non cedere mai più alla mia naturale propensione di mostrarmi per quella che sono con chi non mi conosce né gli interessa farlo.
Fine della storia.
Del resto, questo spazio racconta già abbastanza, forse molto più di quanto io stessa riesca a immaginare.
Tra uno sfaccendamento e l'altro, per esempio, ho montato la galleria fotografica di cui ho fatto cenno nel precedente post:
Ieri c'è stato il bis, meritevole anch'esso di montaggio ad hoc, un altro lavoro gratuito che farò con grande partecipazione e impegno.
Domani, però, mi aspetta un'altra incombenza, emotivamente molto intensa. E naturalmente gratuita anch'essa. Perché l'amore (anche quello per i consanguinei...) mal si concilia con il denaro.
Oltretutto, sarò ripagata (e moltissimo) da affetto, risate, creatività ed energia. Tutti beni che non si comprano proprio per il loro inestimabile valore.
E se un domani dovessi essere meno Sfaccendata, beh, almeno mi consolerò ripensando a giorni magici come quello narrato nella galleria sopra linkata.
E agli altri vissuti canticchiando "il coccodrillo come fa".
Non c'è nessuno, ma proprio nessun adulto bene inserito nel mondo, che lo sa.
lunedì 9 luglio 2012
Ridere e andare. Oltre la nostalgia
Fin dentro all'anima |
Nel profilo di Blogger ho scritto, già tempo fa, di essere una "paolocontiana di ferro". A parte la cacofonia della definizione, resta però vero che lo sono. Altro che se lo sono. E mi stupisco anche di scoprire sempre nuovi dettagli sul percorso musicale del Maestro astigiano che me lo rendono ancora più simpatico.
Per la precisione: più mi accorgo delle analogie tra il suo modo di suonare e quello di Duke Ellington e più capisco quanta strada sia passata sotto i sandali della sua vita.
Pur essendo cresciuto a pane, latte e jazz, infatti, il Paolo per eccellenza non si è mai considerato un purista del genere, al punto che agli esordi, anzi, tutto si sarebbe detto fuorché che jazzava.
O meglio: jazzava assai al liceo e nel tempo libero, ma al grande pubblico si è mostrato innanzitutto come cantautore. L'ennesimo, aggiungerei, com'era costume a cavallo tra i Sessanta e i Settanta.
Poi, però, la fama è arrivata e con essa la possibilità di fare sempre di più come gli pareva.
Se mai virata più decisa verso il Cane giallo della musica c'è stata, forse la si può ravvisare nell'album "Novecento", il secolo nato insieme con il jazz, per così dire.
E tuttavia, conoscendolo almeno un po', sono sicura che continua a non sentirsi affatto uno jazzman, bensì, forse, "uno che suona" e "che canta" alla maniera degli stralunati chansonnier di Francia, alla Gainsbourg più che alla Aznavour, direi, visto quanto il Maestro stesso ha dichiarato in più di un'intervista.
Ma com'è che m'è venuto in mente tutto questo?
Perché in questi giorni ho realizzato una piccola, artigianale, ma molto partecipata galleria fotografica sul saggio di Sfaccendato e i suoi compagni di Accademia musicale. Come colonna sonora, ho scelto vari brani del Paolo nazionale e uno di Tom Waits, che, guarda caso, può ricordare il primo (la Russian dance che ho usato come commento alle fotografie del sosia sangiorgese dell'artista americano non è troppo diversa da Ludmilla, a pensarci bene).
E poi, la notte della notte bianca, non potendo dormire, mi sono messa ad ascoltare in cuffia Gong-oh, l'ultima raccolta del Nostro, come spesso faccio quando voglio rilassarmi.
Ed ecco che si è compiuto l'ennesimo incanto: ho capito, più profondamente, "Una faccia in prestito", il brano dell'album omonimo degli anni Novanta, in cui il Maestro si approssimava all'età anziana.
"Ho nostalgia di un golf, di un dolcissimo golf di lana blu", dice a un certo punto.
Per la prima volta ho visto quel golf e ho sentito tutta la malinconia della vita che se ne va e del futuro in scadenza.
E tuttavia non ero triste né forse lo era, almeno non del tutto, il Maestro che infatti nel testo aggiunge "Non piangere coglione, ridi e vai".
Quel maglione non c'è più né mai ci sarà, ma starsene dietro le quinte "ingolfato di swing e di lacrime" a qualcosa gli è servito: da quel giorno niente è più stato lo stesso e Paolo lo sa.
Niente resta uguale, ma tutti i tasselli, prima o poi, tornano al loro posto.
Perciò niente lacrime, almeno non troppe.
Rido, sì, e vado.
A Francavilla al Mare, tra i cafonacci, ma per una buonissima (e dolcissima) causa.
Buoni giorni d'estate a voi e buon ascolto:
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Una faccia in prestito
lunedì 19 dicembre 2011
Che musica, la vita
Che musica, la vita. Accidenti, com'è facile cambiare umore quando si è coinvolti in esperienze intense, collettive e condivise.
Negli ultimi anni non mi era più successo. Associo queste giornate ai miei ultimi dell'anno ad Assisi, alla Cittadella, giorni indelebili per la formazione del mio carattere da adulta.
Conosco i miei (molti) limiti, ma ho qualche certezza in più sulle mie qualità e sui miei bisogni. Senza l'incontro con gli altri non so stare. Perciò ho sofferto così tanto nei miei anni solitari e casalinghi.
Il caso mi ha fatto incontrare un persona di molti anni più di me che con me ha in comune la stessa necessità di stare con gli altri a fare qualcosa che possa, eventualmente, arricchire (moralmente) tutti.
Sono davvero fortunata. Ne sono più che certa: comunque vada a finire, non dimenticherò mai questi giorni.
Oggi pomeriggio sono a casa, ma sto soffrendo di non essere lì.
Al contempo, sganciandomi, so di aver fatto la scelta giusta. Chissà come se la sta cavando la simpatica signora cui ho dovuto spiegare come si accendevano luci e proiettore.
E dire che l'avevo appreso giusto qualche ora prima di lei. Mentre eravamo sedute al pc, ho incrociato lo sguardo del mio "benefattore" che mi ha strizzato l'occhio in segno di approvazione.
Ci siamo conquistati a vicenda ed è ancora più straordinario, per me, sapere che è nato tutto così, per caso.
Ma esisterà il caso? Comincio a pensare che siamo davvero destinati a qualcosa e che conviene farsene una ragione. Perché, tanto, prima o poi, il destino ci raggiunge.
Non so ancora come farò a trasformare tutta questa energia vitale in reddito, ma mi sembra davvero un dono miracoloso sentirmi di nuovo in piedi e pronta a lottare. Spero solo di riuscire a coinvolgere anche l'uomo che mi vive accanto. "Intanto" (dico questa parola non a caso) sono partita io. Vedremo come fare in seguito.
Passo e chiudo dalla torre ormai non più tale. Per sempre non più tale.
Negli ultimi anni non mi era più successo. Associo queste giornate ai miei ultimi dell'anno ad Assisi, alla Cittadella, giorni indelebili per la formazione del mio carattere da adulta.
Conosco i miei (molti) limiti, ma ho qualche certezza in più sulle mie qualità e sui miei bisogni. Senza l'incontro con gli altri non so stare. Perciò ho sofferto così tanto nei miei anni solitari e casalinghi.
Il caso mi ha fatto incontrare un persona di molti anni più di me che con me ha in comune la stessa necessità di stare con gli altri a fare qualcosa che possa, eventualmente, arricchire (moralmente) tutti.
Sono davvero fortunata. Ne sono più che certa: comunque vada a finire, non dimenticherò mai questi giorni.
Oggi pomeriggio sono a casa, ma sto soffrendo di non essere lì.
Al contempo, sganciandomi, so di aver fatto la scelta giusta. Chissà come se la sta cavando la simpatica signora cui ho dovuto spiegare come si accendevano luci e proiettore.
E dire che l'avevo appreso giusto qualche ora prima di lei. Mentre eravamo sedute al pc, ho incrociato lo sguardo del mio "benefattore" che mi ha strizzato l'occhio in segno di approvazione.
Ci siamo conquistati a vicenda ed è ancora più straordinario, per me, sapere che è nato tutto così, per caso.
Ma esisterà il caso? Comincio a pensare che siamo davvero destinati a qualcosa e che conviene farsene una ragione. Perché, tanto, prima o poi, il destino ci raggiunge.
Non so ancora come farò a trasformare tutta questa energia vitale in reddito, ma mi sembra davvero un dono miracoloso sentirmi di nuovo in piedi e pronta a lottare. Spero solo di riuscire a coinvolgere anche l'uomo che mi vive accanto. "Intanto" (dico questa parola non a caso) sono partita io. Vedremo come fare in seguito.
Passo e chiudo dalla torre ormai non più tale. Per sempre non più tale.
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