sabato 30 gennaio 2021

Madamatap compie dieci anni... mille di queste pipe!


Si stava meglio quando si stava peggio. 
Personalmente, non credo di aver mai pronunciato una frase così terribile, eppure, a pensarci bene, è strano.

I nostalgici, in genere, si torcono e contorcono (citazione per adepti dell'Avvocato) nel rimembrare i tempi andati.

Tra loro mi ci metto pure io, anche se (forse) ho imparato a separare i ricordi belli da quelli brutti. 
E infatti piango molto meno.

Insomma: non arriverò mai a dire "si stava meglio quando si stava peggio", ma l'anno Domini 2020 qualcosa di buono, in fondo, l'ha portato.

Cosa? Direte voi, trasecolando un po'.

Per esempio, la foto con le pipe del Bipede che vedete sopra, sulle presine bruciacchiate. 
Anzi, per essere più precisi, chiamasi, detta foto, Natura morta con pipe su presine bruciacchiate.
La denominazione non è mia, bensì della sorella, mia coach e guru di fiducia.

Il battesimo ufficiale è avvenuto però qualche giorno dopo, ossia quando la suddetta si è accorta dei quotidiani scatti alla nutrita collezione di pipe del consorte, scorrendo i miei stati whatsapp.

Uno, per la precisione, per ogni giorno di lockdown.
Parlo del primo lockdown, che qui in Austria è cominciato una settimana dopo quello italiano, per finire 54 giorni dopo.
CINQUANTAQUATTRO giorni? Accidenti, non me lo ricordavo più... 

La prima foto, sinceramente, è stata piuttosto casuale, ma a selezionare e comporre le pipe nel modo che vedete ci ha pensato direttamente il Bipede. A lui è toccato, ovviamente, scegliere e comporre anche la seconda, poi la terza, la quarta, finché... lampadina, ideona.

Chiamerò questa serie (hanno detto i miei affaticati neuroni al paziente consorte fumatore di pipa) "Die Corona-Pfeifen", ove la seconda parola va pronunciata "pfaifen" che in italiano si traduce con... pipe, natürlich.

Ricominciamo, quindi, daccapo.

Rullo di tamburi, ruggito del leone Universal, musica dell'Eurovisione, scegliete voi il tappeto musicale che vi piace di più...

Signore e Signori, con immenso piacere sono lieta di presentarvi Die Corona - Pfeifen

L'esposizione nasce dalla proficua collaborazione tra i coniugi migranti con gatti al seguito e si compone di tre principali sezioni.

Partiamo con la prima, altrimenti detta Presine:


















Continuiamo con la seconda, chiamata Custodie

































Per finire, la terza, denominata Omaggio a Magritte

















Che senso hanno le Corona Pfeifen?

Tolto il loro indubitabile valore artistico, consideratele un messaggio di speranza per il futuro. Se dopo otto mesi di lockdown (e dieci anni di Madamatap: a proposito, sto festeggiando il decennale. Fatemi gli auguri!) mi va ancora di cazzeggiare, vuol dire che ce la possiamo fare tutti, ma proprio tutti



Herzliche Danke für eure Aufmerksamkeit (grazie di cuore per la vostra attenzione) e... Baci da Vienna!

lunedì 18 gennaio 2021

Paolo Conte, musica (e parole) per i miei piedi. Tutta la vita

 


"Oggi non ho voglia di patate/ Ogni schfizio non c'è più/ ogni schfizio non c'è più".

E' un verso di "Ma sì, t'a vo' scurdà", una canzone (in un buffissimo napoletano) che ho riascoltato assieme alle altre undici tracce contenute in Parole d'amore  scritte a macchina, l'album di Paolo Conte del 1990, colonna sonora dei primi mesi di università.

Naturalmente, era già un po' che frequentavo la musica dell'Avvocato. Scrivo così perché ormai do per scontato che i miei affezionati e sparuti lettori sappiano che ho cominciato ad ascoltarlo in seconda liceo.

Ora posso dirlo (sempre ammesso di non averlo già fatto: soffro della sindrome di zio Paperone quando attacca con i suoi racconti sul Klondike, vi avverto). 

A farmelo conoscere, ci aveva pensato un compagno di scuola. Per la precisione: "IL" compagno di scuola di cui tutte noi, chi più chi meno, eravamo innamorate (la chat della classe non dovrebbe accorgersi dell'esistenza di questo post, ma anche se fosse, estica, ormai c'abbiamo tutti un'età).

Quante volte avrò ascoltato Max, con la sua lucidità che non semplifica? Era contenuto in Aguaplano, l'album che il compagno di scuola suddetto, forse, mi prestò addirittura in vinile. Di sicuro ricordo le cassette con la sua bella grafia, che gli avrei invidiato comunque, anche se i miei occhi non avessero dardeggiato cuoricini, paragonandola alle mie inintelleggibili zampe di gallina.

Ho in mente quella volta che con altri compagni di classe ci siamo ritrovati a guardare di straforo, al teatro della nostra città, uno spettacolo di Gabriele Lavia e Monica Guerritore. Credo fosse una tragedia greca: se mi sforzassi di googolarla, potrei risalire probabilmente anche al titolo.

Direi però che tale fatica non sia necessaria, tenendo conto di quanto poco me ne fregasse in quel momento, presa com'ero dal lungo assolo di Max che mi risuonava nella testa, in abbinamento, ovvio, alla gioia provata per la vicinanza con il suddetto compagno. 

E anche se mia mamma mi ripeteva: "Lascialo perdere, non gli interessi", io niente. Oltre ad "Aguaplano", l'album doppio che contiene "Max", sempre lui, del resto, mi aveva passato in cassetta anche Concerti, il live che ho letteralmente consumato pure negli anni successivi (ndA del 19 gennaio 2021: trattasi di un falso ricordo: la cassetta di "Concerti" era di mia sorella, ma per associazione io la collego comunque al sognato compagno di liceo). 

Direi anzi che ho smesso di farlo solo quando sono usciti Tournée1 e Tournée 2, i mitici cd con le copertine rispettivamente rossa e celeste, usciti in anni in cui facevo una capa tanta a tutti i maschi che mi si avvicinavano nel tentativo (riuscito o meno) di corteggiarmi.

"Eh eh eh, rido perché, a parte lo stile del tuo legale/sono parole tue d'amore scritte a macchina, baby baby/va tanto bene per me". Ho inserito questa canzone in una raccolta personalizzata che ho regalato a un uomo. A parte l'epilogo disastroso di quella vicenda, niente, sarebbe stato impossibile per me non condividere con chi mi piaceva la mia totale venerazione per il baffuto musicista astigiano.

Tutto quello che sarebbe successo dopo, però, ai tempi di "Aguaplano" e di "Concerti" non avrei mai potuto immaginarlo. E meno male. Sennò, sai che noia.

Pochi giorni fa, però, mi è tornato in mente questo disco, forse un pochino snobbato dalla sottoscritta, diciamo dai trent'anni in avanti. troppo presa com'ero dai live di cui dicevo prima e dai confronti tra le varie versioni di Diavolo Rosso (qua c'è il violino, qua i fiati, là di più le chitarre etc etc). 

Fatto sta, insomma che, quest'anno, poco dopo il 6 gennaio, giorno dell'84 esimo compleanno del Maestro, mi è apparso come una epifania Pittori della domenica nella raccolta che ascoltavo su Spotify, ed eccomi là, con loro sul ponte, le mogli a casa, a trasudare, loro e me, mille frammenti. 

Mi sono rivista nella grande arena dove si tenevano le lezioni del primo anno di Scienze Politiche, affollate come mai più durante tutto il resto dell'università. Ero molto disorientata: Pisa mi pareva un pianeta lontanissimo, lo era davvero, a pensarci adesso, ed io probabilmente lo raccontavo con lo sguardo.

Renè, si chiamava così, un ragazzo riccio con i grandi occhi chiari che avevo affianco chissà a quale lezione. Con lui c'era, penso, la sua ragazza, venivano tutti e due credo da Castiglioncello, in ogni caso una località marina della Toscana. Non so come, non so quando (ma so il perché), gli ho parlato di Paolo Conte. "Non sai che è uscito un altro disco?", immagino mi abbia detto a un certo punto il ricciolino. La volta dopo che lo rivedo, eccolo lì con la cassetta.

Dopo quella volta, non l'ho praticamente mai più reincontrato o, se l'ho fatto, nel frattempo avevo cominciato a stringere qualche amicizia (anche femminile, eh: anche alle amiche ho parlato dell'avvocato, sia chiaro), per cui lui e la sua ragazza sono spariti dal mio orizzonte.

Io però non ho dimenticato il suono di Dragon, identico al ritmo dei molti treni che ho preso, uguale al pulsare del mio sangue in tutti questi lunghi anni.

Curiosamente, proprio da questo Lp è tratto anche Happy Feet, il pezzo scelto da Fabio Massi per la puntata natalizia del suo programma radiofonico Grafite, quando ha chiesto a noi amici di consigliare agli ascoltatori, in un audio di non più di venti secondi, una canzone e/o un libro. 

Metti una canzone a caso del Maestro e mi farai contenta, così io. "Musica per i suoi piedi, Madamatap". Grazie ancora, Fabio e Ilaria Gregonelli, co-conduttrice del programma, che va in onda tutti i martedì alle 21 sulla Webradio di Fermo Stazione 41

Ascoltateli e fate caso alla rubrica L'albero di Grafite, il nuovo progetto lanciato dai conduttori e dalla redazione del programma, per promuovere il dialogo tra letteratura e musica, due arti che ci vanno fin dentro all'anima, grazie ad alcuni, fortunati incontri, come quello che ho fatto io con il "mio Maestro", per tutta la vita. 

Parapaponzipò!

martedì 29 dicembre 2020

Una grossa fregatura e Borgo Sud: due libri imperdibili dalla mia terra



Ci sto pensando da giorni, ma niente, non riesco a venirne a capo. Per questo motivo, so già che sarà durissima trovare un titolo a questo scritto, che non è un articolo né tanto meno una recensione.

Però sentivo, sento, che avevo bisogno di parlarne in questa forma, forse per trovare, grazie alla disciplina che sono costretta a darmi quando mi rivolgo a un ipotetico pubblico, una risposta

A quale domanda?, direte voi.

Eccola qua.

Che cos'hanno in comune Borgo Sud (Einaudi) di Donatella Di Pietrantonio e Una grossa fregatura (Chiaredizioni) di Marcello Nicodemo? 

Tanto per cominciare, la città in cui si svolgono le due storie: Pescara, vera e immaginaria. Nel libro di Marcello, c'è anche qualche altro pezzo di costa adriatica e vari passaggi in Campania, regione di origine dei suoi genitori, ai quali il libro, dolente e sincero, è dedicato.

Nel libro di Donatella, c'è anche un po' di entroterra, lo stesso che aveva fatto da scenario a L'Arminuta il bellissimo romanzo di cui il nuovo è per così dire il "sequel".

In tutti e due, poi, appare qui e là anche Chieti, la mia città natale.

Conosco personalmente i due autori, ecco un altro punto che hanno in comune. In entrambi i casi, si tratta di una conoscenza che, per quanto limitata, non lo è non abbastanza perché io possa mantenere da loro il giusto distacco che richiederebbe una recensione.

Ma questo scritto, per l'appunto, non è una recensione ed io posso dire apertamente di provare per tutti e due gli autori una grande simpatia.

Coming out fatto. Andiamo avanti.

Ho letto Una grossa fregatura la scorsa estate, portandomelo via da casa dei miei al termine del mio breve soggiorno in patria.

Ho letto Borgo Sud nel viaggio di andata e ritorno da Vienna a Chieti dieci giorni fa.

In entrambi i casi, li ho divorati.

Sul libro di Marcello non avevo particolari aspettative, ma solo una grande curiosità mista anche a un certo timore. Già dalla prima pagina ho colto qualche elemento autobiografico che mi ha rattristato molto. Il padre del protagonista ha un grave incidente e i lunghi e ben descritti giorni di degenza che ne seguono non sono stati, per me, solo l'ossatura principale attorno alla quale ruota tutta la narrazione, ma qualcosa di molto più personale.

Quando ho aperto il libro di Donatella, mi sono accorta invece che in testa mi risuonava la voce dell'autrice, con la sua bella erre arrotata.

Ci ho messo un po' per ritrovare la mia, per lasciarmi andare, voglio dire, al ritmo della storia. Avendo amato moltissimo L'Arminuta, in questo caso, sì, avevo delle aspettative. 

Insomma: avrei bisogno di rileggerli entrambi daccapo per parlarne con maggiore precisione, ma niente, non ce la faccio.

A pensarci bene, è come se avessi subito un incantesimo.

Mi sento un po' come il critico gastronomico del cartone animato Ratatouille, quando assaggia il piatto omonimo che gli ha preparato il topo chef. 

Ogni pagina di Una grossa fregatura e di Borgo Sud mi riporta a casa, tra le colline che scolorano nei tramonti rosa, nella cupezza sonnolenta e umida della pianura, tra i capannoni dell'area industriale in disarmo, e poi giù, fino al mare adriatico, tra le palazzine corrose dalla salsedine della riviera.

I personaggi di Donatella e Marcello parlano della mia gente, spesso gretta e calcolatrice come si può essere solo nelle province minime. La violenza, ben tratteggiata in entrambi i romanzi, ecco, quella io personalmente non l'ho vissuta, o, se c'era, non l'ho vista, coccolata come sono stata fino al termine della mia giovinezza (e pure dopo). 

La morbida protezione familiare non mi ha però del tutto schermata dalla desolazione rancorosa che sentivo aleggiare attorno a me. Ne avvertivo la presenza con una specie di morsa allo stomaco, la stessa che prende, forse, l'Arminuta quando parla con i suoi genitori e in particolare, in questo romanzo almeno, con il padre, una figura che mi pare quasi di aver conosciuto.

Quella desolazione rancorosa è forte, fortissima, nell'ex marito dell'infermiera bionda del libro di Marcello, un uomo verso il quale si prova da subito una mistura di disprezzo e pena.

Per contrastare e poi neutralizzare quella desolazione rancorosa là, che affonda le radici in secoli di servitù e sfruttamento, occorre molta nobiltà d'animo, ma nei due romanzi si capisce che sono in pochi a possederla.

Ne ha da vendere il papà del protagonista di "Una grossa fregatura", ne ha, a ben guardare, anche Adriana, la sorella dell'Arminuta, che condivide con il primo, almeno in parte, la stessa sorte. 

Se e quando leggerete i due romanzi, insomma, non aspettatevi a tutti i costi il lieto fine. Non immaginatevi però nemmeno finali shakespeariani: noi abruzzesi (almeno quelli del teatino - pescarese) siamo comunque dotati di una certa pudica ironia che, se ben esercitata, può diventare anche geniale (vedi quel folle di Maccio Capatonda).

Il riscatto, però, c'è, ve lo garantisco. Bisogna solo coglierlo tra le righe, in particolare ne Una grossa fregatura, in modo leggermente più scoperto in Borgo Sud

Ecco. Lo sapevo: scriverne mi ha aiutato a schiarirmi le idee.

Adesso posso dirlo: il 2020 è stato un anno parecchio duro, va bene, ma almeno mi ha regalato due libri così.

Grazie agli autori per come sono e per le storie che continueranno a raccontarci. Non esiste miglior cura di leggere pagine sanguigne come queste per gente strenuamente in fuga dalle grosse fregature.   

Buon anno di riscatti a tutti noi.