lunedì 30 marzo 2015

I sorrisi sghembi di chi brama la rinascita: buona Pasqua a tutti


Nella fotografia che vedete sopra non mi piaccio affatto. Ma il motivo per cui l'ho pubblicata non è affatto narcisistico. Almeno, non in modo conscio.
Più o meno nello stesso punto, la bellezza di boh... trentacinque anni fa, fummo fotografati la sottoscritta con questa faccia da patata e il resto della mia famiglia di origine.
Ne ho parlato diffusamente nel periodo natalizio. Qui vi basti giusto sapere che lo scatto di questa volta è di ieri mattina: il luogo è Verona.

Sono stata nella bella, a tratti respingente, città veneta il fine settimana appena passato.
Ho rivisto l'autore del commovente ritratto degli anni che furono e l'ho ricambiato con la stessa moneta, fotografando lui e la sua nuova famiglia esattamente nel medesimo punto in cui eravamo stati immortalati noi quattro. Loro, ovviamente, non potevo pubblicarli. Perciò eccovi la foto che mi ha fatto il Bipede, giusto una mezz'oretta prima di quella di cui vi ho appena parlato.

Sono stata felice di rivedere un luogo nel quale, in verità, ero tornata nove anni fa, in occasione dell'indimenticabile concerto di Mark Knopfler ed Emmylou Harris all'arena. Anche quella, tra l'altro, era stata occasione di incontri molteplici: mi avevano raggiunta le mie ex compagne di casa di Milano, una delle quali è originaria proprio della città di Romeo e Giulietta.

Stavolta, invece, oltre a Rosina, Pino, Tonino, Silvia, Sofia e Gabriele, ho rivisto anche i nostri carissimi amici valdostani Lalla e Maurizio, e approfondito appena un po' di più la conoscenza con i loro amici Antonella e Mirco. Questi ultimi verranno giù nelle Marche la prossima estate, per cui la gita in cima alla torre dei Lamberti (bellissima Verona dall'alto!), la passeggiata e la cena sono stati giusto un anticipo dei giorni marini che spero passeremo insieme.

Mi piace far incontrare gli amici, anche se so bene quanto sia rischioso o semplicemente complicato. Temo in particolare di aver messo in imbarazzo due di loro (non dico chi), ma spero che possano perdonarmi: ci tenevo proprio a rivederli, anche solo per pochi minuti.

Mia madre ne sarebbe stata contenta. Da lei ho ereditato la socialità e anche una certa confusionarietà ansiosa. Mio padre, al telefono, pareva a sua volta contento per me.
Devo avergli fatto venire in mente le nostre vacanze, "quando erano piccole le bambine e giovani noi", ha scritto mia mamma in un bigliettino che accompagnava il vhs ricavato dalle bobine della vecchia cinepresa Super 8, da mio padre ripescata in fondo a uno degli armadi che abbiamo svuotato.

Stanotte l'ho sognata: stava bene, forse non al massimo, forse più o meno come l'ho vista il penultimo Natale, quando il male pareva avesse allentato la stretta.
Non voleva, per l'appunto, farsi stringere dal mio abbraccio, come se temesse che il senso di benessere ritrovato potesse smarrirsi al contatto con me.
Indossava la sua vestaglia rosso scuro, quella che le abbiamo visto più spesso nell'ultimo, troppo rapido, periodo.

Il prossimo 4 aprile sarebbe stato il suo compleanno. Ricordo troppo bene quello dell'anno scorso, ma non sono ancora in grado di dire come mi comporterò questo sabato né a Pasqua.

Sono giorni pieni di presente: mi vergogno quasi di ammettere di aver passato momenti belli durante questo mese. Dopo tanta stasi, preceduta da troppo dolore e angoscia pura, non riesco ancora a credere di essere riuscita a provare un po' di leggerezza.

La protagonista di Bones (uno dei miei attuali miti televisivi) direbbe che è colpa dell'educazione cattolica ricevuta, ma al di là di questo, quando soffri per davvero, guardi tutto con occhi totalmente differenti.

Vorrei ridere di cuore, lo confesso. Vorrei saltare da una stanza all'altra come facevo un po' prima della foto veronese di cui vi parlavo prima. Ogni tanto, certo, mi succede eccome di zampettare come la gatta Bice. La mia tendenza all'ironia (al sarcasmo, anzi) non mi abbandona mai.

E tuttavia non basta.
E' arrivata pure la primavera, persino qui a Fermo fa meno freddo (non in casa nostra: ieri al ritorno c'erano 15 gradi). Il cambiamento è necessario.
Alcuni arrivano del tutto inaspettati; altri bisogna impegnarsi continuamente a cercarli.

Che fatica, insomma. Sarà per questo che poi si ride a mezza bocca.
Per le risate con le lacrime ci vuole qualcosa di più.
Aspetto di vederle affiorare, accanto a quelle di commozione e di nostalgia, che ogni tanto, negli ultimi miei due viaggi verso nord, sono scese senza che potessi farci nulla.

Grazie, mamma, per tutto quello che mi hai dato.
Mi pare (lo dico piano) che stia germinando sempre di più.
Continuerò a non smarrirmi. Continuerò a rinascere, come tu hai saputo fare tutta la vita.

Buona Pasqua a tutti.

mercoledì 25 marzo 2015

Il sole che diventa luna e Giacomo Leopardi




Il fascino esercitato dalle eclissi di sole su di me è davvero grande. Nel '99 ho visto quella totale: poco più di due mesi dopo quell'esperienza indimenticabile, la mia vita è cambiata radicalmente.
Stavolta, però, non voglio tediarvi con i miei ricordi del Klondike.

Preferisco invece lasciare la parola a Giacomo Leopardi, aggiungendo giusto un altro dettaglio biografico.
Con il sommo poeta marchigiano, ho infatti in comune il solo segno zodiacale. Il che spiega, se l'astrologia ha appena un po' di ragione, come mai io ami così tanto la luna e il sole che ne prende le sembianze.

Ho chiamato il mio mini-album fotografico sul fenomeno celeste, che abbiamo osservato lo scorso venti marzo (il giorno del mio onomastico!) in buona parte dell'Europa e pure dell'Africa del Nord, "Che fai tu, sole-luna, in ciel".

Segue la poesia che me ne ha ispirato lo scontatissimo titolo: buona lettura.

CANTO NOTTURNO Dl UN PASTORE ERRANTE DELL' ASIA

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
E' la vita mortale.

Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E' funesto a chi nasce il dì natale. 

lunedì 16 marzo 2015

Miracoli a Milano: resoconto per immagini del mio breve ritorno al Nord



Non ho molta voglia di aggiungere altre parole alle didascalie che vedrete scorrere nel videoclip, che ho finito di montare piuttosto velocemente poco fa.

Just one, to be completely honest with myself. Ho ottenuto il Toeic, ossia la certificazione internazionale di inglese per la quale ho cominciato a prepararmi due anni fa (con intensità MOLTO alta solo nell'ultimo periodo, eh).

Ho rivisto un po' di persone, ma non tutte quelle che avrei voluto (Luciana e Paolo, sono assai dispiaciuta di non essere riuscita a riabbracciarvi. Ciò significa solo che, come dico nel video, devo tornare presto).
Ascoltando i loro racconti, mi sono soffermata su ogni parola con reale desiderio di essere lì, evitando con molta naturalezza di soffermarmi troppo su ciò che NON ho avuto rispetto a quanto hanno avuto loro (figli compresi) negli ultimi dieci anni.

Mi sono goduta il più possibile il presente, insomma.

Si tratta, ve l'assicuro, di un risultato ancora più grande del voto che ho preso all'esame, considerato il soggetto nevrotico e ansioso che sta digitando.

Adesso è come se fosse il 2 gennaio e dovessi riprogrammare tutto l'anno che verrà.
Non è facile (anzi: per certi versi l'ansia degli ultimi tempi mi sta dando la misura di ciò che mi aspetta).

Non so nemmeno bene da dove cominciare (non credetemi: questo dannato cervello bacato sa sempre, alla fine, da dove partire), ma il cielo novembrino di oggi non mi inganna.
La primavera è praticamente arrivata e se anche la mia personale temo stia finendo già da mo', fa niente. 

Qualcosa accadrà.
Accade sempre.

Alla prossima, amici.

mercoledì 4 marzo 2015

Siamo (anche) il nostro passato. Perciò: why worry?



Il sito della scuola d'inglese sul quale mi sto preparando per il Toeic non funziona? Perché preoccuparsi? "Si dovrebbe ridere dopo un dolore, dovrebbe tornare il sole dopo la pioggia. Quindi perché preoccuparsi ora?".

Lo dire Mark Knopfler nella sua bellissima Why worry?, che qui propongo in una versione del 2009, valida, presumo, ancora oggi. 
E' così diversa dalla originale, ossia quella registrata per Brothers in arms: l'ho ascoltata poco fa mentre stiravo (non potendo studiare: sono molto multi-tasking).

Vi dirò che quasi quasi la preferisco nella versione contemporanea: secondo me, la voce di Mark è addirittura diventata più sexy adesso
Probabilmente c'entra anche la produzione del suono (mi baso su quanto mi riferisce il Bipede in merito), che negli anni Ottanta era (forse) più patinata.

In ogni caso, ieri ho rivisto di nuovo il documentario della Bbc che ho pubblicato nel precedente post (NB ora bloccato dai proprietari e quindi non più disponibile... ahimè) e, oltre a confermare la grandissima emozione provata la prima volta che l'ho visto, mi sono soffermata di più sul passaggio in cui si sentono le note di Why worry e di alcune colonne sonore che il musicista-songwriter di Glasgow ha composto per svariati film poco noti in Italia.

Mi piace moltissimo il punto in cui dice di aver inserito suggestioni provenienti dal mondo celtico (la prima c è pronunciata come una K, cosa che ignoravo), così, quasi senza accorgersene.
E' normale che succeda così, considera più o meno, perché tutto ciò che siamo oggi è frutto del nostro passato e di quello di chi è venuto prima di noi.

Potremo girare tutto il mondo, insomma, ma quello che porteremo alla luce nelle cose che facciamo, sarà sempre fortemente impastato di ciò che abbiamo conosciuto più intimamente. Anche senza accorgercene. Attraverso il latte materno, per dire.

La "mia" Majella sarà sempre con me, mia madre sarà sempre mia madre e io la porterò con me, sempre.
Perciò, why worry?

Buon ascolto e buoni percorsi a tutti.