Visualizzazione post con etichetta Mark Knopfler. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mark Knopfler. Mostra tutti i post

domenica 7 luglio 2019

Mark Knopfler e i buchi del cuore



Ascoltavo "My heart full of holes" mentre stavo andando a intervistare un architetto di Fermo.
Ai tempi lavoravo per il settimanale diocesano con cui era cominciata la mia avventura in terra marchigiana. La crisi era già in atto e io ricordo perfettamente quanto mi sentissi, già allora, il cuore pieno di buchi.

Lo studio di quell'architetto aveva un ingresso improbabile, vagamente neoclassico. Ci sono ripassata varie volte davanti negli anni successivi e tutte le volte mi è tornata in mente quella prima volta. Mi sono sempre chiesta come diavolo fosse venuto in mente, al tipo, di adornarlo così. Mi capita spesso di fissarmi su dettagli che non saprei se definire insensati o salva-vita, nei momenti per così dire più drammatici.

Dopo la scossa di terremoto, ci siamo ritrovati tutti fuori, mamma papà e intero condominio. Ho scambiato uno sguardo con mia sorella: dovevamo essere conciate in maniera bislacca. Abbiamo ridacchiato, forse vergognandoci anche un po', visto il panico generale.

Ai tempi non credo che il mio cuore fosse pieno di buchi. Quelli li senti più avanti, non so bene a partire da quale età. 

Alla fine, un pochino te ne compiaci pure, appena appena eh, perché quando li senti ti illudi di averci capito qualcosa, della vita.

Mi piace però sapere di aver nutrito da sempre un certo senso di disincanto. Altrimenti non avrei riso con mia sorella anche a quell'età.

Per questo, forse, mi piace così tanto, a distanza di tanti anni, la musica di Mark Knopfler. 
Invecchiando (ma forse anche prima con i Dire Straits), i suoi testi hanno parlato spesso di figure variamente piegate dalla vita, dalla poetessa Beryl Bainbridge del penultimo album al tipo con il cuore pieno di buchi. La musica, però, è rimasta sempre piena di energia vitale, anche nelle ballate più intime, come in I am a slow learner dell'ultimo album.

Prima di tornare a vederlo, la scorsa settimana, qui a Vienna, sapevo dalla scaletta che l'avrebbe cantata. 
Allora l'ho riascoltata e mi è tornato in mente l'architetto.

Volevo predispormi alla nostalgia, forse. Causarmi "uno stato di esaltazione" romantico e decadente, come dice l'algida Ninotchka a Leone, quando lui la corteggia (con successo). E invece è saltata fuori l'ironia. Sì, è più forte di me.

In tutti i modi, la versione di "Heart full of holes" del concerto di quest'anno è bellissima. E per un attimo, mentre l'ascoltavo dal vivo, mi sono quasi commossa.

Con questa tournée, Knopfler ha deciso di dare l'addio ai live. 
L'ha ripetuto in ogni tappa: nel video di sopra è a Milano. "E' la vita", dice a un certo punto in italiano. 

Che tristezza, direte. Eppure no, non lo è. 
Bisogna saper voltare pagina. E poi ci sono i ricordi, quelli non te li toglie nessuno. 

A distanza di tempo, anche i momenti più oscuri lasciano tracce di colore. 
Non è stato bello il periodo finale di lavoro al giornale diocesano, proprio per niente. Però mi è rimasto il sapore di quel tardo autunno a Fermo, l'aria pulita, la poca luce, gli sguardi dei miei ex colleghi e le risate degli anni precedenti. 

Invecchiando, si mescolano le esperienze e le stagioni dell'anno con i loro profumi diversi. 
Vanno lì a riempire quei buchi, anche solo per qualche istante, mentre lavi i piatti o scrivi il prezzo del polpo surgelato.

Alla fine sei felice di avere qualche buco, vorresti solo trattenere quel ricordo un pochino di più, lasciartene intenerire fino alle lacrime. 
Poi però ti riscuoti e ti ributti nel presente. Ein bisschien anstrengend, manchmal, ma mica tanto.

Un attimo dopo mi soffermo a soppesare mentalmente l'insensatezza del gesto di qualcuno intorno a me. E ridacchio, aspettando il momento in cui ne parlerò al Bipede.

A proposito di ironia, a dirla tutta, il grande Mark è stato molto più brillante a Milano di quanto non lo sia stato a Vienna. 
Si vedeva proprio che gli piace l'italiano, il suono della nostra bellissima lingua.
A Vienna, invece, nichts, manco una parola auf Deutsch. E dire che l'hanno acclamato a gran voce (ma con quei suoni gutturali non funziona, spiacente per voi). 

Ovviamente il concerto è stato "super" (come dicono sempre qua) e io sono certa che anche questo sarà un ricordo destinato a riaffiorare all'improvviso, al prossimo giro di vita, chissà da dove.

Grazie, Mark, a nome dei buchi del cuore di tutti noi.







martedì 13 marzo 2018

No worries. Daje a tutti noi


Tutto è nato dalla tazza del tè del mio consorte, che raffigura un Paperino arrabbiato. Accanto c'è la scritta "no worries", che in questo modo forma un bell'ossimoro con il personaggio lamentosetto tanto amato dai lettori di Topolino (piccini e non).

L'ho usata per uno stato di whatsapp, così, per gioco. Volevo aggiungerci affianco qualcosa tipo "be happy", ma poi mi sono astenuta da cotanta banalità (finora, almeno).

Bene. Non posso scendere troppo nei dettagli, ma so di essere in uno stato d'animo tale da richiedermi comunque qualche parola scritta.

Preoccuparsi non serve mai, tanto più in una giornata come quella di oggi, in cui l'aria si è fatta decisamente più primaverile.

Avevo propositi pratici, tipo andare a cambiare il contratto telefonico, e invece mi sono ritrovata sulla spiaggia a fotografare tronchi d'albero e strani oggetti portati lì chissà come dalle recenti mareggiate.

Ho camminato un po', con un andamento lento per me del tutto inconsueto. Mi sono fermata qui e là alzando gli occhi sulle nuvole ciccione, sbiancate dal blu del cielo.

Mi sono goduta un attimo il rumore delle onde, ma poi ho infilato la musica nelle orecchie: serve sempre un alibi al nostro vagare slabbrato.

E alla fine mi sono piazzata sulla solita panchina della piazza di fronte al mare, la schiena scivolata un po' giù e gli occhi chiusi. La faccia mi si è un po' scaldata, ma il vento non proprio tiepido mi ha impedito di rilassarmi del tutto.

Eppure.
Eppure ho capito.
Non devo preoccuparmi, non serve mai. C'è sempre il sole dopo la pioggia e il riso dopo il dolore.

Qualunque cosa accadrà, saprò affrontarla. E riderò, come ho sempre fatto.

Alcune persone sanno essere cattive, dice Mark Knopfler in questa bellissima canzone che forse ho già usato ma non nella versione con la grandissima Emmylou Harris. Lo fanno anche in You've got a friend, il pezzo di Carole King che sto cercando di imparare a cantare (nella versione della Streisand... del 1971: sarà per questo che l'ho scelta?).

C'è sempre qualcuno che ci consolerà, o molto più probabilmente saremo noi a farlo da soli, quando capiremo, con chiarezza inequivocabile, che bisogna sempre avere rispetto di sé e pretenderlo anche dagli altri tutte le volte che qualcuno provi a strapparcelo. Nel lavoro (soprattutto nel mio caso), ma anche negli altri ambiti del quotidiano.

Quindi, niente lacrime, o solo quelle necessarie per farci tornare il sorriso.

La vita ci aspetta comunque. E io voglio viverla, per quelli che non possono più e per quelli che qui e ora tifano per me. 
Pregherò per voi: anzi, ho già cominciato a farlo, proprio stamattina.

Proteggiamoci a vicenda: solo così diventeremo invincibili. 
E che Manitù, Budda, Dio, Allah, o chi per loro, ce la mandi buona. 

Daje.

lunedì 11 maggio 2015

Mark Knopfler: da Madamatap a... Muoversi Insieme!




Orgogliosa di farvelo sapere: ho proposto ai miei committenti un pezzo su Tracker, l'ultimo lavoro del mio amato Mark Knopfler e loro l'hanno accettato.
Perciò eccovelo qui sotto forma di link.

Sopra, invece, una sua recente apparizione alla crucca Radio Bremen. Detto tra noi, accidenti come parla veloce la tedesca!! E del resto lavora in una radio, mica in un monastero Zen.

Buona lettura, ascolto etc etc.

mercoledì 29 aprile 2015

Mark Knopfler parla di Tracker... secondo me!



  


Chi mi segue sa che ho da poco preso il Toeic per la parte di listening and reading, che è quella ritenuta fondamentale dalle aziende che lavorano in ambito "international". Bene, direte voi. Benino, direi io, considerata la fatica che ho fatto per cercare di tradurre la video-intervista a Mark Knopfler che riporto sopra, sul suo ultimo, straordinario album Tracker.

Mi sono resa conto con estrema chiarezza, infatti, che un conto è capire più o meno il senso delle sue parole (e di quelle di chiunque parli in una lingua che non è la tua), un altro è tradurle letteralmente.

Al di là della logica considerazione che ciò non sia mai possibile con qualsiasi testo registrato in diretta (nessuno pubblica le sbobinature, ci mancherebbe altro), è proprio per me assai ostico capire alcuni passaggi delle considerazioni appassionanti di questo geniale autore di canzoni impressionistiche, nonché finissimo maestro della chitarra, ai più noto come l'ex leader dei Dire Straits, in verità ben più di questo.

E tuttavia vi riporto quel che ne ho carpito qui di seguito (mettendovelo in bella copia), perché lo sforzo fatto comunque dovrebbe consentire a chi sta messo peggio di me con l'inglese di apprezzarne almeno alcune sfumature.
Quelli che, invece, hanno la fortuna (la bravura) di essere più avanti di me, colmeranno le mie lacune semplicemente prestando l'orecchio e gli occhi, enjoying, come dice spesso Mark, al suo ricco mondo d'artista.

Buona lettura.


Starmene seduto nel British grove studio a Chisec, Londra, è per me un privilegio: sono molto orgoglioso di questo luogo, che ho contribuito a costruire nel corso di diversi anni. E' un meraviglioso posto in cui venire a lavorare. Vengo qui quando ho qualcosa da registrare, non quando ho della musica da scrivere. E' qui che ho registrato Tracker, vengo qui giusto a dare corpo alle mie idee (letteralmente dice "to come staggering into the light").

E' difficile sapere ciò che succederà dopo che hai scritto una canzone: a volte non è chiaro che cos'era che ti aveva spinto a scriverla e per quale motivo dovresti ritrovarci te stesso è poi un altro dei misteri; un divertente mistero, devo dire, un affascinante mistero. In ogni caso, negli anni, ho imparato a lasciarlo accadere, a renderlo più facile.

"Tracker" è molto simile a "Privateering" e ha a che fare con il mio vecchio modo di lavorare. L'ho chiamato così perché, you know, tu ti senti coinvolto nel cercare un soggetto, nell'investigare nel tuo solito modo, a volte ti succede anche quando sei in giro per il mondo in tour. Ma io "segnalo", "traccio" anche andando indietro nel tempo, come si vede anche in alcune canzoni dell'album, un aspetto che per me diventa sempre più importante man mano che invecchio.

(Segue l'assolo di chitarra dal primo brano di Tracker "Laughs and jokes, drinks and smokes").

Ecco, qui ho buttato giù ("cesellato") questa melodia circolare, pensando a una delle cose più stupide che ho fatto nella mia vita: fumare. Tutti fumavamo sempre, perché eravamo giovani, indistruttibili. Fumare faceva parte del fatto di essere giovani. 
(attacca il pezzo)
"no lights on the stairs": qui racconto il fatto che nel posto in cui vivevamo la luce delle scale durava solo quindici secondi da quando premevi il bottone, quindi in pratica, prima che tu avessi il tempo di aprire la porta o di andare da qualunque altra parte, ti ritrovavi sempre al buio. 
Un altro aspetto di quegli anni è che ci si riuniva tutti insieme, si cantava tutti insieme, faceva parte del nostro ruolo: se fossimo stati da soli, probabilmente non sarebbe successo niente di quel che è successo.

Una delle cose buffe legate al registrare con una band è che devi lasciare accadere le cose, come in "Laughs, and jokes and drinks and smokes", dove, ovviamente la canzone era scritta, ma anche se era scritta, quando la band vi è entrata in contatto, sono successe delle cose ed è magnifico che succedano. 

Sono il tipo di persona che ama entrambi gli approcci: adoro essere parte di una band, ma adoro anche essere solo io nello studio con il tipo ai keyboards o all'ingegneria del suono a cesellare e ottenere una piccola mappa e poi lasciare andare la canzone, domandandomi che cosa ne devo fare. 

Insomma, io sono uno di quei tipi fortunati che amano entrambe le cose. Quindi alla fine faccio una specie di scommessa con la canzone: se lavorarci da solo, e in questo caso la canzone andrà in un certo modo, lentamente, o se devo coinvolgere tutti gli altri. Perciò è meraviglioso essere parte di questa cosa: oltretutto, per la mia band, il cantante ha sempre ragione e, insomma, sono io il tizio che l'ha scritta (ride)...

In sottofondo le note di "Broken Bones".

Wherever I go
In "Wherever I go" duetto con Ruth Moody, meravigliosa cantante e cantautrice lei stessa, ma anche se lei aveva cominciato a  cantare anche negli altri pezzi di quest'album, in questo pezzo ho capito che sarebbe stata perfetta. "Wherever I go" di nuovo racconta di due amici che parlano di quanto non sia importante da quanto tempo non si siano più visti: essendo due buoni amici, avrebbero sempre pensato l'uno all'altra dove si fossero trovati... ed è proprio quanto capita tra grandi amici: quando ti rivedi, non ti sembra di essere mai stati lontani.

(canta).

Registrare una canzone raccoglie davvero un po' ciò che si legge ("quite of bit reading") e questo succede sempre più o meno all'inizio: leggo qualcosa e succede che alla fine si trasforma in qualcos'altro.
In alcune canzoni del passato, come "Sailing to philadelphia", "Telegraph road" o altri tipi di canzoni, c'è qualcosa che entra in conflitto con dove sono io adesso e c'è una collisione e questa è un'idea, ma ho trovato che in ogni atto del creare in genere, una volta compiuto, va da sé. Cioè: una volta scritta una canzone, questa esce di casa e cammina da sé per la sua strada e a sua volta finisce per influenzare ogni successivo atto creativo, ogni "creazione della creazione".
 (è una parte per me abbastanza oscura: prendetela con le pinze... meglio di così non riesco!)


Basil
Quand'ero ragazzo, ottenni un lavoro come copy boy il sabato pomeriggio all'Evening Chronicle di Newcastle. Mi davano 6, 6 pence, per lavorare in ufficio, dove c'era un tipo strano, piuttosto chiaramente bisbetico, troppo vecchio per quel posto, e ben più eccentrico del grosso dei tizi che lavoravano al giornale. Scoprii che era il poeta Basil Bunting e già ai tempi ne rimasi affascinato. Era troppo vecchio per il lavoro ed era infelice di lavorare. Ho cominciato a leggere le sue cose anni dopo, quando era già andato via e ho realizzato allora che il tempo l'aveva trasformato. 
In qualche maniera, quando hai 14-15 anni, sei uno sprovveduto con tutta la vita davanti, mentre per Basil era tutt'altra storia, e di certo ora guardo il mondo molto più di allora dal punto di vista di Basil (ride).
Quando Basil scrisse il suo poemo epico Briggflatts ottenne molta attenzione nel mondo della letteratura e fu in grado di lasciare il giornale e andare in America e godere del successo: da quel momento venne considerato il più grande poeta vivente dopo T.S. Eliot.
(canta)

Un'altra cosa che capita nelle mie canzoni è che sono un po' come un gioco d'azzardo: non so perché debbano andare in un certo modo e questo mi affascina. Penso che sia questa specie di trascrizione dei pensieri ciò che mi interessa.

Sono sempre stato attratto dalle persone che sono pressoché costrette a fare determinate cose, a fare ciò che fanno. Credo che questo sia il più ricorrente tra i temi che compaiono in ciò che scrivo.
Devi sentirti costretto a fare certe cose: se non lo sei, ciò che ti preme non accadrà.

Beryl
E' una di quelle canzoni che si rifanno al sound dei Dire Straits. Nel testo parlo di Beryl Bainbridge, che è stata una donna eccezionale, una scrittrice eccezionale secondo il mio punto di vista. Ma quel che mi ha attratto è che non è mai stata riconosciuta finché è stata in vita...
Beryl veniva dalla classe operaia di Liverpool, non andò all'università, è vissuta sempre lì.
(canta, suona)

Skydiver
E' nello stile di quel periodo in cui da teenager fui introdotto nello staff dei Beatles: ricordi quel loro pezzo che fa... (lo suona)? Allo stesso modo io faccio: "I've been banned...", etc.
Insomma, è una sorta di approccio chitarristico, ma di nuovo è una questione di tipo artistico, risultato di un amalgama di differenti discipline artistiche.
(Canta)... A un certo punto, inaspettatamente, si inserisce sulla mia la fantastica voce di Ruth, e ne viene fuori qualcosa di veramente speciale... Ruth non si limita a cantare, vive la musica.

River towns
E' un'altra canzone con un personaggio (una character song): in questo caso si tratta di un tizio giovane che sta a bordo di una chiatta su uno dei fiumi americani del Midwest, volevo scrivere del periodo in cui avevo appena scoperto Cold Bristy, J Pancake (non so chi siano, soprattutto il primo, ahimè), un grande spreco di talento, ho voluto raccontare la solitudine di un ragazzo nel giorno di Natale, prostrato da una sorta di rassegnazione... ricordo quando io stesso ero in una band, senza un soldo in tasca, sperduto nella campagna, era Natale e sarei voluto essere a casa, c'era neve dappertutto, guardai oltre lungo la strada ghiacciata e a parte me non c'era nient'altro di vivente che si muoveva... e la canzone viene giù come la neve (sorride). Ricordo chiaramente che cosa ho scelto di fare, con la chitarra nella mia valigia... penso che Tiver towns abbia molto a che fare con la solitudine e con il momento in cui realizzi quanto conti in questo mondo.
(suona)

... quindi si tratta solo di un giovane solo in una "tugboat" a Natale sul fiume e suppongo che io abbia trovato qualcosa in questi personaggi nei quali ci si possa identificare.

Lights of Taormina
E' è una delle canzoni dell'album nelle quali volevo suonare una "slag guitar". E infatti in questa canzone ho usato questa 64 stratocaster, piuttosto vecchia, ma è un'amabile chitarra, che avevo già usato in "Sailing to Philadelphia"... Le ho ridato nuova vita usandola in "Tracker", perché ha un buon suono (la prova).
... adesso non so bene che cosa suonare perché mi piace mescolare (mix up) improvvisazioni... mi ricordo a malapena come faceva (mentre suona).
E insomma è bello quando qualcosa ritorna in auge: è come rincontrare un vecchio amico e scoprire di avere ancora molte cose in comune (sorride). E' un simpatico ciclo. 
Sono un tipo fortunato perché se è vero che c'è un ciclo di eventi da quando scrivi una canzone, poi la registri e quindi vai a suonarla davanti alla gente, quando sei capace di goderne interamente, ti puoi ritenere proprio un tipo fortunato. Non capita a tutti.

La vita è abbastanza piena quando ti piace ciò che fai: prendi bene anche le cose inaspettate che capitano. Per esempio, mentre lavoravo a "Tracker", Bob Dylan mi ha chiesto di partecipare a un suo tour, prima europeo, poi americano; quindi ho dovuto interrompere la registrazione dell'album e quando ho ripreso, questo ha influenzato molto il resto del lavoro. E di ciò ne sono molto contento.

Quando sono in tour, è particolarmente buffo vedere questi grossi ex ragazzi portati da qualcuno di famiglia o che loro stessi hanno trascinato al concerto, che alla fine applaudono e hanno il volto pieno di lacrimoni... è proprio una bella sensazione (sorride).
Penso che quando hai trasmesso qualcosa di positivo agli altri, hai fatto la differenza.
Perché quando crei qualcosa e la lasci andare nello stagno, non sai mai che cosa ti tornerà indietro...

Per quanto riguarda me e i milioni di fan che ti adorano oltre ogni dire, caro Mark, è tornato indietro assai.
Thanks a lot, long, cool guy :-)
E voi abbiate pietà della mia traduzione imperfetta...

lunedì 30 marzo 2015

I sorrisi sghembi di chi brama la rinascita: buona Pasqua a tutti


Nella fotografia che vedete sopra non mi piaccio affatto. Ma il motivo per cui l'ho pubblicata non è affatto narcisistico. Almeno, non in modo conscio.
Più o meno nello stesso punto, la bellezza di boh... trentacinque anni fa, fummo fotografati la sottoscritta con questa faccia da patata e il resto della mia famiglia di origine.
Ne ho parlato diffusamente nel periodo natalizio. Qui vi basti giusto sapere che lo scatto di questa volta è di ieri mattina: il luogo è Verona.

Sono stata nella bella, a tratti respingente, città veneta il fine settimana appena passato.
Ho rivisto l'autore del commovente ritratto degli anni che furono e l'ho ricambiato con la stessa moneta, fotografando lui e la sua nuova famiglia esattamente nel medesimo punto in cui eravamo stati immortalati noi quattro. Loro, ovviamente, non potevo pubblicarli. Perciò eccovi la foto che mi ha fatto il Bipede, giusto una mezz'oretta prima di quella di cui vi ho appena parlato.

Sono stata felice di rivedere un luogo nel quale, in verità, ero tornata nove anni fa, in occasione dell'indimenticabile concerto di Mark Knopfler ed Emmylou Harris all'arena. Anche quella, tra l'altro, era stata occasione di incontri molteplici: mi avevano raggiunta le mie ex compagne di casa di Milano, una delle quali è originaria proprio della città di Romeo e Giulietta.

Stavolta, invece, oltre a Rosina, Pino, Tonino, Silvia, Sofia e Gabriele, ho rivisto anche i nostri carissimi amici valdostani Lalla e Maurizio, e approfondito appena un po' di più la conoscenza con i loro amici Antonella e Mirco. Questi ultimi verranno giù nelle Marche la prossima estate, per cui la gita in cima alla torre dei Lamberti (bellissima Verona dall'alto!), la passeggiata e la cena sono stati giusto un anticipo dei giorni marini che spero passeremo insieme.

Mi piace far incontrare gli amici, anche se so bene quanto sia rischioso o semplicemente complicato. Temo in particolare di aver messo in imbarazzo due di loro (non dico chi), ma spero che possano perdonarmi: ci tenevo proprio a rivederli, anche solo per pochi minuti.

Mia madre ne sarebbe stata contenta. Da lei ho ereditato la socialità e anche una certa confusionarietà ansiosa. Mio padre, al telefono, pareva a sua volta contento per me.
Devo avergli fatto venire in mente le nostre vacanze, "quando erano piccole le bambine e giovani noi", ha scritto mia mamma in un bigliettino che accompagnava il vhs ricavato dalle bobine della vecchia cinepresa Super 8, da mio padre ripescata in fondo a uno degli armadi che abbiamo svuotato.

Stanotte l'ho sognata: stava bene, forse non al massimo, forse più o meno come l'ho vista il penultimo Natale, quando il male pareva avesse allentato la stretta.
Non voleva, per l'appunto, farsi stringere dal mio abbraccio, come se temesse che il senso di benessere ritrovato potesse smarrirsi al contatto con me.
Indossava la sua vestaglia rosso scuro, quella che le abbiamo visto più spesso nell'ultimo, troppo rapido, periodo.

Il prossimo 4 aprile sarebbe stato il suo compleanno. Ricordo troppo bene quello dell'anno scorso, ma non sono ancora in grado di dire come mi comporterò questo sabato né a Pasqua.

Sono giorni pieni di presente: mi vergogno quasi di ammettere di aver passato momenti belli durante questo mese. Dopo tanta stasi, preceduta da troppo dolore e angoscia pura, non riesco ancora a credere di essere riuscita a provare un po' di leggerezza.

La protagonista di Bones (uno dei miei attuali miti televisivi) direbbe che è colpa dell'educazione cattolica ricevuta, ma al di là di questo, quando soffri per davvero, guardi tutto con occhi totalmente differenti.

Vorrei ridere di cuore, lo confesso. Vorrei saltare da una stanza all'altra come facevo un po' prima della foto veronese di cui vi parlavo prima. Ogni tanto, certo, mi succede eccome di zampettare come la gatta Bice. La mia tendenza all'ironia (al sarcasmo, anzi) non mi abbandona mai.

E tuttavia non basta.
E' arrivata pure la primavera, persino qui a Fermo fa meno freddo (non in casa nostra: ieri al ritorno c'erano 15 gradi). Il cambiamento è necessario.
Alcuni arrivano del tutto inaspettati; altri bisogna impegnarsi continuamente a cercarli.

Che fatica, insomma. Sarà per questo che poi si ride a mezza bocca.
Per le risate con le lacrime ci vuole qualcosa di più.
Aspetto di vederle affiorare, accanto a quelle di commozione e di nostalgia, che ogni tanto, negli ultimi miei due viaggi verso nord, sono scese senza che potessi farci nulla.

Grazie, mamma, per tutto quello che mi hai dato.
Mi pare (lo dico piano) che stia germinando sempre di più.
Continuerò a non smarrirmi. Continuerò a rinascere, come tu hai saputo fare tutta la vita.

Buona Pasqua a tutti.

mercoledì 4 marzo 2015

Siamo (anche) il nostro passato. Perciò: why worry?



Il sito della scuola d'inglese sul quale mi sto preparando per il Toeic non funziona? Perché preoccuparsi? "Si dovrebbe ridere dopo un dolore, dovrebbe tornare il sole dopo la pioggia. Quindi perché preoccuparsi ora?".

Lo dire Mark Knopfler nella sua bellissima Why worry?, che qui propongo in una versione del 2009, valida, presumo, ancora oggi. 
E' così diversa dalla originale, ossia quella registrata per Brothers in arms: l'ho ascoltata poco fa mentre stiravo (non potendo studiare: sono molto multi-tasking).

Vi dirò che quasi quasi la preferisco nella versione contemporanea: secondo me, la voce di Mark è addirittura diventata più sexy adesso
Probabilmente c'entra anche la produzione del suono (mi baso su quanto mi riferisce il Bipede in merito), che negli anni Ottanta era (forse) più patinata.

In ogni caso, ieri ho rivisto di nuovo il documentario della Bbc che ho pubblicato nel precedente post (NB ora bloccato dai proprietari e quindi non più disponibile... ahimè) e, oltre a confermare la grandissima emozione provata la prima volta che l'ho visto, mi sono soffermata di più sul passaggio in cui si sentono le note di Why worry e di alcune colonne sonore che il musicista-songwriter di Glasgow ha composto per svariati film poco noti in Italia.

Mi piace moltissimo il punto in cui dice di aver inserito suggestioni provenienti dal mondo celtico (la prima c è pronunciata come una K, cosa che ignoravo), così, quasi senza accorgersene.
E' normale che succeda così, considera più o meno, perché tutto ciò che siamo oggi è frutto del nostro passato e di quello di chi è venuto prima di noi.

Potremo girare tutto il mondo, insomma, ma quello che porteremo alla luce nelle cose che facciamo, sarà sempre fortemente impastato di ciò che abbiamo conosciuto più intimamente. Anche senza accorgercene. Attraverso il latte materno, per dire.

La "mia" Majella sarà sempre con me, mia madre sarà sempre mia madre e io la porterò con me, sempre.
Perciò, why worry?

Buon ascolto e buoni percorsi a tutti.

martedì 24 febbraio 2015

Mark Knopfler e la felicità necessaria



Il documentario della BBC che pubblico sopra (NB: è stato bloccato dai proprietari qualche tempo dopo aver pubblicato questo post. Ne sono molto dispiaciuta, ma non ci si può fare niente...) mi è stato segnalato (com'era facilmente deducibile per chi ci conosce) dal Bipede. 
Non potrò mai smettere di ringraziarlo per avermi fatto conoscere a fondo Mark Knopfler, che è molto di più della voce dei mitici Dire Straits. Chi, come me, ha scoperto la sua produzione solistica, prendendosi naturalmente il giusto tempo per studiarne (proprio) le canzoni, saprà senza bisogno di ulteriori parole quanto grande sia questo immenso songwriter nativo di Glasgow.

Come già detto su questo spazio in passato, quando mi sono rimessa a studiare inglese, sono partita proprio dai testi di Mark per farmi un po' di vocabolario. Un'operazione davvero complessa che non ho ancora terminato né credo concluderò a breve.
Non solo perché, com'è ovvio, non si finisce mai di apprendere quali e quante siano le sfumature di una lingua (pure della propria), ma anche perché l'artista britannico ha una ricchezza espressiva davvero straordinaria.

Basta guardare e ascoltare ciò che dice in questo documentario uscito in occasione del suo terzultimo disco (considerando il prossimo in uscita in 9 marzo) Get Lucky.

Sapevo dell'abitudine di Mark di portarsi dietro un taccuino per trascriverne, tutte le volte che ci fosse stato bisogno, dettagli di vita rubata girando tra la gente; ciò che invece ignoravo fino a ieri è che abbia fatto agli albori della sua vita adulta (a soli 15 anni) il giornalista (il copy boy, più esattamente).
Certo, non ha mai sentito - lo dice proprio letteralmente - di avere "l'inchiostro nelle vene", ma a mio modestissimo avviso nel suo sangue c'è sempre stato molto di più del liquido nero-bluastro che usiamo per scrivere.
Quanti ne nascono, infatti, al mondo di artisti che sanno disegnare suonando e scrivere cantando

Per me Knopfler è un mago delle sinestesie, ossia uno di quei rari casi in cui, ascoltando la sua musica e leggendo le microstorie contenute nei suoi testi, ti lasci andare, smetti di pensare al tuo presente e ti metti in viaggio.

Non è un caso se uno dei dischi che amo di più è quello con Emmylou, affascinante cantante folk made in USA, che compare anche nel video qui sopra. Ascoltandoli duettare insieme, mi sembra di percorrere insieme con loro quelle immense strade che ammiro sempre nei telefilm americani, e soprattutto mi sembra che sia ancora tutto possibile.

Nel penultimo lavoro, che sto riascoltando in questi giorni, di canzoni che ti portano lontano lontano (oltre Milano e i gasometri, direbbe il "mio" maestro astigiano), ce ne sono parecchie.
Spettacolare è, ovvio, Privateering, il pezzo che dà il titolo all'album, che parla di pirati veri e metaforici.

Ma tra le più emozionanti, per me, c'è Seattle, che parla di pioggia e di amore, di un amore che si nutre sotto e con la pioggia che cade a secchiate sulla città Usa. Una delle molte che vorrei visitare.

L'ultimo mese è stato molto duro, come non mi succedeva da tempo.
Il 26 febbraio del 1997 ho avuto una crisi d'ansia fortissima in una libreria di Pisa. La mia prima vera crisi d'ansia: da allora niente è stato più come prima. Ne ho parlato più volte, soprattutto ne ho ricavato un racconto diversi anni dopo che, pur con i difetti congeniti alla mia scrittura, ha ancora qualcosa di potente.

Non sono più la stessa di quegli anni, ne sono consapevole.
Però, in meno di un anno mi sono ritrovata senza la donna che più di tutte mi ha sempre spinta, allora come prima e come dopo, a proseguire con la mia vita, e con un papà molto più fragile.

L'ho già scritto: sono diventata adulta tardi e una parte di me temo non crescerà mai (lo testimonia pure la mia bassa statura).
Fa niente, l'importante è conoscere i propri limiti e giocarci quando non si può fare altrimenti (come faccio spesso con i miei 152 centimetri sopra il livello del mare).

Mark e il suo immaginario così ricco, la lucidità con cui, poco più che quarantenne, ha detto basta (lo si vede bene nel documentario) alla sua scintillante vita di popstar, mi ricordano gli strappi che ho compiuto pure io nel mio piccolo, in nome della ricerca di un senso più profondo nelle cose, quello che "si nasconde dietro alle persone", come canta Cristina Donà in uno dei pezzi più belli del suo Così vicini.

Quel che più mi piace e forse mi rassicura è che questo genio della musica e delle parole oggi, a quasi 66 anni, sia - visibilmente - una persona felice. Lo testimonia l'altro, brevissimo, video che mi ha linkato sempre il Bipede, che racconta alcuni momenti delle sue giornate più recenti, forse di un anno fa, mentre stava registrando Tracker, l'album di prossima uscita.

Lo trovate qui sotto:



Che cosa significa felicità, direte voi?
Per me, più o meno quella cosa lì che si vede mentre Mark gioca con il suo cane, prova la macchina d'epoca e poi va nello studio di registrazione, tra i suoi colleghi e sicuramente amici fidati.

La felicità è riuscire, insomma, a trovare il proprio posto nel mondo imparando a fare ciò che più ci piace. Tutto qui, pensate? Beh, vi sfido a provarmi quanto sia semplice.

Se per voi è stato così, ne sono per l'appunto felice.
Per me, invece, è dura: soggettivamente sono incline all'esaurimento (e vabbè), ma oggettivamente ci vorrebbero condizioni un po' più favorevoli.

Per fortuna arriva la musica e le passioni altrui, dalle quali, a volte, com'è successo ieri mattina, mentre guardavo Mark, mi lascio facilmente contagiare.

Lui non può saperlo, o forse lo sa eccome: nel mondo ci saranno tante persone confuse, preoccupate, incerte e con problemi anche decisamente più seri dei miei che, ascoltandolo, si sono magicamente sentite meglio.

E' questo il senso più vero dell'arte: offrire oasi di consolazione vera e in un certo senso gratuita.

Spero solo di arrivare allo stesso grado di pacificazione che mostra quest'uomo dai piccoli, intensi, occhi blu.
Certo, come ha dichiarato in un'intervista Paolo Conte, "il felice", prima bisogna "lavorare molto".
Forse è proprio questo il problema.

Ma questa è un'altra storia.
Ne parlerò (forse) in un altro post.

A voi, buona vita e buone ricerche.
La vita è sempre dannatamente interessante.
Non scordiamocelo mai.

mercoledì 1 ottobre 2014

Quando ringiovanirò imparerò a parlare inglese


Ho cominciato a scrivere questo post un po' di settimane fa, ma non ce l'ho fatta a terminarlo, semplicemente perché non sono riuscita a capire tutto il testo di questa bella canzone di Joe Cocker.
Alla fine l'ho cercato su internet, ma almeno, questo sì, non ho avuto bisogno della traduzione in italiano.
Per le canzoni di Mark Knopfler, invece, non ce la faccio proprio: sono davvero complesse. Ieri, per dire, ho riascoltato l'ultimo album (Privateering), mentre facevo la cyclette, ma pur con il libretto davanti, non capivo almeno la metà delle parole. E d'altra parte pure questo è uno stimolo ad andare avanti nello studio dell'inglese

Vi riporto quel che ho capito da sola:


Imparerò a suonare la chitarra blues
Guiderò veloce le auto ...
Salterò dagli aerei in volo
Andrò a cercare Dio e ne diventerò il testimone
Mi guarderò dentro e cercherò di capire 
che cosa penso della vita e di ciò che ho intorno

Quando ringiovanirò (due volte)

Ballerò con i folli e prenderò in giro i re
dirò il meglio sui miei genitori...
...

smetterò di fumare per il mio bene,
cercherò le parole perfette per dire
che cosa amo di più ...


Quando ringiovanirò (due volte)

Ci sono un sacco di cose da fare
dovrò fare di tutto prima di non esserci più


Per il resto, ascoltatela da voi.

E, comunque, più che ringiovanire, si è costretti a fare i giovani.
Poi, da un momento all'altro, trà, ci si ritrova più rugosi di Dorian Gray nello specchio.

E pazienza.

Nel frattempo, ripeto mentalmente il mantra che mi ha insegnato mia sorella.
E il cambiamento arriverà.

giovedì 16 maggio 2013

I buchi del cuore e le lezioni d'inglese

Questa settimana ho fatto ben due lezioni di conversazione in inglese. Anzi, tre: il merito di quest'ultima è di un mio amico in carne e ossa, che molto gentilmente si è offerto di aiutarmi nel mio donchisciottesco tentativo di imparare una buona volta la lingua anglosassone. Impegni permettendo, credo che potrà darmi davvero una grossa mano.
Dal canto mio, spero con tutto il cuore di riuscire a non perdere la motivazione: certo, l'investimento economico compiuto per frequentare la mia scuola d'inglese online non è indifferente, per cui qualcosa dovrò cavarcela per forza. E tuttavia, non mi riferisco solo all'obiettivo esterofilo. Sto parlando più in generale della mia vera o presunta volontà di potenza. Fa molto Nietszche questo passaggio, eh? Fregnacce a parte, gli avvenimenti di questi ultimi mesi (e ahimè anche giorni) confermano sempre di più le fosche previsioni sul futuro, ahimè neanche tanto lontano. E non si tratta di pessimismo o di lagnosità sudista, è proprio che non vedo grossi sbocchi se non "l'auto-tutto" per gente come me e come i miei più stretti legami, alle prese con presunti lavori autonomi a rischio accertamento fiscale per i troppo magri (ma ahimè veri) guadagni annuali accumulati.
E così, tra un accudimento e l'altro (di quattrozampe e persone), tra una lezione d'inglese e un'altra di ginnastica e quelle successive, cerco di non perdere la barra e di darmi un qualche orientamento.
Stamattina ho spedito la mia domanda per un concorso pubblico per soli titoli: voglio proprio vedere se mi chiameranno almeno per il colloquio. Non mancherò di riferirne qui, in tutti i modi. Scritte queste inani righe, poi, mi dedicherò a buttare giù nuove idee per un lavoro creativo. Più vago di così si muore, no? Eppure. Eppure sono proprio i momenti di ricerca e di spremitura delle meningi che mi danno la maggiore soddisfazione. Come sarebbe bello se a ogni scatto creativo (valido, naturalmente, il che significa uno ogni tanto. Le idee buone sono per forza rare) ne corrispondesse uno del mio conto in banca, ovviamente in entrata. Non venitemi a dire che l'arte (?) non paga. In certi casi paga eccome. E in ogni caso io non sono un'artista, perciò non piangete per me come la fidanzata di Moretti in Ecce Bombo.
Abbiate pazienza, insomma. E' solo che oggi è una giornata strana e il mio cuore aveva bisogno di riempire (o forse sarebbe più esatto dire svuotare) di parole i buchi emotivi diversamente troppo grandi. Ieri precisavo con un caro amico che da oggi è un po' più solo che non sono depressa. No, non lo sono affatto. E' solo che non ho più vent'anni (ma neanche trenta. Accidenti alla canzone di un gruppo anni Novanta che ascoltavo in anni che davvero spero di non vivere mai più: parlo dei Prozac +) e certi sogni, a questo punto, non si realizzeranno mai più. E' sicuro che è così, bisogna dirselo con chiarezza. Nel tempo, insomma, il cuore si riempie di buchi sempre nuovi, alcuni dei quali, purtroppo, non si potranno più ricucire, un po' come i calzini troppo lisi.
Perciò, sì, potete raccontarmi i vostri guai (come qualcuno in effetti fa davvero), li ascolterò gratis, con il mio cuore pieno di buchi e il sorriso sempre accennato, forse un po' triste, ma rassicurante.
Sto parafrasando e reintepretando una bellissima canzone di Mark Knopfler, Heart full of holes, da me nuovamente saccheggiato per la lezione online. Non ricordo a memoria il testo, ma sono sicura che la musica che ne accompagna le parole vi faranno capire molto meglio di quanto riesca a fare io quanta poesia c'è, in noi e nella nostra vita. Anche grazie a questi enormi buchi rammendabili mai più.


martedì 26 marzo 2013

Mark Knopfler e il senso della vita

Il mio insegnante di inglese sudafricano (uno dei molti che potrei scegliere per le lezioni di conversazione online che ho acquistato) nella vita fa il videomaker. Dalla voce e dal modo in cui ride mi sembra molto più giovane di me e parecchio estroverso.
Non sono sicura (anzi: è certo che non ho capito) di aver capito tutto quel che mi ha detto di sé, ma forse sta per pubblicare un libro, addirittura il secondo. Tra un po' di lezioni, sperando di sciogliermi un po' di più, glielo richiedo perché francamente questa cosa m'incuriosisce assai.
In tutti i modi, ieri gli ho sottoposto una lista di canzoni di Mark Knopfler per farmi spiegare un po' di parole ed espressioni (cockney, adesso so che significa!).
Anche in questo caso sono più che sicura di non aver compreso tutto. Però trovo che sia molto stimolante discutere di poesia e di filosofia, se così si possono definire le quattro fregnacce che sono riuscita a imbastire per spiegargli quel che mi trasmetteva una canzone in particolare del grandissimo Mark.
Sto parlando di 5.15 AM, il pezzo di apertura dell'album Shangri-La, che mi ha sempre colpito per la musica orecchiabile e per l'oscurità delle parole.
Cercando i testi da mandare a Jason (si chiama così il simpatico sudafricano, che immagino di pelle bianca, ma chissà), mi sono accorta dell'esistenza in rete di forum che discutono del significato delle canzoni.
Su 5.15 Am, in particolare, qualcuno si è soffermato sulla contrapposizione tra bene e male, tra paradiso e inferno, in tutto l'album dell'ex leader dei Dire Straits e in generale nella vita.
A un certo punto, uno dei commentatori scrive proprio (traduco dall'inglese con maggiore scioltezza... e vai!): "C'è ironia nel titolo Shangri-La", che nella nostra lingua potrebbe suonare come "paese della cuccagna" o meglio ancora "eden". Noi tutti la cerchiamo, ma nella vita come in "Shangri-La, l'inferno è più frequente del paradiso". Il tizio (o la tizia, non saprei) aggiunge poi: Knopfler è cinico ma anche realista. Non offre soluzioni, ma solo ruvide osservazioni". Stando così le cose, "lo stile di vita dei surfisti" descritti nella canzone omonima al titolo dell'album è migliore, perché "più semplice e più basato sui sensi, aperto all'amore" nel senso più ampio del termine. "E tuttavia i vividi contrasti tra ciò che cerchiamo e ciò che riusciamo a trovare e naturalmente la musica rende l'album davvero grande".
Dal canto mio, non posso che sottoscrivere queste considerazioni, estendendole alla mia "way of life". Pur non potendomi definire una "surfista", sempre distesa e disponibile alla "dolce vita", espressione che compare esattamente così nella già citata 5.15 Am, mi sento alla costante ricerca del mio personale eden, fatto di equilibrio e serenità.
Non credo di essere l'unica: immagino che il grosso di noi impieghi il suo tempo alla ricerca della felicità chissà se perduta, come quella sperimentata da Adamo ed Eva nel paradiso originario. E tuttavia trovo davvero interessante constatare come sia molto più immediato esprimere questo senso di smarrimento nostalgico per un qualcosa che forse non abbiamo mai vissuto e insieme questo bisogno di sconfiggere i troppi momenti d'inferno che attraversano la nostra vita, per mezzo della musica e delle parole.
Certo: le seconde senza la prima non farebbero lo stesso effetto, ma trovo che Mark sia uno dei pochi maestri delle note dotato di analogo talento letterario.
Sono davvero felice di aver trovato un modo per apprezzare ancora di più le sfumature dei suoi lavori.
L'inferno è più frequente, è vero, ma quando arriva il paradiso, altro che se ce ne accorgiamo.
Per esempio, succede ascoltando Shangri-La.
Eccola per voi e per me, o per lo meno per quelli da noi che si sentono surfisti in potenza:




A tutti Buona Pasqua (rinascita...).