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martedì 31 maggio 2016

Fermo 85 e il saggio perfetto

Porto San Giorgio, le zumbere/i al saggio della Fermo 85 al Palasavelli

Già all'arrivo ho capito che sarebbe stato un grande evento. Mai stata prima al palazzetto dello sport de Lu Portu, sono stata accolta da un assembramento di auto piuttosto notevole.
Mi avevano anticipato, in effetti, che la Fermo 85 organizza saggi spettacolari, ma, davvero, non mi aspettavo di rimanerne così colpita.

Ogni anno l'associazione sportiva sceglie un tema attorno al quale far ruotare tutti i numeri degli allievi iscritti ai propri corsi, agonistici e non.
Sulla pedana morbida (un tantino faticosa, per usare un eufemismo), si sono così alternati bambini, ragazzi e adulti, parlando con il corpo dei "Mesi e le stagioni", il titolo scelto per il saggio edizione 2016.

Bene: era tutto, oserei dire, perfetto. Musiche, costumi, esecuzione degli esercizi, presentazione (a cura di Daniela Gurini di Tvrs), coordinamento tra backstage e on stage. 
Immaginavo di intenerirmi guardando i più piccini, ovvio, ma non avevo idea che tra loro vi fossero così tanti talenti della ginnastica

Che energia, che concentrazione. Davvero un gran regalo poterli guardare dal vivo mentre si lanciavano (letteralmente) sulla scena.

Vorrei realizzare una galleria fotografica, ma essendoci molti minorenni, aspetto di ricevere l'autorizzazione.
Ciò che conta, comunque, è quello che sono riusciti a trasmettere anche a una come me e forse, presumo, anche ai genitori che si assiepavano sulla ringhiera pur di afferrare qualche volteggio dei loro figli.

Bisogna buttarsi nella vita, partecipare, mettersi alla prova, cercando però di non smarrire mai le giuste proporzioni di ciò che si fa e di ciò che si è.

Non possiamo essere tutti campioni, però non c'è niente di peggio di chi rinuncia prima dell'impresa, di chi non rischia almeno una fettina di se stesso.

Sono piuttosto sicura che i partecipanti al saggio dell'altro giorno lo sappiano ed è per questo motivo che hanno restituito a noi che li guardavamo un'immagine gioiosa e armoniosa.

E se qualcuno è ancora lì che si mangia le mani per il passo sbagliato o il tempo fuori sincrono, beh, ormai è andata. Di certo chi li ha preparati saprà aiutarli a sbollire l'eventuale rabbia o frustrazione.

Ha detto bene, a un certo punto, la presentatrice (accidenti com'era alta rispetto a me!): se quei ragazzi sono riusciti a dare il meglio l'altra sera, il merito non è solo dei bravi insegnanti della Fermo 85 che li hanno preparati fisicamente e corazzati psicologicamente, ma è soprattutto di quegli stessi genitori che si assiepavano sulla balaustra, perché stanno credendo in loro.

E se anche un giorno dovessero fare tutt'altro, non importa. L'altra sera sono stati grandi e lo saranno ancora. Come dimostrano i "grandi" del gruppo di Zumba, che hanno chiuso il saggio con una scarica di adrenalina pura che si porteranno dietro... fino alla lontanissima vecchiaia!

In bocca al lupo e buon futuro a tutti voi.
A tutti noi...

I saluti finali di insegnanti e soci della Fermo 85: arrivederci all'anno prossimo!



giovedì 16 maggio 2013

I buchi del cuore e le lezioni d'inglese

Questa settimana ho fatto ben due lezioni di conversazione in inglese. Anzi, tre: il merito di quest'ultima è di un mio amico in carne e ossa, che molto gentilmente si è offerto di aiutarmi nel mio donchisciottesco tentativo di imparare una buona volta la lingua anglosassone. Impegni permettendo, credo che potrà darmi davvero una grossa mano.
Dal canto mio, spero con tutto il cuore di riuscire a non perdere la motivazione: certo, l'investimento economico compiuto per frequentare la mia scuola d'inglese online non è indifferente, per cui qualcosa dovrò cavarcela per forza. E tuttavia, non mi riferisco solo all'obiettivo esterofilo. Sto parlando più in generale della mia vera o presunta volontà di potenza. Fa molto Nietszche questo passaggio, eh? Fregnacce a parte, gli avvenimenti di questi ultimi mesi (e ahimè anche giorni) confermano sempre di più le fosche previsioni sul futuro, ahimè neanche tanto lontano. E non si tratta di pessimismo o di lagnosità sudista, è proprio che non vedo grossi sbocchi se non "l'auto-tutto" per gente come me e come i miei più stretti legami, alle prese con presunti lavori autonomi a rischio accertamento fiscale per i troppo magri (ma ahimè veri) guadagni annuali accumulati.
E così, tra un accudimento e l'altro (di quattrozampe e persone), tra una lezione d'inglese e un'altra di ginnastica e quelle successive, cerco di non perdere la barra e di darmi un qualche orientamento.
Stamattina ho spedito la mia domanda per un concorso pubblico per soli titoli: voglio proprio vedere se mi chiameranno almeno per il colloquio. Non mancherò di riferirne qui, in tutti i modi. Scritte queste inani righe, poi, mi dedicherò a buttare giù nuove idee per un lavoro creativo. Più vago di così si muore, no? Eppure. Eppure sono proprio i momenti di ricerca e di spremitura delle meningi che mi danno la maggiore soddisfazione. Come sarebbe bello se a ogni scatto creativo (valido, naturalmente, il che significa uno ogni tanto. Le idee buone sono per forza rare) ne corrispondesse uno del mio conto in banca, ovviamente in entrata. Non venitemi a dire che l'arte (?) non paga. In certi casi paga eccome. E in ogni caso io non sono un'artista, perciò non piangete per me come la fidanzata di Moretti in Ecce Bombo.
Abbiate pazienza, insomma. E' solo che oggi è una giornata strana e il mio cuore aveva bisogno di riempire (o forse sarebbe più esatto dire svuotare) di parole i buchi emotivi diversamente troppo grandi. Ieri precisavo con un caro amico che da oggi è un po' più solo che non sono depressa. No, non lo sono affatto. E' solo che non ho più vent'anni (ma neanche trenta. Accidenti alla canzone di un gruppo anni Novanta che ascoltavo in anni che davvero spero di non vivere mai più: parlo dei Prozac +) e certi sogni, a questo punto, non si realizzeranno mai più. E' sicuro che è così, bisogna dirselo con chiarezza. Nel tempo, insomma, il cuore si riempie di buchi sempre nuovi, alcuni dei quali, purtroppo, non si potranno più ricucire, un po' come i calzini troppo lisi.
Perciò, sì, potete raccontarmi i vostri guai (come qualcuno in effetti fa davvero), li ascolterò gratis, con il mio cuore pieno di buchi e il sorriso sempre accennato, forse un po' triste, ma rassicurante.
Sto parafrasando e reintepretando una bellissima canzone di Mark Knopfler, Heart full of holes, da me nuovamente saccheggiato per la lezione online. Non ricordo a memoria il testo, ma sono sicura che la musica che ne accompagna le parole vi faranno capire molto meglio di quanto riesca a fare io quanta poesia c'è, in noi e nella nostra vita. Anche grazie a questi enormi buchi rammendabili mai più.


venerdì 7 dicembre 2012

Una donna, nonostante i capelli "lendi"



Non c'è niente da scherzare, lo so, però il periodo impone una certa dose di sdrammatizzazione.
Nel giro di due mesi ho accumulato già una certa esperienza in fatto di corsie, dottori e infermiere/i, non abbastanza lunga, certo, da lasciare che mi produca in una sentenza tranchant, ma sufficiente a farmi augurare di rimanerne il più possibile lontana, finché la carcassa reggerà.
Per dire, mi sapete spiegare perché il solito ginecologo con panza rotonda e pelata da prepensionato non mi abbia rilasciato neanche stavolta la ricevuta? Oltretutto era in presenza di testimoni (il mio povero consorte che mi mandava, lui sì, fulmini e saette con i suoi occhiacci fiammanti per averlo trascinato in quell'angusto e mal arredato studio medico). Non puoi, per nessuna ragione al mondo, infilarti nella tasca del camice euro-settanta di compenso, senza battere un ciglio. Eppure neanche stavolta sono stata in grado di dirgli nulla e mi sono persino comprata l'integratore che mi ha propinato come ultimo rimedio contro la vecchiaia uterina (e non solo) che avanza.
Certo, ero talmente felice di sapere di non avere nulla di specifico che forse l'avrei persino filialmente abbracciato, ma davvero non si gioca così con le fragilità e insicurezze altrui.
E però poi ho letto il bugiardino, come Moretti nel solito Caro Diario.
E mi sono chiesta: ma mi ha guardata?
No, perché d'accordo che ho le gambe muscolose e i capelli fini, segni probabili di una certa androgenia (si scriverà così? Boh), ma la pelle unta, l'acne, l'irsutismo e l'obesità non mi sembra proprio che mi appartengano. D'altra parte, mi ha prescritto un integratore, ossia acqua fresca, per cui posso pure prenderlo. Però i sospetti aumentano: fosse fosse che ha un accordo con la casa farmaceutica produttrice per erogarne un tot alle "tardipare"?
Chi può dirlo.
L'istruttivo foglietto della polverina che sto prendendo da qualche giorno mi ha fatto tornare in mente un episodio accadutomi almeno quattordici anni fa.
Ero a cena con un po' di gente della mia cerchia chietina, alla presenza di un tipo forse già cinquantenne o più (ai tempi trovavo decrepiti i quarantenni, figuriamoci quelli più grandi) di cui si diceva avesse qualità sciamaniche. O qualcosa del genere.
Fatto sta che mi guarda in faccia e dice, rispondendo a mia domanda precisa su quale fosse la sua predizione sul mio futuro, che io avevo "qualcosa di maschile", per esempio i miei "capelli lendi", pronunciato proprio con la d al posto della t come quasi tutti i miei conterranei. Mi pare che avesse accennato anche alla mia struttura fisica, minuta sì, ma ben piazzata a terra (diciamo così) e poi, giusto per non farsi mancare nulla, aveva aggiunto che la storia sentimentale con il fidanzato toscano era destinata a finire per incompatibilità caratteriale. A suo giudizio, ci tarpavamo l'energia a vicenda. O almeno io lo ricordo così, ma potrebbe essere tranquillamente una mia comoda rilettura posteriore.
E insomma: magari il bugiardino l'ha scritto proprio questo tipo ed è per questo che devo curarmi.
Magari non resto incinta (temo che oltre all'integratore ci voglia pure qualcos'altro: tipo un po' più di tranquillità esistenziale, decisamente in calo negli ultimi tempi), ma almeno divento liscia come una pesca e scateno tutta la femminilità rimasta finora inespressa.
Oddio: e se mi trasformassi in un'oca? Detesto cordialmente la quota di femmine isteriche e lagnose. Sarebbe veramente una tragedia e mi condannerei a una triste solitudine. Perché di certo il sopra citato consorte mi abbandonerebbe al mio destino di donna-donna, libero finalmente di godersi la maturità senza pressioni indebite.
Perché, lo riconosco: noi altra metà del cielo possiamo essere delle scassapalle micidiali, con o senza pelle unta e capelli "lendi".
Rispondo così anche al mini-dibattito scatenato da un mio giovane conoscente molto bravo con le parole, ma necessariamente ancora poco esperto di vita: non è che le donne non sappiano riconoscere una cortesia gratuita, è che stanno sempre già pensando a che cosa fare dopo, il minuto dopo, l'ora dopo, la settimana dopo - a seconda del livello di ansiogeno efficientismo autoimpostesi per reggere ritmi di una società assurda - e non hanno tempo, molto spesso, di lasciarsi coccolare anche da un semplice, in fondo desideratissimo, gesto gentile.
Perché forse tutte le donne, ahimè, si stanno mascolinizzando, come di voi maschi si dice che vi state femminilizzando.
Di per sé, un po' di confusione di ruoli, in una società avanzata, è addirittura un bene. Però capisco che possa spiazzare chi cerca un senso (o anche no) nell'incontro con l'altra, con l'altro.
Succede anche a me (ma ormai ne ho compreso il motivo: sono un mezzo maschio) di stupirmi del sospetto che ingenero con la gratuità di molti miei gesti. Mi auguro solo che cercheremo, uomini e donne, di non smettere di imparare a conoscerci.
Anche perché, andando avanti così, la specie umana si estinguerà. E anche se non farò in tempo (a meno che i Maya non abbiano ragione e tutto finirà quattro giorni prima di Natale) ad assistere alla nascita dell'ultimo uomo sulla terra, un po' del futuro delle generazioni che verranno mi preoccupo.
E in questo, temo, sono proprio una donna.

mercoledì 1 agosto 2012

Dedicato ai migranti italiani e a quelli che, a fatica, restano ancora qui



Chissà se Paolo è andato a lavorare in Svizzera, alla fine. E chissà se a Priscilla rinnoveranno lo stage in una prestigiosa agenzia del centro di Milano.
Salita sul treno per la grande metropoli del Nord, non avevo granché voglia di intrecciare conversazioni, meno che mai sul lavoro. Lì per lì, dunque, scoprire che il mio posto era giusto affianco ai due giovani viaggiatori partiti varie ore prima di me da Foggia, non è che mi facesse proprio piacere.
Con ostinazione, mi sono ficcata nelle orecchie gli auricolari e ho ascoltato, forse Paolo Conte (è piuttosto probabile), ma può essere anche Mark Knopfler (e d'altra parte non cambio la playlist da secoli... beh, non è proprio vero, visto che da pochissimo ci ho aggiunto le dieci puntate di "Alle otto della sera" dedicate, indovinate un po'? Ma ovviamente al Maestro!).
Fatto sta che dopo un po' non ne potevo più di assordarmi e poi, comunque, i due ragazzi non sembravano affatto antipatici. E infatti non mi sbagliavo.
Priscilla, 27 anni circa, è laureata in Sociologia e dopo vario peregrinare tra Roma e Milano, ha scelto la seconda nella speranza di avere qualche sbocco in più. Per fortuna, la città le piace, più della capitale sicuramente, anche se avrebbe preferito restare all'università a fare il dottorato. Ascoltandola parlare della sua interessantissima (anche se un pizzico inquietante) tesi di laurea su una catena di hotel specializzata in funerali con annessi e connessi che sta facendo grande business a Milano e dintorni, mi rendevo sempre più conto di avere vicino una persona fuori dal comune. In un certo senso, mi ricordava me gli ultimi anni dell'università, prima della "grossa crisi", con le stesse ambizioni fondate su impegno e (perché non dirlo) intelligenza, ma con qualche disillusione in più sulle speranze di vederle realizzate.
Paolo, invece, era leggermente più grande di lei e di sicuro ancora meno fiducioso. Studente lavoratore, come la sua giovane conterranea era un po' pentito di aver scelto una facoltà debole, di tipo umanistico (come li capisco!), ma fino a poco tempo prima era riuscito comunque a restare nella sua terra, convinto della necessità di lavorare a casa propria per non sottrarre ulteriori risorse a una zona storicamente già ferita da oceaniche emigrazioni. Finché un giorno, chissà perché (è ironico) è cominciato il mobbing che alla fine l'ha spinto a rassegnare le dimissioni. Da un contratto un tantino anomalo. E sì, perché Paolo si è a un certo punto accorto che, oltre a essere pagato in ritardo, non c'era traccia di contributi versati e altri piccoli optional che tanto fanno la felicità dei lavoratori dipendenti (gli autonomi, invece, ci hanno rinunciato ormai da un pezzo). Avendone chiesto spiegazione, il giovane foggiano, piccole esperienze di cooperativa alle spalle e anni di praticantato nel negozio di famiglia, si è condannato all'uscio. E all'emigrazione verso il Nord, dove, per sua fortuna, vive una sorella. Da lei fa base ogni volta che lo chiamano per un colloquio. Fino a quel viaggio, però, non ne aveva cavato granché. Solo una sfilza di colloqui per mansioni commerciali, spesso a provvigione, nessuna assunzione probabile. Il giorno dopo il viaggio in treno in cui l'ho incontrato, ne avrebbe avuto un altro che non lo entusiasmava assai, però, come diceva a Priscilla, ossessionandola forse un po', a trent'anni non sei più un ragazzo e devi trovare uno sbocco. Uno qualsiasi. Per forza. Tanto, al limite, sarebbe potuto restare per qualche tempo dalla sorella e poi, un giorno, chissà. Poco prima di arrivare a Milano, gli squilla il cellulare. Capisco che ha bisogno di una penna per appuntarsi qualcosa. Gliela allungo, un po' trepidante anch'io, come pure Priscilla con la quale scambio un'ansiosa occhiata. Trecento fiorini svizzeri a settimana? Sinceramente non ricordo più la cifra ripetuta ad alta voce davanti alle facce sorprese delle sue dirimpettaie, la giovane e la vecchia (per scherzo, a un certo punto, Paolo mi ha chiesto se doveva darmi del lei. Ho finto di mandarlo a quel paese).
Chiude la conversazione e alza su di noi uno sguardo ridente, di puro stupore. L'hanno chiamato dalla Svizzera per fissargli un colloquio per il giorno successivo a quello milanese. Gli hanno già parlato di guadagno, di contratto, l'importante è che sia un frontaliero. Paolo, da quel che ho capito, lo è, quindi chissà se adesso è lì a rifarsi di tutte le frustrazioni accumulate in un Paese che, a essere bello è bello, ma è troppo crudele con troppi figli suoi.
Con questo mi riallaccio, esplicitamente, al piccolo, affettuoso dibattito avuto con mia madre su Facebook a proposito dell'idea non proprio positiva che ho della terra, amatissima, che mi ha visto nascere.
La crisi è anche in Spagna, anche in Germania, dappertutto. Anche all'estero licenziano e mettono alla porta molta gente. Però basta varcare il confine settentrionale della Penisola per rendersi conto delle differenze.
E basta parlare con chi sta vivendo situazioni di stallo analoghe a ragazzi come Paolo e Priscilla, ma anche a persone più grandi di loro come noi coniugi Sfaccendati e molti altri come noi: in Germania, ad esempio, si assume ancora senza fare questioni di età (dietro, naturalmente, un po' di formazione) e chi perde il lavoro ha qualche aiuto dallo Stato. Da noi il Welfare lo fanno i nonni, i genitori nel caso dei due foggiani trentenni. E questo non è giusto. No che non lo è. Priscilla per il suo stage prende 250 euro al mese: alla sua età, molti dei sessantenni e settantenni di oggi erano padri e madri da tempo. E a questo proposito, solo da noi si diventa genitori sempre più tardi: nel nord Europa nascono più figli semplicemente perché li si mettono al mondo prima, come imporrebbe l'orologio biologico. Poi, certo, ci sono ragioni individuali e sociali che tengono molte donne italiane lontane il più a lungo possibile dalla maternità: Priscilla, per esempio, magari adesso non avrebbe voglia di fare la mamma, presa com'è dal suo legittimo desiderio di affermazione professionale, ma quando ho accennato alle difficoltà delle mie amiche quarantenni con figli piccoli, spaventate dall'eccesso di smog che assedia grandi e piccini, e del loro desiderio, proprio per questa ragione, di fuggire dalle metropoli, ho colto un lampo di malinconia nei suoi grandi occhi chiari.
In Germania le piste ciclabili abbondano e l'aria è spesso assai più respirabile, nonostante il clima ostile.
Insomma, è una questione di scelte, purtroppo non solo personali.
Siamo condizionati, nel bene e nel male, dal luogo in cui nasciamo. Paolo ama la sua terra, e anche Priscilla, lo si intuiva da come le si illuminava la faccia parlando di casa sua. Però, da noi, chi emigra non può più tornare indietro, e non solo perché ha trovato (speriamo per loro e per tutti gli altri che stanno chiudendo la valigia in questo momento) una collocazione professionale migliore, ma anche perché non si riconoscerà più, almeno non del tutto, in quelli che sono rimasti in patria, che sia un piccolo paese del sud o lo Stivale tutto intero.
E sapete perché non vi si riconoscerà più? Perché, tornando indietro, ritroverà le medesime, stanche anomalie di un Paese che non vuole crescere, non quanto a Pil, bensì a benessere collettivo, in una parola a civiltà. Inevitabile sarà la rabbia (i primi tempi) e la malinconia (andando avanti negli anni) che li risospingerà verso la patria adottiva, nel Nord (Europa) oppure verso l'Africa, per quelli di loro che avranno compiuto la scelta più ardita convertendosi, magari, alla ristorazione italiana dopo una vita sui libri, o ancora verso la cosiddetta Cindia, per quelli dotati di spirito più pratico.
Temo, ahimè, che non ci sia scelta. Non molta, comunque.
E tuttavia, nonostante la mia età non più verde, io sono ancora allo stadio della rabbia, un sentimento che mi fa tutt'oggi dire che non siamo degni, come popolo, del nostro grande passato. Lo dimostra anche la vicenda di Milano e della riapertura della zona C alle auto per la vittoria di un'azienda privata di posteggio, raccontata dall'Amaca di Michele Serra qualche giorno fa e che ha scatenato il dibattito (ripeto, affettuoso) tra mia madre e me.
Ne sono convinta, cara mamma: persino Gesù, su questa vicenda meneghina e in generale sul futuro negato a schiere di giovani italiani, avrebbe qualcosa da ridire. Forse, chissà, andrebbe dai potenti anziani che ci hanno reso schiavi e che non vogliono proprio saperne di schiodare e li scaccerebbe via come i mercanti dal tempio. Sì, forse interverrebbe, non foss'altro perché anche lui è stato vittima della gerontocrazia. Solo che adesso lo crocifiggerebbero ancora prima, visto che sarebbe fuori tempo massimo per il contratto di formazione (oggi detto di apprendistato) di ben quattro anni.
Quest'ultima, naturalmente, è una piccola provocazione, ma a chi ha solo la voce, la tastiera e un po' di cultura non resta che usarle come può. Soltanto così continuerà a resistere e a sognare la riscossa, almeno morale, della nostra amata-odiata Italia. Anche se non sembra, insomma, io ci credo ancora.
E voi?

martedì 7 febbraio 2012

Fuga in rosa dall'Italia mammona (e sfigata)


Sapete che vi dico? Ha ragione Cancellieri. Che cosa? Come oso uscire dal coro di dissenso e scherno verso l'ennesima infelice uscita di uno dei nostri governanti?
Perché conosco i maschi italiani. Quelli medi e quelli speciali. Sì, perché la frase pronunciata da quella donna anziana, con la faccia da mamma nazionale, era sicuramente rivolta alle signore di pari ruolo (che poi molte di loro, compresa la ministra, ricoprano posizioni di potere in questo caso non c'entra).
Cancellieri, molto probabilmente, ha figli maschi; o, se non li ha, ce li ha sua sorella o qualche altro stretto consanguineo. I figli maschi vanno vezzeggiati fino a 69 anni, come direbbe Marco Presta (ma pure dopo, in caso di estrema longevità di mammà).
Ed è inevitabile, date queste premesse, che carni delle proprie carni cresciute così poi non abbiano alcun desiderio di allontanarsi (almeno non troppo) dal tetto natìo.
Tutt'altro discorso vale, invece, per le femmine italiane. Almeno, per quelle che hanno avuto la fortuna di andare a studiare fuori, grazie al denaro familiare (nel sud Italia, fino a pochi anni fa, funzionava in questa maniera anche tra le famiglie piccolo-borghesi come la mia) oppure per estrema cocciutaggine e perseveranza (ho una cugina, più povera di me, almeno nell'infanzia, che ha cominciato a lavorare a 19 anni in una banca toscana, ma, nonostante il monotono posto fisso, ha voluto a tutti costi laurearsi, riuscendoci a pieni voti).
E però, dall'altra parte, nella regione in cui sono venuta ad abitare, una magnifica area italiana del centro, fino a qualche anno fa non c'era granché necessità di emigrare per trovare lavoro. Qualcosa di simile succedeva anche in Toscana: non a caso, nella facoltà che ho frequentato io, una di quelle deboli che preparano futuri disoccupati, il grosso degli studenti era del posto o dei comuni limitrofi.
I "terroni", maschi e femmine, erano iscritti per la maggioranza alle facoltà scientifiche.
Se mi baso su quanto osservo qui, qualcosa mi dice che adesso sia cambiato tutto anche lì.
Per lavorare, bisogna per forza allontanarsi dalla mamma. Per andare dove? Di certo non a Milano o Torino, come si faceva una volta.
Chi ha coraggio ed energia dovrebbe imparare il cinese (l'indiano, l'arabo) e andare. Andarsene. Molti lo stanno già facendo.
Tornando in treno dal mio unico viaggio lungo degli ultimi tempi, ho incrociato due giovani, belle ragazze piene di progetti per il futuro. La bionda faceva esercizi di grammatica araba, la mora parlava di Sudamerica.
Ho provato una grandissima invidia per loro. Qualcosa di simile mi è successa di recente nei confronti di un giovane fotografo, da poco ripartito per il Brasile. Per me, quest'ultimo è un "eccezionale" maschio italiano, ma bisognerebbe vederlo alla prova del tempo.
Ne conosco molti altri, infatti, che non si sono mai spostati da casa propria, se non per temporanee, adolescenziali, escursioni verso la "vita vera".
Perciò, Cancellieri, hai ragione tu: visto lo stato deprimente in cui versa la patria, bisognerebbe andarsene via. Per la precisione, dovrebbero andarsene in massa le donne italiane, l'unico vero Made in Italy capace di "riprodursi" anche all'estero. Ho letto dell'idea di una mia cara amica di Milano di aprire un bar a Goa. So che l'ha scritto tra il serio e il faceto, ma penso, con tutta me stessa, che un paese come questo si meriterebbe se le donne che hanno ancora un po' di forza (soprattutto ideale) d'inventarsi un futuro se ne andassero tutte in luoghi in cui quest'ultimo sia ancora possibile.
Una volta partite loro, infatti, si trascinerebbero dietro i maschi italiani di ogni età. Con il rischio, certo, di ri-radicarli di nuovo nella patria adottiva e di tramandare i cattivi usi nazionali agli eredi (maschi).
L'ultima frase è scherzosa. Non c'è infatti niente di sbagliato nell'umano desiderio di mettere radici, per chi lo prova. Come mi ha detto un pediatra che ho intervistato tempo fa, è più che logico che le famiglie di nuova formazione vogliano stare vicino ai nonni: una volta si viveva tutti nelle grandi case familiari, dandosi vicendevolmente una mano nelle difficoltà. Oggi si abita in posti diversi, ma si ha l'identico bisogno di sostegno psicologico e materiale. Anzi. Oggi è anche peggio, mancando un Welfare adeguato a una società (bene o male) avanzata com'è quella italiana.
E quindi? Quindi nulla: la soluzione non cambia. Semplicemente, le donne italiane ancora dotate di coraggio ed energia dovrebbero emigrare e poi portarsi dietro nonne, zii e zie rimasti da soli.
Come si dice, scripta manent: chissà che non mi venga davvero voglia di comprarmi una grammatica cinese.
In ogni caso, spero, con tutto il cuore, che i giovani veri (di certo io non lo sono più: lo dicono le offerte di lavoro, sempre più umilianti, per tutti gli over 35. Peccato che non ne abbia già 55, almeno potrei concorrere per quelle. In verità, io non mi sento vecchia per niente. Anche per questo motivo, fanculo a questo paese che ti fa sentire tale) abbiano un sussulto di orgoglio vero e prendano atto che qui, in questo momento storico, per loro non c'è futuro. Per ricrearlo, dovrebbero mandare a casa questa classe dirigente vecchia (dentro e fuori), a tutti i livelli, compreso il cugino vigile urbano che ti toglie la multa o il sindaco di collequalcosa che ti trova un lavoretto. Finché non usciamo dalla logica dell'arrangiarsi a spese della collettività, infatti, non c'è alcuna speranza che le cose possano cambiare.
E chi non lo capisce (o fa finta di non capirlo) è sì sfigato e mammone.
Perciò, vecchia ciabatta di ministra, non scusarti. Semplicemente, fatti da parte. E con te, si facciano da parte tutti quelli che aspirano, semplicemente, a mettersi al posto tuo senza merito, bensì solo grazie alla spintarella giusta del barone/essa di turno.
Nell'attesa, imparerò tutti i segreti della cucina cino-pakistana.
Ma il curry mi resta un po' indigesto.