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martedì 13 marzo 2018

No worries. Daje a tutti noi


Tutto è nato dalla tazza del tè del mio consorte, che raffigura un Paperino arrabbiato. Accanto c'è la scritta "no worries", che in questo modo forma un bell'ossimoro con il personaggio lamentosetto tanto amato dai lettori di Topolino (piccini e non).

L'ho usata per uno stato di whatsapp, così, per gioco. Volevo aggiungerci affianco qualcosa tipo "be happy", ma poi mi sono astenuta da cotanta banalità (finora, almeno).

Bene. Non posso scendere troppo nei dettagli, ma so di essere in uno stato d'animo tale da richiedermi comunque qualche parola scritta.

Preoccuparsi non serve mai, tanto più in una giornata come quella di oggi, in cui l'aria si è fatta decisamente più primaverile.

Avevo propositi pratici, tipo andare a cambiare il contratto telefonico, e invece mi sono ritrovata sulla spiaggia a fotografare tronchi d'albero e strani oggetti portati lì chissà come dalle recenti mareggiate.

Ho camminato un po', con un andamento lento per me del tutto inconsueto. Mi sono fermata qui e là alzando gli occhi sulle nuvole ciccione, sbiancate dal blu del cielo.

Mi sono goduta un attimo il rumore delle onde, ma poi ho infilato la musica nelle orecchie: serve sempre un alibi al nostro vagare slabbrato.

E alla fine mi sono piazzata sulla solita panchina della piazza di fronte al mare, la schiena scivolata un po' giù e gli occhi chiusi. La faccia mi si è un po' scaldata, ma il vento non proprio tiepido mi ha impedito di rilassarmi del tutto.

Eppure.
Eppure ho capito.
Non devo preoccuparmi, non serve mai. C'è sempre il sole dopo la pioggia e il riso dopo il dolore.

Qualunque cosa accadrà, saprò affrontarla. E riderò, come ho sempre fatto.

Alcune persone sanno essere cattive, dice Mark Knopfler in questa bellissima canzone che forse ho già usato ma non nella versione con la grandissima Emmylou Harris. Lo fanno anche in You've got a friend, il pezzo di Carole King che sto cercando di imparare a cantare (nella versione della Streisand... del 1971: sarà per questo che l'ho scelta?).

C'è sempre qualcuno che ci consolerà, o molto più probabilmente saremo noi a farlo da soli, quando capiremo, con chiarezza inequivocabile, che bisogna sempre avere rispetto di sé e pretenderlo anche dagli altri tutte le volte che qualcuno provi a strapparcelo. Nel lavoro (soprattutto nel mio caso), ma anche negli altri ambiti del quotidiano.

Quindi, niente lacrime, o solo quelle necessarie per farci tornare il sorriso.

La vita ci aspetta comunque. E io voglio viverla, per quelli che non possono più e per quelli che qui e ora tifano per me. 
Pregherò per voi: anzi, ho già cominciato a farlo, proprio stamattina.

Proteggiamoci a vicenda: solo così diventeremo invincibili. 
E che Manitù, Budda, Dio, Allah, o chi per loro, ce la mandi buona. 

Daje.

lunedì 30 marzo 2015

I sorrisi sghembi di chi brama la rinascita: buona Pasqua a tutti


Nella fotografia che vedete sopra non mi piaccio affatto. Ma il motivo per cui l'ho pubblicata non è affatto narcisistico. Almeno, non in modo conscio.
Più o meno nello stesso punto, la bellezza di boh... trentacinque anni fa, fummo fotografati la sottoscritta con questa faccia da patata e il resto della mia famiglia di origine.
Ne ho parlato diffusamente nel periodo natalizio. Qui vi basti giusto sapere che lo scatto di questa volta è di ieri mattina: il luogo è Verona.

Sono stata nella bella, a tratti respingente, città veneta il fine settimana appena passato.
Ho rivisto l'autore del commovente ritratto degli anni che furono e l'ho ricambiato con la stessa moneta, fotografando lui e la sua nuova famiglia esattamente nel medesimo punto in cui eravamo stati immortalati noi quattro. Loro, ovviamente, non potevo pubblicarli. Perciò eccovi la foto che mi ha fatto il Bipede, giusto una mezz'oretta prima di quella di cui vi ho appena parlato.

Sono stata felice di rivedere un luogo nel quale, in verità, ero tornata nove anni fa, in occasione dell'indimenticabile concerto di Mark Knopfler ed Emmylou Harris all'arena. Anche quella, tra l'altro, era stata occasione di incontri molteplici: mi avevano raggiunta le mie ex compagne di casa di Milano, una delle quali è originaria proprio della città di Romeo e Giulietta.

Stavolta, invece, oltre a Rosina, Pino, Tonino, Silvia, Sofia e Gabriele, ho rivisto anche i nostri carissimi amici valdostani Lalla e Maurizio, e approfondito appena un po' di più la conoscenza con i loro amici Antonella e Mirco. Questi ultimi verranno giù nelle Marche la prossima estate, per cui la gita in cima alla torre dei Lamberti (bellissima Verona dall'alto!), la passeggiata e la cena sono stati giusto un anticipo dei giorni marini che spero passeremo insieme.

Mi piace far incontrare gli amici, anche se so bene quanto sia rischioso o semplicemente complicato. Temo in particolare di aver messo in imbarazzo due di loro (non dico chi), ma spero che possano perdonarmi: ci tenevo proprio a rivederli, anche solo per pochi minuti.

Mia madre ne sarebbe stata contenta. Da lei ho ereditato la socialità e anche una certa confusionarietà ansiosa. Mio padre, al telefono, pareva a sua volta contento per me.
Devo avergli fatto venire in mente le nostre vacanze, "quando erano piccole le bambine e giovani noi", ha scritto mia mamma in un bigliettino che accompagnava il vhs ricavato dalle bobine della vecchia cinepresa Super 8, da mio padre ripescata in fondo a uno degli armadi che abbiamo svuotato.

Stanotte l'ho sognata: stava bene, forse non al massimo, forse più o meno come l'ho vista il penultimo Natale, quando il male pareva avesse allentato la stretta.
Non voleva, per l'appunto, farsi stringere dal mio abbraccio, come se temesse che il senso di benessere ritrovato potesse smarrirsi al contatto con me.
Indossava la sua vestaglia rosso scuro, quella che le abbiamo visto più spesso nell'ultimo, troppo rapido, periodo.

Il prossimo 4 aprile sarebbe stato il suo compleanno. Ricordo troppo bene quello dell'anno scorso, ma non sono ancora in grado di dire come mi comporterò questo sabato né a Pasqua.

Sono giorni pieni di presente: mi vergogno quasi di ammettere di aver passato momenti belli durante questo mese. Dopo tanta stasi, preceduta da troppo dolore e angoscia pura, non riesco ancora a credere di essere riuscita a provare un po' di leggerezza.

La protagonista di Bones (uno dei miei attuali miti televisivi) direbbe che è colpa dell'educazione cattolica ricevuta, ma al di là di questo, quando soffri per davvero, guardi tutto con occhi totalmente differenti.

Vorrei ridere di cuore, lo confesso. Vorrei saltare da una stanza all'altra come facevo un po' prima della foto veronese di cui vi parlavo prima. Ogni tanto, certo, mi succede eccome di zampettare come la gatta Bice. La mia tendenza all'ironia (al sarcasmo, anzi) non mi abbandona mai.

E tuttavia non basta.
E' arrivata pure la primavera, persino qui a Fermo fa meno freddo (non in casa nostra: ieri al ritorno c'erano 15 gradi). Il cambiamento è necessario.
Alcuni arrivano del tutto inaspettati; altri bisogna impegnarsi continuamente a cercarli.

Che fatica, insomma. Sarà per questo che poi si ride a mezza bocca.
Per le risate con le lacrime ci vuole qualcosa di più.
Aspetto di vederle affiorare, accanto a quelle di commozione e di nostalgia, che ogni tanto, negli ultimi miei due viaggi verso nord, sono scese senza che potessi farci nulla.

Grazie, mamma, per tutto quello che mi hai dato.
Mi pare (lo dico piano) che stia germinando sempre di più.
Continuerò a non smarrirmi. Continuerò a rinascere, come tu hai saputo fare tutta la vita.

Buona Pasqua a tutti.

martedì 24 febbraio 2015

Mark Knopfler e la felicità necessaria



Il documentario della BBC che pubblico sopra (NB: è stato bloccato dai proprietari qualche tempo dopo aver pubblicato questo post. Ne sono molto dispiaciuta, ma non ci si può fare niente...) mi è stato segnalato (com'era facilmente deducibile per chi ci conosce) dal Bipede. 
Non potrò mai smettere di ringraziarlo per avermi fatto conoscere a fondo Mark Knopfler, che è molto di più della voce dei mitici Dire Straits. Chi, come me, ha scoperto la sua produzione solistica, prendendosi naturalmente il giusto tempo per studiarne (proprio) le canzoni, saprà senza bisogno di ulteriori parole quanto grande sia questo immenso songwriter nativo di Glasgow.

Come già detto su questo spazio in passato, quando mi sono rimessa a studiare inglese, sono partita proprio dai testi di Mark per farmi un po' di vocabolario. Un'operazione davvero complessa che non ho ancora terminato né credo concluderò a breve.
Non solo perché, com'è ovvio, non si finisce mai di apprendere quali e quante siano le sfumature di una lingua (pure della propria), ma anche perché l'artista britannico ha una ricchezza espressiva davvero straordinaria.

Basta guardare e ascoltare ciò che dice in questo documentario uscito in occasione del suo terzultimo disco (considerando il prossimo in uscita in 9 marzo) Get Lucky.

Sapevo dell'abitudine di Mark di portarsi dietro un taccuino per trascriverne, tutte le volte che ci fosse stato bisogno, dettagli di vita rubata girando tra la gente; ciò che invece ignoravo fino a ieri è che abbia fatto agli albori della sua vita adulta (a soli 15 anni) il giornalista (il copy boy, più esattamente).
Certo, non ha mai sentito - lo dice proprio letteralmente - di avere "l'inchiostro nelle vene", ma a mio modestissimo avviso nel suo sangue c'è sempre stato molto di più del liquido nero-bluastro che usiamo per scrivere.
Quanti ne nascono, infatti, al mondo di artisti che sanno disegnare suonando e scrivere cantando

Per me Knopfler è un mago delle sinestesie, ossia uno di quei rari casi in cui, ascoltando la sua musica e leggendo le microstorie contenute nei suoi testi, ti lasci andare, smetti di pensare al tuo presente e ti metti in viaggio.

Non è un caso se uno dei dischi che amo di più è quello con Emmylou, affascinante cantante folk made in USA, che compare anche nel video qui sopra. Ascoltandoli duettare insieme, mi sembra di percorrere insieme con loro quelle immense strade che ammiro sempre nei telefilm americani, e soprattutto mi sembra che sia ancora tutto possibile.

Nel penultimo lavoro, che sto riascoltando in questi giorni, di canzoni che ti portano lontano lontano (oltre Milano e i gasometri, direbbe il "mio" maestro astigiano), ce ne sono parecchie.
Spettacolare è, ovvio, Privateering, il pezzo che dà il titolo all'album, che parla di pirati veri e metaforici.

Ma tra le più emozionanti, per me, c'è Seattle, che parla di pioggia e di amore, di un amore che si nutre sotto e con la pioggia che cade a secchiate sulla città Usa. Una delle molte che vorrei visitare.

L'ultimo mese è stato molto duro, come non mi succedeva da tempo.
Il 26 febbraio del 1997 ho avuto una crisi d'ansia fortissima in una libreria di Pisa. La mia prima vera crisi d'ansia: da allora niente è stato più come prima. Ne ho parlato più volte, soprattutto ne ho ricavato un racconto diversi anni dopo che, pur con i difetti congeniti alla mia scrittura, ha ancora qualcosa di potente.

Non sono più la stessa di quegli anni, ne sono consapevole.
Però, in meno di un anno mi sono ritrovata senza la donna che più di tutte mi ha sempre spinta, allora come prima e come dopo, a proseguire con la mia vita, e con un papà molto più fragile.

L'ho già scritto: sono diventata adulta tardi e una parte di me temo non crescerà mai (lo testimonia pure la mia bassa statura).
Fa niente, l'importante è conoscere i propri limiti e giocarci quando non si può fare altrimenti (come faccio spesso con i miei 152 centimetri sopra il livello del mare).

Mark e il suo immaginario così ricco, la lucidità con cui, poco più che quarantenne, ha detto basta (lo si vede bene nel documentario) alla sua scintillante vita di popstar, mi ricordano gli strappi che ho compiuto pure io nel mio piccolo, in nome della ricerca di un senso più profondo nelle cose, quello che "si nasconde dietro alle persone", come canta Cristina Donà in uno dei pezzi più belli del suo Così vicini.

Quel che più mi piace e forse mi rassicura è che questo genio della musica e delle parole oggi, a quasi 66 anni, sia - visibilmente - una persona felice. Lo testimonia l'altro, brevissimo, video che mi ha linkato sempre il Bipede, che racconta alcuni momenti delle sue giornate più recenti, forse di un anno fa, mentre stava registrando Tracker, l'album di prossima uscita.

Lo trovate qui sotto:



Che cosa significa felicità, direte voi?
Per me, più o meno quella cosa lì che si vede mentre Mark gioca con il suo cane, prova la macchina d'epoca e poi va nello studio di registrazione, tra i suoi colleghi e sicuramente amici fidati.

La felicità è riuscire, insomma, a trovare il proprio posto nel mondo imparando a fare ciò che più ci piace. Tutto qui, pensate? Beh, vi sfido a provarmi quanto sia semplice.

Se per voi è stato così, ne sono per l'appunto felice.
Per me, invece, è dura: soggettivamente sono incline all'esaurimento (e vabbè), ma oggettivamente ci vorrebbero condizioni un po' più favorevoli.

Per fortuna arriva la musica e le passioni altrui, dalle quali, a volte, com'è successo ieri mattina, mentre guardavo Mark, mi lascio facilmente contagiare.

Lui non può saperlo, o forse lo sa eccome: nel mondo ci saranno tante persone confuse, preoccupate, incerte e con problemi anche decisamente più seri dei miei che, ascoltandolo, si sono magicamente sentite meglio.

E' questo il senso più vero dell'arte: offrire oasi di consolazione vera e in un certo senso gratuita.

Spero solo di arrivare allo stesso grado di pacificazione che mostra quest'uomo dai piccoli, intensi, occhi blu.
Certo, come ha dichiarato in un'intervista Paolo Conte, "il felice", prima bisogna "lavorare molto".
Forse è proprio questo il problema.

Ma questa è un'altra storia.
Ne parlerò (forse) in un altro post.

A voi, buona vita e buone ricerche.
La vita è sempre dannatamente interessante.
Non scordiamocelo mai.