domenica 9 novembre 2014

I nipoti, i fratelli Dalton e il senso della meraviglia



Nell'estate più desolante che abbia finora vissuto, ho fortunatamente passato qualche giornata in compagnia dei nipoti. Le più belle (oltre che le più faticose) sono state quelle in cui ho esercitato in maniera ufficiale il mio ruolo di zia.

Non erano mai stati fuori casa senza entrambi i genitori: se l'avessi realizzato prima di accettare di ospitarli qui sulla torre fermana, probabilmente mi sarei fatta cogliere da una smisurata ansia da prestazione. Avrei comunque acconsentito, questo sì, ma non mi sarei fatta così entusiasticamente travolgere.

A farne le spese, è stato principalmente lo zio Bipede, che dopo una mattinata di tuffi pazzi, si è ritrovato con la schiena bloccata. Io invece ho dosato meglio le energie, arrivando ancora intera, pure se un tantino ammaccata (soprattutto internamente) alla fine della loro trasferta in terra marchigiana.

A pranzo e a cena, gli unici momenti di pausa: davanti ai Dalton, i cartoni tratti dalla saga di Lucky Luke che mandano a ripetizione su uno dei canali satellitari dedicati all'infanzia.
Non sono mai riuscita a guardarne un episodio per intero, né durante la loro vacanza qui da me, né a Francavilla. La tv accesa sui quattro fratelli galeotti, disegnati in scala, come le canne di un organo (come ha giustamente osservato il mio cognato tedesco), è infatti stata utilizzata da mia sorella innanzitutto, ma alla fin fine un po' da tutti gli adulti (ahimè la maggioranza) di famiglia per drogarli un po'. E zittirli.

Durante le mezz'ore di Dalton, come succedeva negli anni passati con i Barbapapà, le Banane e qualche altro cartone, genitori, nonni (quest'anno solo il nonno) e zii ne approfittavano per sparecchiare, lavare i piatti. E per chiacchierare di argomenti non strettamente legati al meraviglioso, quanto totalizzante, mondo under 10. 
Salvo essere di tanto in tanto esortati, con un certo tono di rimprovero, ad abbassare la voce dai suddetti principini stravaccati in poltrona con occhi a palla e telecomando sotto i dolci (e insabbiati) piedi.

Sia come sia, quei pochi frammenti dei Dalton che ero riuscita a cogliere mi erano piaciuti assai.
Finalmente, mi dicevo tra me e me, un cartone non buonista, non melenso come quelli che propinano alla femmine, persino un pochino rude, all'inglese maniera.

Dentro di me, insomma, mi sentivo orgogliosa di quei due, le facce vispe nonostante l'ipnosi catodica.
E alla fine ho gettato la maschera. Mettendomi pure io a guardare i Dalton.

E' successo domenica scorsa, a casa dei miei genitori. 
Sibillinamente, dopo colazione, il nipote maggiore ha cominciato a parlarmi del blues scoperto con la madre durante i giorni di influenza che aveva appena passato.

Si trattava, mi raccontava J., della sigla di apertura di un cartone scoperto per caso su Youtube. Voleva a tutti i costi farmelo vedere, idem il fratellino D., una teppa con due occhioni marroni grossi come castagne.

E così abbiamo fatto. 
Avremmo dovuto limitarci alla sigla. E invece.

Non ho mai riso così sinceramente davanti a loro
Ignoravo che si trattasse di un lungometraggio realizzato nel 1978, durante gli anni della mia infanzia. La sceneggiatura è di René Goscinny, lo stesso di Asterix, dai miei nipoti amatissimo, indottrinati in questo dal padre, grande cultore del Gallo più simpatico che c'è.

Guardatelo, quando avete un po' di calma, e lasciatevi conquistare dalla storia. 
Io l'ho fatto spontaneamente ed è stato davvero un regalo grandissimo che poteva venire solo dai bambini. Dai miei nipoti, in particolare, certo, ma quel che voglio dire è un'altra cosa.

Invecchiando, ci si stupisce sempre meno, senza accorgersene.
Per indole amo entusiasmarmi e quando passo troppi giorni, mesi addirittura, senza provare meraviglia per qualcosa, mi sembra di spegnermi.

Chi ha a che fare con i bambini, insomma, ha più occasioni di non smarrire questo senso della meraviglia, che forse potremmo considerare come il settimo senso, il più vitale di tutti. 

Per questo, forse, mia mamma amava così tanto il suo lavoro di maestra. 
Oltre la cretina burocrazia, oltre l'imbarbarimento del sistema nazionale d'istruzione, restano loro, i bambini, così pieni di futuro, l'unico dal quale si può attendere qualche cambiamento.

Non tutti i bambini sono uguali, certo. Qualcuno già mostra i segni dello stronzo che diventerà, ma si può imparare qualcosa pure dal bullo di turno. Ed è una grande responsabilità occuparsi proprio di quest'ultimo.

Con J. e D., per certi versi, è proprio facile entrare in sintonia.
E però bisogna stare attenti. E, per esempio, non nascondere (troppo) chi si è, i propri limiti e i propri dolori. In questo il nonno è più bravo di me. Noto che i nipoti lo amano, anche quando quest'ultimo li rimprovera. 

E poi, certo, bisogna educarli.  
E insegnare che non si dice idiota a tutti, come fanno ogni due per tre i fratelli galeotti.

E però, sotto sotto, un sacco di volte c'hanno ragione loro... solo che non glielo si può dire.

Buona visione, amici.

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