Visualizzazione post con etichetta Giorgia Pulcini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giorgia Pulcini. Mostra tutti i post

mercoledì 23 maggio 2018

Eva Cassidy, l'arcobaleno che mi ha colorato il cuore


E' difficile scrivere questo post su Eva Cassidy, la voce più bella che io abbia mai sentito, per molte ragioni.

La prima è che rischio di essere retorica, vista la fine prematura di questa musicista e cantante americana avvenuta nel 1996 a soli 33 anni per colpa di un melanoma che se l'è portata via in pochi mesi.

La seconda è che, davvero, adesso che so chi era e quanti articoli, cd, documentari (come questo bellissimo della Abc che ho appena visto) le hanno dedicato, non so proprio cos'altro aggiungere.

Mi limito perciò solo a raccontarvi come l'ho scoperta.

Il merito è di Giorgia Pulcini, studentessa di canto jazz al Conservatorio di Pescara, che mi ha linkato la versione di Cheek to cheek proposta dalla grandissima Eva. 
Già dalle prime parole mi sono subito accorta di che mostro è stato questa biondina dal naso a patata, all'apparenza abbastanza simile al mio. 

Facile immedesimarsi in un viso così, pur avendo molti più anni di quelli che lei aveva allora e molto, molto meno, talento.

Vado per approfondire chi diavolo fosse Eva, convinta che si trattasse di una giovane stella del jazz.

Precipito negli articoli di cui sopra: il primo in ordine di tempo, però, resta quello che più mi è rimasto impresso (oltre al documentario che vi linko sopra. Se capite l'inglese, guardatelo assolutamente).

Si parla di pattinaggio artistico e del sua versione di Fields of gold utilizzata durante una competizione internazionale. Secondo il pezzo dell'Inkiesta, è stato quello il momento in cui miss Cassidy è diventata una star mondiale.

Prima di allora, l'aveva scoperta un produttore radiofonico inglese, poi le riviste di musica, fino al manager discografico della Blu Note che si vede nel documentario, pentitosi di non averle fatto il contratto quando avrebbe potuto.

Il fatto è che Eva non amava mostrarsi: cantava (e suonava) e incantava tutti, ma si conciava come se stesse per partire per un trekking in montagna (dicono nel documentario) e non si truccava granché.

Eppure, non era delicata e fragile come potrebbe apparire fermandosi solo ai suoi lineamenti.
La sua amica, nel documentario, la definisce "tough", tosta, una che lavorava sodo pur di pagarsi le serate, tutte nella sua zona di residenza, certo, ma pur sempre dispendiose per chi fatica a guadagnarsi il pane quotidiano.

Non so come sarebbe stata la sua vita se fosse arrivata al successo che meritava né che donna sarebbe adesso, a poco più di cinquant'anni. Poco più dell'età che io ho adesso, a dirla tutta. 

Io però ho sempre più spesso l'impressione che niente accada per caso e che un giorno "era scritto" che avrei incontrato la musica e la voce di Eva Cassidy. 

Di lei conosco ora anche la sua reinterpretazione di Autumn leaves, pezzo spettacolare a prescindere. Provo a ricantarlo sulla sua voce, ma faccio bene attenzione che non mi senta nessuno.

A breve so che farò lo stesso esperimento anche con What a wonderful world, che ho ascoltato in uno dei miei frequenti viaggi tra lu Portu e Chieti, restandone quasi sconvolta.

Da sempre la versione di Louis Armstrong  mi smuove qualcosa che non saprei spiegarvi, ma quella di Eva non lascia letteralmente scampo.

Poco fa ho capito come mai.

E' stato il suo pezzo di commiato alla vita, sei settimane prima di trasformarsi in un arcobaleno. 

Maggio è il più crudele e più bello dei mesi, uno di quelli in cui non è lecito andarsene.
Eppure succede, eppure si va via, com'è capitato domenica scorsa a una bambina di dieci anni che non ho mai conosciuto, ma che amava il canto, come hanno raccontato le cronache uscite in questi giorni.

Anche lei ora è un arcobaleno, come lo è la mia mamma da quasi quattro anni, e tingerà i volti a noi che restiamo qui sulla terra a ripeterci, oltre ogni ragionevolezza, quanto meraviglioso sia il mondo.

venerdì 27 aprile 2018

Ma i pomodori no, grazie

Teatro di Porto San Giorgio, 2 febbraio 2018, foto di Ennio Brilli


Ho ricevuto questa fotografia qualche giorno fa da Elisa Ravanesi, l'attrice di Porto San Giorgio che mi ha coinvolta lo scorso febbraio nella serata in teatro dedicata a José Greco senior, il padre della danza spagnola mondiale. A scattarla, è stato Ennio Brilli, un fotografo di Fermo di cui ho parlato qualche volta su Minime Storie, l'altro mio piccolo blog che non aggiorno ormai da tempo immemorabile.

Stasera m'ha preso una botta di narcisismo, per cui eccomi qui, a farmi guardare, con gli occhi che vorrete. 

Ho un bel ricordo di quella serata, la mia prima volta nelle vesti di conduttrice di uno spettacolo di danza e teatro, a stretto contatto con due dei figli del grande ballerino di origine molisana, José junior e Lola, e gli altri protagonisti di un bel viaggio nella musica, il cinema, la cultura e la storia del Novecento (parlo di Hermana Mandelli, Juan Lorenzo, Valeria Clementes, Cristiana Merendi ed Elisa Perticarà). 

In questa foto, però, i veri protagonisti della serata non compaiono, mentre solo qualche minuto fa ho realizzato che sembra invece che io stia cantando.

Mai scatto è stato più profetico? Chi può dirlo, a parte la sottoscritta e Giorgia Pulcini, la mia giovane insegnante di canto che ha raccolto il testimone da un'altrettanto affascinante sua collega, Anna Laura Alvear Calderon, che dal maggio dello scorso anno fino a Natale o poco più si è sciroppata i miei tentativi di farmi esplodere finalmente la voce in gola.

Sono, ve lo confesso, pure io stupita di come mi stia buttando a tirar fuori tutto il fiato che ho soprattutto da un po' di incontri a questa parte. E' come se non me ne fregasse più nulla, delle figuracce che vado facendo, innanzitutto, ma in generale di tutto.

A che serve fare i ritrosi, mi sto chiedendo, non so quanto consciamente.

Poi, certo, i risultati sono altalenanti: è come se stessi imparando a scrivere in un'altra lingua, quindi incertezze e svarioni sono lì che non mi mollano.

Però oggi, quando Giorgia mi ha illustrato un modo per dare più espressività a parole e versi, mi sono sentita felice come una poppante: quante cose sto scoprendo sul canto!

Uscendo da lì, intendo dire dall'aula del Cantiere Musicale, la scuola diretta dal batterista Michele Sperandio che ho conosciuto (e intervistato) l'anno scorso, rimanendo molto colpita dal grande entusiasmo che ci mette in tutti i progetti che intraprende, di solito sono stanchissima e al contempo più carica.

In macchina oso pure parecchi acuti. Incredibile a dirsi per una che ha sempre temuto di non riuscire a farsi sentire.

E insomma: strane cose accadono, anche in età non più verde, ed è una grande conquista tornare a percepirsi comunque in evoluzione.


E poi chissà che un domani qualcuno non si impietosisca e mi butti là qualche moneta. 

Grazie, grazie, siete umani.

Ah, ma sono pomodori?