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mercoledì 12 giugno 2013

Un'aliena a scuola di business... accidenti che esperienza!

Benché abiti a soli 40 chilometri di distanza, non conosco per niente Ancona. Non ho quasi mai bisogno di andarci e, se posso scegliere, vado a Pescara in treno, o al limite nei grossi centri, tutti raggiungibili con la ferrovia.
In famiglia c'è una sola auto, vecchia e ammaccata (da me). Da qualche anno ho cominciato a guidarla anch'io, ma da quando vivo nelle Marche, ossia dall'inizio del 2005, non è che mi sia mai servita granché. Eppure, in un paese come l'Italia, fatto in prevalenza di piccoli e piccolissimi comuni raggiungibili quasi tutti solo con il mezzo proprio, non avere la macchina significa condannarsi pressoché all'isolamento. Certo, oggi meno di un tempo, in cui si telelavora (o diciamolo) non si lavora affatto. Resta però comunque ancora vero che non si può dire di conoscere un posto se non lo si va a vedere con i propri occhi. Non si può dire di incidere più di tanto in una realtà, in un contesto sociale, se ogni tanto non ci si guarda in faccia.
Tutta questa premessa mi serve per commentare in qualche maniera l'esperienza vissuta negli scorsi due giorni alla Camera di commercio di Ancona, raggiunta, all'andata il primo giorno, in treno + autobus urbano, in auto il secondo giorno grazie all'incontro fortuito con un giovane uomo di Fermo che avevo conosciuto in tutt'altro contesto, ma in analoga intensa occasione formativa.
Che ci facevo lì, direte voi che sapete quanto sia a digiuno di marketing e business? Apposta per questi motivi, potrei rispondere a bruciapelo. In verità, non è andata proprio così. A spedirmi al corso sulla "Comunicazione a basso budget", titolo del workshop di due giorni condotto da Rita Bonucchi dell'omonima srl di Milano (benché, per mia fortuna, la signora in questione fosse una rotonda emiliana: non credo che sarei riuscita a sopportare parole come brand, cms, template, business plan, etc etc se fossero state pronunciate alla maniera anglo-lumbard), è stata la mia amica grafica Maria Loreta, che, molto opportunamente, ha pensato che potesse essermi utile. Direi meglio: esserci utile, visto che insieme abbiamo prodotto un libro che adesso andrà in qualche modo promosso e venduto.
Resta però sempre il fatto che ero quasi totalmente fuori contesto, ma andava benissimo così.
Ascoltare Rita Bonucchi per me è stato infatti  come farsi di una droga euforizzante, che però il giorno dopo ti lascia triturata e frullata (mashed, direbbe lei?) su un marciapiede di periferia.
Non solo non so niente di business plan e marketing, ma non so praticamente nulla del mondo delle imprese italiane, le molte, grandi e piccole, con cui questa piccola signora dagli occhi di pece ha lavorato negli ultimi (credo) venticinque anni. Delle due giornate di lezione con lei mi ha impressionato soprattutto quanto a fondo sia complesso il nostro Paese, provinciale e internazionale allo stesso tempo, pieno di talenti e di mediocri, di inventori e di sgobboni e poi di prodotti, tanti, tantissimi, che hanno permesso e permettono ancora (si spera a lungo), a generazioni di connazionali di sentirsi parte della vita attiva. Nonostante la crisi, nonostante la concorrenza schiacciante di nazioni più attrezzate della nostra, di economie più dinamiche, di orizzonti più aperti.
E adesso che me ne faccio di un corso così? Come posso applicarlo alla mia esperienza e alle mie esigenze del prossimo futuro? Partendo da quel che so già fare, direi. Ossia scrivere. Oltre a questo post, scrivere come vorrei lanciare il mio libro, a grandi linee, certo, ma con un po' di razionalità e di pragmatismo. Rita ci ha detto che la gente non compra prodotti e che il prodotto, in sé, non esiste. Credo che sia un principio base del marketing, ma a forza di sentirmi dire, dall'altra parte della barricata, quella dei giornalisti e/o scrittori, sempre più sballottata tra marosi titanicheggianti, che il giornale, il libro sono prodotti come il copri-water con le cerniere in plastica che ho comprato l'altro giorno per soddisfare il mio bisogno stralunato di bricolage (e per non rischiare di cadere a terra tutte le volte che ci sediamo sul trono malandato), ho smesso di ragionare come dovrebbe fare un qualsiasi accorto imprenditore, micro o gigante non importa, e cioè che prima del prodotto c'è l'idea, ossia c'è l'anima. Se manca quest'ultima, addio fatturato.
Perciò, d'accordo: sto ai margini, sono minima, la mia storia lo è altrettanto, ma è unica e voglio comunicarla perché sono convinta che possa interessare ad altri minimi come me, migliori di me.
Quindi, ok, mi butto. Ma non da una rupe.
Un atterraggio morbido è ancora possibile.
Oh yes!