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martedì 25 ottobre 2016

Il maestro è nell'anima. Sempre di più



Non posso proprio farne a meno, anche se, amici belli, non sapete quanto mi costi interrompere il mio silenzio.
Quello che ho da dire, in un certo senso, è molto più pubblico di come vorrei, visto che riguarda almeno la maggioranza delle persone che erano presenti con me domenica pomeriggio, dalle 18 alle 20.15 circa, all'Auditorium della Conciliazione di Roma per il concerto di Paolo Conte.
Di Paolo, mi verrebbe da dire fingendo una familiarità del tutto autoreferenziale che anno dopo anno, a partire dai 17, si è costruita nella mia testa.

Chi mi ha sentito negli ultimi tempi sa come sia stato possibile il miracolo che ho vissuto appena due giorni fa.
Vi confesso però di sentirmi quasi una ladra di immagini avendo usato uno degli scatti che mi ha fatto la simpaticissima Giusy Palamara, conosciuta tra una quinta e l'altra del teatro romano, come mio attuale profilo di Whatsapp.
Non amo questo genere di autoreferenzialità, ma per questa icona (proprio nel senso sacrale del termine) della mia formazione, questo zio che sa ancora adesso spiegarmi la vita meglio di un film, faccio una piccola eccezione.

Mi limito a illustrare la scaletta di un concerto che ha chiuso una giornata indimenticabile, passata in compagnia di mia sorella, i miei nipoti, mio cognato tedesco ("animato", lui sa perché) e l'affascinante cugina che, ovvio, porta lo stesso nome del maestro.

Pare (mi ha detto il suo grandissimo batterista/vibrafonista/marimbista etc etc Daniele Di Gregorio che ha permesso il miracolo di cui vado parlando) che ogni due anni circa la scaletta dei concerti cambi leggermente.
Ho perso il conto di quelli che ho visto per cui non ricordo esattamente quante volte io abbia sentito dal vivo (per non parlare delle volte che l'ho fatto a casa) Diavolo Rosso, Alle Prese con una verde Milonga, Gioco d'Azzardo, Comedie, Sotto le stelle del jazz e, ovviamente, Via con me. Di questa, però, posso dirvi con certezza che è stata proposta nella versione del disco da studio che si chiama Gong-oh, che personalmente adoro proprio perché l'ha finalmente rallentata ed espunta dai bis. Per quest'ultimo (uno solo, seguito dal proverbiale segno di voce finita con la mano che taglia la gola a metà), Paolo ha voluto Tropical, immagino diventata la hit di chiusura dopo Snob.

A proposito della canzone che dà il titolo all'ultimo album dell'Avvocato non più tanto marròn (ma azzurro e celestiale come i suoi occhi da gattone, benché lui abbia sempre avuto cani), la risata generale del pubblico, partita quando arrotava ("affotava", pareva dicesse) le erre, è stata molto liberatoria, per me che ho compreso da tempo, anche se non ne ho prove dirette, quanto debba essere simpatico Paolo lontano da microfoni e sguardi adoranti.

Mi ha sorpreso, anche, il provinciale più internazionale che abbiamo in questo piccolo Paese, in certi brani che dal vivo non avevo mai ascoltato.
Mi sono piaciute tantissimo Reveries e Le chic et le charme, le due canzoni in francese della scaletta 2014-2016.

Purtroppo, non essendo una musicista, non vi so dare dettagli tecnici.
Posso solo ribadire la mia assoluta meraviglia davanti al polistrumentismo della maggioranza dei suoi "dolci amici" musicisti, come li ha chiamati Conte nella dedica, se non vado errata, di "Nelson", un disco forse meno limpido di altri, ma molto intimo e vero, esattamente come mi appare lui, sempre di più, senza papillon e abito da sera.

Non posso dirvi, non riesco proprio a farlo, almeno non in questa veste semi-pubblica, che cosa mi abbia trasmesso il suo viso e il suo sorriso quando mi sono presentata.
So che ho fatto finta di essere sicura, so di aver parlato con la sua produttrice Rita Allevato, molto cortese e rispettosa di noi poveri fan disperati, ma davvero il non detto e il non scritto è molto più importante e lo conserverò per sempre dentro di me.

Questa la scaletta proposta all'Auditorium della Conciliazione, la stessa - presumo - che, con qualche variazione, sarà replicata a Brescia il 29 ottobre e a Milano l'11 e il 12 novembre. Dopodiché ci sarà Torino il 12 dicembre e a febbraio (11 e 12)... Paris (!!) e poi Amburgo il 25.

A voi la scaletta:

Primo tempo
Ratafià
Sotto le stelle del jazz
Comedie
Alle prese con una verde Milonga (sapete che cos'era per Renzo Fantini e i suoi amici quando l'ascoltarono la prima volta? Solo i veri cultori sapranno rispondere)
Snob
Argentina
Reveries
Recitando
Aguaplano

Secondo tempo
Dancing
Gioco d'azzardo
Gli impermeabili
Madeleine
Via con me
Max
Diavolo Rosso
Le chic et le charme
Tropical (bis)


Ora che ho scritto posso tornare al mio silenzio.

Vi voglio bene, dopo quest'incontro, ancora di più.

Ps La prima volta che ho salutato Paolo avevo più o meno 21 anni. Il pomeriggio passai con una rosa rossa e un biglietto con la richiesta di alcuni brani, diciamo così, on demand (Avanti, bionda, Topolino Amaranto, cose da bionde sceme, insomma). Poi tornai a fine concerto: non avendo altro per farmi fare l'autografo, gli allungai il pacchetto di sigarette che fingevo ai tempi di fumare. Mi scrisse la dedica con un pennarello, non so suo o se prestato qualche fan. Mi ricordo quello che mi disse a proposito della mia richiesta di brani: "Eh, ma la scaletta è già formata, i miei musicisti si sono preparati su quella, non sarebbe semplice cambiarla". E certo. Che idiota bionda.

Però, posso dirlo? Lì era nel pieno della maturità, io una ragazzina con gli occhiali tondi. Molto meglio adesso, per me è così, magari lui farebbe volentieri un salto a ritroso nel tempo.

In tutti i modi, è un privilegio averlo incrociato.

Grazie.

martedì 6 maggio 2014

Destinazione Roma: resilienza vieni a me


Roma, riflesso dal terrazzo del MACRO

Ho scattato questa foto a inizio marzo, in uno dei numerosi giorni di pioggia degli ultimi mesi che speriamo di esserci lasciati alle spalle.
Conservo comunque un ricordo bellissimo di quel momento: io da sola, sotto il mio ombrellino rosso nuovo fiammante, raggiunta qualche minuto dopo da sorella, nipoti e cognato. Roma mi piace molto: sarà caotica, sarà spettinata e troppo spesso sporca, ma continua ad affascinarmi assai. A breve (se andrà tutto bene la trasferta umbra dei prossimi giorni), ci tornerò.

Spero di arrivarci con il giusto clima interiore. Io, in ogni caso, farò di tutto per vivere la mia giornata da ambulante al Mercatino Giapponese del Black Out (in via Casilina) a Roma.

Ne ho scritto su Minime Storie, quindi non mi ripeto.
Volevo giusto rilanciare l'evento (straordinario assai!) anche sul mio blog più palloso.
Amici romani, semplici conoscenti gattofili e/o amanti dello Japan style: passate a trovarmi. Sarò molto contenta di dimenticarmi di tutto il resto chiacchierando con voi.

Mi auto auguro in bocca al lupo. Ne ho bisogno per un sacco di ragioni.
Soprattutto ne ha bisogno la persona più importante della mia vita.
Come vorrei essere capace di dimostrarglielo.
Ce la metterò tutta.
A presto.

domenica 5 maggio 2013

L'Italiachelavora: forte con i deboli e debole con i forti


In questi ultimi mesi ho preso spesso il treno. La foto che vedete è nata per caso, durante una sosta un pochino più lunga, lungo la tratta Chieti-Pescara. Una sosta prevista, come ho scoperto solo dopo, foriera (?) dello scatto dallo smartphone che sta diventando una specie di Tamagochi per la sottoscritta.
Sottoscritta che, peraltro, non l'ha mai avuto, il Tamagochi (quando è uscito dovevo essere già grandicella; se me lo fossi procurato, a quest'ora sarei già da un pezzo opportunamente rinchiusa. Ristretta, come si dice dei carcerati, lo sono già, per ovvi motivi metrici).
E quindi: eccovi una foto artistica. E' artistica, eh? Di sicuro è esteticamente più valida di quanto non lo fossero i giovincelli che abbiamo incontrato in analogo viaggio Chieti - Porto San Giorgio mio marito ed io. Avevamo trascorso un bel pomeriggio in famiglia, erano da poco passate le sette e ci accingevamo a ritornare indietro in uno scompartimento vuoto e silenzioso. Così almeno credevamo. Perché un secondo dopo aver tirato fuori il libro dalla borsa, ecco materializzarsi la molestia formato adolescente. Erano cinque o sei, maschi e femmine, capeggiati da un ragazzino allampanato, ricciolino un po' lungo e pelle olivastra. Parevano visibilmente alterati, non credo solo dagli ormoni. Oltre a parlare a un tono di voce molto al di sopra dei latrati di un branco di cani, se la prendevano un po' troppo spesso con quello lassù che, se c'è, non si sa perché li ha creati.
Mi alzo di scatto e prendo la mia decisione: un viaggio intero con questi piccoli mostri proprio no, meglio cambiare scompartimento. Avremmo dovuto allontanarci di più: l'eco del loro vociare si sentiva ugualmente nonostante la porta chiusa e il cigolio rumoroso del treno. Poche file oltre noi, intravedo il controllore e allora penso: ecco, adesso ci penserà lui a farli tacere. Fingo di concentrarmi sulla lettura, ma con la coda dell'occhio seguo l'impiegato mentre si approssima alla fossa dei leoni (magari ce ne fosse stato qualcuno non metaforico da mandare tra loro). Alzo lo sguardo quando riemerge dall'agone. Sul suo viso un sorriso (che fa pure rima) beato. Carucci assai, sembrava che pensasse, teneri come i miei piccini o me quando avevo la loro età. Beata gioventù. Il casino (forse anche di altra natura) prosegue indisturbato, tra santi e madonne che precipitano giù dal cielo.
Verso Porto San Giorgio, poi, il medesimo addetto trenitaliota s'alza dal sedile che lo cullava come le onde del mare e... che fa? Ci chiede i biglietti proprio adesso? E va bene, del resto è giusto così. Gli porgo il mio facendogli presente che vale per due. I mostri sono scesi due stazioni prima, dopo aver sconfinato, nella persona del loro capetto riccioluto e scuro (era lui che insisteva sulla tonalità della sua pelle, per me poteva essere anche giallo panna) anche nel nostro scompartimento per manifestare al suddetto controllore, al solito tono sommesso come quello di un baritono in assolo, tutto il malcontento suo e della sua simpatica comitiva per essere stati derubati da una macchinetta automatica di venti euro. Anche ammesso che fosse vero (non mi stupirebbe: la macchinetta dell'ospedale m'ha fregato un euro perché ho scelto per errore la fila vuota delle bottigliette), perché farlo sapere anche agli anconetani in attesa paziente (rassegnata) al capolinea della corsa? E perché tu, controllore, non hai fatto presente al tenero giovanotto di moderare, diciamo così, il suo risentimento?
Sia come sia, a me, che con educazione e voce normale (quindi bassina, come tutto il resto) gli facevo notare il tipo di biglietto che aveva davanti a sé, ha risposto, togliendosi dalla faccia quell'espressione rasserenata dal dondolìo ferroviario: "L'ha timbrato?". E certo. E figuriamoci.
Scendiamo scuotendo la testa. D'altra parte, era primo maggio, poveretto lui che lavorava.
Solidarietà ai compagni ferrovieri. E pure ai compagni autisti di bus romani. In particolare a quello che la stessa sera, una mezzorata dopo (come direbbe Montalbano), ha pensato bene di partire sgasando dal capolinea della stazione Tiburtina, benché mia sorella con primogenito al seguito gli avesse appena chiesto di attendere giusto un minuto in maniera che riuscissero a saltare su anche suo marito e il figlio minore cinquenne, colpevoli di non essere riusciti ad andare alla stessa andatura dell'altra metà della famiglia, sotto il diluvio universale che li aveva colti di ritorno nella nostra bella accogliente capitale d'Italia. Il tutto, poi, accompagnato anche dalla seguente frase: "Ahò, signò, io mica posso sta' qua ad aspettare a voi. Io c'ho dei tempi, ed è pure primo de maggio".
Mia sorella, ormai avvezza alla proverbiale cortesia romana, si è limitata ad arrivare, almeno lei con mio nipote, a destinazione. Nipote minore e cognato, invece, hanno fatto metà tragitto fino al capolinea dell'unico altro bus in partenza, che però arrivava solo fino a metà strada e anche loro abituati alle lunghe, filosofiche attese che si sperimentano alle fermate dei mezzi di superficie delle grandi (e anche piccole, questo sì) città italiane, hanno aspettato che mia sorella con piccino senior al seguito li venisse a recuperare con la loro auto privata. Spero che almeno siano riusciti a ripararsi sotto una pensilina.
L'ultimo edificante aneddoto sul pianeta lavoro pubblico (o para: Trenitalia è una compagnia privata, no?) dipendente mi è stato raccontato giusto ieri da una mia carissima amica di rara cortesia e discrezione. Per puro caso l'ho chiamata una mezzorata dopo (mi ripeto, ma mi piace assai il suono pseudo siculo di questa espressione) l'incidente che l'aveva gettata in un forte sconforto. Una tizia di un grosso sindacato, sì, proprio quello che da qualche tempo è partito lancia in resta nella difesa dei dirittideiprekari, le ha praticamente chiuso il telefono in faccia, quando lei, pietosamente, era arrivata a dirle: "Ma scusi, perché mi risponde così? Perché mi tratta male? Io volevo solo un'informazione". Del resto, a tutti i livelli e in tutti gli ambienti, continua a valere la logica "forti con i deboli e deboli con i forti". E la mia povera amica, evidentemente, in quel contesto, con le sue frasi interrogative, è stata ritenuta una debole. Mi piacerebbe proprio vedere come si comporta la stessa impiegata, assunta di sicuro per meriti, con i suoi capi. Sempre ammesso che ne abbia almeno uno che la possa sbattere a fare la calza, perché gente così, in genere, ha spalle iper-coperte. Vorrei sapere, analogamente, come si comporterebbe l'autista dell'Atac o il ferroviere mollacchione se qualcuno di meno corrotto (la raccomandazione è una forma di corruzione e non ci sono santi, per quel che mi riguarda) facesse loro un discreto, silenzioso, forbito culo per il loro cattivo rendimento sul lavoro.
A me qualche volta è capitato di subirne qualcuno anche non meritato, ma v'assicuro che funziona. Eccome se funziona. Però, capirete, che cosa volete che importi quel che è successo a una freelance squattrinata e livorosa come me? Chi volete che legga queste righe con tutto quel che hanno da fare quelli che lavorano, quelli che è-primomaggioedevolavorà, quelli che siamo-malpagati-e-tuttiacasa?
Nessuno o pochi (ma buonissimi). Ebbene, a loro e a me stessa voglio dirlo ugualmente: un paese civile si riconosce dai dettagli (un po' come un buon romanzo o una buona fotografia). Questi aneddoti vanno nel senso contrario.
Domani ricomincia un'altra settimana, disordinata ma creativa per chi come me s'inventa cose da fare per andare avanti con dignità e per quelli che timbrano il cartellino annoiati e frustrati.
Vorrei maggiore stabilità economica, certamente, però ve l'assicuro: preferirei altri mille anni randagi come questi piuttosto che un solo giorno come quelli vissuti da gente così. Gente che non merita gli anni di lotte sindacali, sacrosante e inderogabili, per avere condizioni di lavoro migliori.
E quel ragazzino nero, maleducato e arrogante, e i suoi sciocchi amici che lo assecondavano, non sono i giovani a cui vorrei affidare la mia vecchiaia di domani. Perciò scrivo, sperando di gettare qualche seme. Sperando e sognando tempi migliori. Buona settimana a tutti.