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lunedì 17 novembre 2014

Firmo tutto... triste epilogo dell'affaire trattamento tricologico



E alla fine la verità, triste y solitaria, è venuta fuori: avevo effettivamente sottoscritto un contratto di finanziamento. Se sono qui a scriverlo, peraltro, è solo per un motivo: distogliere eventuali signore, affette come me dalla sindrome della firma facile, dal commettere il mio stesso errore.

Inutile ripercorrere le tappe dell'intera vicenda.
Vi dico solo che il mio cugino avvocato, alla fine, è riuscito a farsi mandare la metà mancante del contratto che credevo consistesse nell'unico foglio in mio possesso.

Vagamente mi pareva, in effetti, di aver messo più firme (sono come Totò-Della Buffas in Totò Tarzan o come Ciampi Azeglio ai tempi del suo mandato da Presidente della Repubblica), ma a me era rimasta quell'unica copia carbone, peraltro assai difficile da scannerizzare.

Sulla base della sola carta in mio possesso, l'avvocato affine ha tentato di liberarmi dall'inghippo sostenendo che io nulla avessi a che fare con la Cofidis, ossia la società finanziaria che mi ha tampinato nei mesi scorsi, servendosi anche di poco simpatici recuperatori del credito.

Purtroppo, però, io avevo eccome a che fare con loro.
Lo prova il contratto che la Finanziaria in perzona perzonalmenti, alla fine, gli ha spedito via mail.
Questo è successo tipo lunedì scorso. Benché, peraltro, mio cugino me l'avesse girato subito, io ho realizzato l'enorme gravità della cazzata commessa solo sabato scorso, a casa di mia zia.

Ve lo giuro, non potevo credere ai miei occhi: in quel foglio, stampato per bene, in un bianco e nero contrastato come si deve, c'era scritto non solo che avevo fatto richiesta di finanziamento per il ciclo di trattamento tricologico da fare in parte a casa in parte dalla mia (ex) parrucchiera, ma soprattutto che per ottenerlo mi appellavo alla generosità della già citata finanziaria affinché mi rilasciasse il suddetto finanziamento, dichiarando un reddito mensile netto di ben 1.740 euro, garantitomi da un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

A tempo indeterminato c'è solo il mio incommensurabile scuorno.
Di quel foglio, comunque, non avevo traccia alcuna nella mia memoria, il che dimostra solo una cosa: siamo parecchio suggestionabili.

Perché vedete: io, in quel negozio di coiffeur, mi sentivo protetta. L'ambiente giovane, la parrucchiera simpatica, i discorsi leggeri, in questi anni non esattamente facili, mi hanno sollevato alquanto.

Pur andando di rado a farmi i capelli, quando prenotavo il taglio o i colpi di sole, ero contenta. Sapevo infatti che avrei trascorso un paio d'ore in una bolla calda-umida, compiacendomi delle mie patetiche battute e del tentativo di sentirmi normale.

Magari prendessi 1.740 euro al mese, netti. Magari avessi potuto spendere a cuor leggero i 1.500 euro del finanziamento che mi è stato gentilmente concesso sulla base di una dichiarazione mendace, di cui, ahimè, non sono stata consapevole fino allo scorso sabato.

Tornando, ancora sotto shock, a casa dei miei genitori, mi è tornato in mente un dettaglio: quel foglio, stando alla rappresentante della Tricomef che mi ha così carinamente convinta a sottopormi alle loro solerti cure, sarebbe stato un semplice pro-forma. Ed è anche probabile che la bionda mesciata signorina ne fosse effettivamente certa. Perché, d'altra parte, se io mi fossi effettivamente servita dei loro prodotti, mai sarei venuta a scoprire il per me arcano mondo delle finanziarie e del recupero crediti.

Nella parte di contratto che non mi avevano rilasciato c'era infatti scritto che era mio diritto farne richiesta. Il problema è che io l'avevo completamente cancellato dal mio cervello troppo concentrato su ben altro.

Insomma, l'affaire tricologico si risolve con un bel 1.500 a zero per la sottoscritta.
Sembra, tuttavia, che mio cugino sia almeno riuscito a strappare la possibilità di rateizzare il mio debito in tre tranche, come ho richiesto io stessa.

Voi direte: perché vuoi affrettarti a pagare?
Perché sì.
Perché ogni giorno in più che trascorro appresso a questa sciocca rogna che mi sono auto-procurata, m'impedisce di archiviare i momenti più bui vissuti appena l'altro ieri.

Perché quando guardo l'unico kit che ho ritirato dalla mia ex parrucchiera, non posso fare a meno di pensare agli ultimi giorni di mia mamma, quando parlavo di questa inutile storia a qualche parente e lei, guardandomi dal suo letto d'ospedale, che ho tanto odiato e che ogni tanto mi riaffiora davanti agli occhi, con la fronte corrugata e gli occhi già un po' assenti, se n'è uscita con "non ho capito niente", che io ho interpretato come un "ma perché diavolo parli di questa cazzata qui davanti a me che sto così male?".

Non dovevo perderci così tanto tempo, insomma.
Quindi pago e zitta.

Ma ve lo assicuro: non firmerò mai più niente.
E se troviamo casa, prima faccio leggere tutto a mio cugino. E poi, forse, firmo.

Promesso, cari genitori.
Non farò più come quando, a diciott'anni o poco più, vi ho abbonati a Euroclub, un altro episodio che avevo rimosso e che mi è stato crudelmente risvegliato dalla mia amica Annalisa sempre il sabato appena passato.

E però ribadisco: che firmiate o meno facilmente come me, non siate mai troppo sicuri di voi stessi, prima ancora che degli altri.
Da parte mia dovrei aver imparato la lezione.

Era ora.

martedì 4 novembre 2014

AAA, casa cercasi... come Totò



Oggi sono arrabbiata. Arraggiata alla Montalbano.
E quando sono in questo stato rischio di dire qualche corbelleria.
E un sacco di parolacce (che ho effettivamente detto).

A farmi inferocire, ci ha pensato in parte la burocrazia, che detesto con tutta me stessa, in parte le sole che mi auto-infliggo. Firmando.

Come sapete, ho firmato il dannato contratto per il trattamento ai capelli che poi non ho mai fatto (né mai farò), con il risultato che ora sono a un passo dalla causa (se me la fanno loro, eh: perché di certo non gliela intento io. Malaccorta sì, ma non fessa).

Non solo. Ho firmato ancora, stavolta in un'agenzia immobiliare, dove la regola è "prima firmi e ti impegni a concludere eventualmente l'affare con me e poi vedi la casa".

Quell'appartamento aveva "good vibrations": già avevo cominciato a fantasticare su come disporre i nostri scombinatissimi mobili. Perché, comunque, almeno per i primi (e i secondi) tempi, mi dovrò comunque tenere la mobilia raccattata tra casa di mia nonna, dei miei e di mia suocera.
Come ebbe a dirmi una conoscente di queste parti che ormai non frequento più, il nostro arredamento è composto in massima parte da "mobili vecchi".
O, più elegantemente, vintage.

E insomma. Sarei stata ben felice di trasportare tutta la mia roba demodè in sessanta metri quadri (con garage).
Avete presente nei cartoni animati la nuvoletta dell'immaginazione sul tizio che sogna a occhi aperti e di come sparisce, con suono annesso (tipo POUF!) quando poi torna alla dura realtà?
Ecco.

Il giorno appresso vado a vedere tre appartamenti con un'altra agenzia (messaggio subliminale per i miei ipotetici creditori: non avrete neanche un euro dei miei risparmi. Pago tutti, ma non voi) e che succede?
Dopo le prime due autentiche stamberghe, l'agente ci conduce su una strada ridente, in lieve salita, sotto un sole quasi estivo. Da lontano il mare sempre più blu. La riconosco immediatamente, solo che non ci posso credere. No, dico, sarà un altro appartamento sulla stessa via, ma pensa tu la coincidenza.

Era proprio lo stesso. Il secondo agente che ce la mostra, però, ha anche le chiavi del garage. Che non è una piazza d'armi, ma è più che sufficiente per confermarmi nei miei progetti di trasloco (qualche mobile vecchio avrebbe finalmente trovato la sua più consona collocazione. A vantaggio dei pezzi migliori della mia generosa famiglia di provenienza. Ingrata che non sono altro).

Trasecoliamo ulteriormente quando il mediatore chiama il venditore e, mettendocelo in viva voce, gli dice che ha due clienti che potrebbero prendere la casa praticamente subito a... circa quindicimila euro di meno di quelli che ci aveva prospettato il primo  agente.
E quello risponde: "E' andata".

Peccato che io (...) mi sia impegnata formalmente (dimenticavo la fotocopia del documento di identità. Sì, ho fatto anche questo) a concludere EVENTUALMENTE l'affare con quello del giorno prima.

Torniamo a casa, il Bipede ed io, piuttosto disorientati. E mò che succede?
Mi consulto con mio padre, nel fine settimana parlo pure con mio cugino avvocato, quello con il quale a breve andrò in tribunale per via dei miei disgraziati capelli, e niente: tutti mi dicono che una "roba acsè" non l'hanno mai sentita.

Eppure succede anche questa. Garantito.
Quindi?
Beh, per il momento posso solo dirvi che da good le mie vibrations sono diventate very bad.
Anche perché il venditore ha detto al secondo mediatore, che ci ha prospettato un prezzo e una provvigione più bassi che lui, proprio lui, non ne vuole sapere nulla.

Ma come? Chi ha dato l'appartamento a più agenzie? Melilla, o come diavolo si diceva a Chieti una volta?
Oltretutto, scorrendo gli annunci, mio marito ha fatto un'altra scoperta: l'appartamento è proposto pure da una terza agenzia!
Raccontando il casino a una mia cara amica di palestra, consideravo: ma quanti duplicati della chiave circolano in questo momento?

Ripensando, ridendo un po', stamattina al dubbio che le avevo esposto, mi sono così ricordata di Totò cerca casa, il fenomenale film di Monicelli e Steno con Totò nella parte di uno sfollato con moglie e figli.
Prima del tragicomico finale (che non vi rivelo, casomai non l'aveste mai visto), Totò si imbatte in una banda di ladroni che gli vendono, dietro pagamento del milione vinto dalla moglie grazie a un concorso a premi, un lussuoso appartamento che danno in affitto anche a un gruppo di turiste ungheresi, a un commerciante cinese e ai coniugi arabi da Totò già incontrati (scontrati sarebbe più esatto...) in un momento precedente del film.

S'intuisce che la faccenda debba finire a schifìo. Peccato che nel nostro caso non si tratti di un film. Forse. Come scrivo spesso.
Perché certe volte mi sembra davvero che la realtà sia tutto un cinema, non di grande qualità. Esattamente come la maggioranza dei film italiani. E non sto parlando della da me molto amata pellicola con cui apro questo post.
E non ditemi che sono disfattista e che nel paese d' 'o sole e 'o mare si vive sempre bene, perché allora sì che mi arrabbio per davvero.

E comunque, una cosa è certa.
Non firmerò mai più niente.
Anche se si dice che non c'è due senza tre...

AIUTOOOO!