mercoledì 21 maggio 2014

Sanità pubblica e manchevolezze: le mie, innanzitutto



Probabilmente l'ho già scritto: io non so dialogare con i medici.
E' un mio limite, bello grosso, lo so, ma nel momento stesso in cui percepisco da parte loro uno dei seguenti atteggiamenti: indifferenza, sarcasmo, ansia strabordante e/o qualcosa del tipo non so che pesci prendere, quindi non mi rompere le balle, io chiudo la comunicazione più o meno immediatamente.

Purtroppo, a meno di non essere medici noi stessi, in presenza di malattie serie bisogna vincere l'istinto di mandarli a cagare. Perdonate il turpiloquio, ma è esattamente quello che ho pensato in più di una circostanza in quest'ultimo anno e passa.

Poco dopo l'inizio della terribile vicenda familiare che stiamo vivendo, per dire, sono uscita sbattendo la porta dallo studio di una dottoressa. Avevo torto, non nella sostanza, ma nella forma.
Sia come sia, da allora ho cercato di interagire il meno possibile con la suddetta e con la capa della medesima, che ahimè ho rivisto non molto tempo fa.

Non mi ha neanche guardato in faccia, né, soprattutto (perché pazienza per la sottoscritta: spero di non aver mai bisogno di lei o comunque farò di tutto per non farmi curare da lei), mi ha chiesto notizie della sua paziente.

Non ci posso fare niente, ma se non lo scrivo almeno qui, evitando di fare nomi (almeno per il momento), impazzisco.

In tutti i modi, mi toccherà tornare in ospedale, uno dei prossimi giorni.

Del resto, uno dei pochi vantaggi dati dalla modernità è la tecnica e l'unico modo per capire in che condizioni stia davvero una persona seriamente malata è sottoporla a tutti gli esami necessari.
Noi poveri mortali senza amici che ti procurano ricoveri di lusso abbiamo a disposizione la sola sanità pubblica.

Giustamente, una mia amica carissima che vive negli States mi ha più volte fatto presente che lì se non paghi sei fottuto.
Io però ho qualche dubbio che, se la medesima tornasse ad abitare in Italia, andrebbe a farsi curare in uno dei troppi ospedali pubblici italiani assiepati di malati nei corridoi per carenze di posti letto, dotati di arredi vetusti (se penso al letto che non si poteva abbassare dell'ospedale ternano mi torna la rabbia a mille), pareti scrostate e personale non sempre educato, forse anche per via dei troppi carichi di lavoro.

Potendolo fare, pagherei pure io, insomma. E andrei in qualche clinica svizzera silenziosa e accogliente.
L'indifferenza e l'assenza di buone maniere, probabilmente, albergano anche nelle corsie più asettiche, ma qualcosa mi dice che si tratterebbe di eccezioni che non avrebbero peraltro vita lunga.

Non sarò in grado, non lo sono di sicuro anzi, di interagire con chi percepisco respingente, in altri termini, ma è piuttosto probabile che, pagando, otterrei un servizio migliore, esattamente come se scegliessi un hotel a cinque stelle anziché una stamberga.

Alla sanità privata, detto ancora in altro modo, ci siamo già arrivati. E lo stesso sta succedendo per gli altri servizi pubblici (basta prendere qualunque inter city per rendersene conto).
Non raccontiamoci fole, in definitiva.

Faccio anche un esempio concreto: in Germania, chi comincia a usare l'insulina, viene seguito per un'intera settimana in un centro apposito, in maniera che possa imparare per bene come iniettarla e in quale quantità, se è il caso di variare le dosi.
Pur essendo bravissime, le infermiere e la dottoressa dell'ospedale di Chieti non possono permettersi di dedicare più di qualche quarto d'ora (che è comunque già un successo) ai pazienti alle prime armi perché piene fin sopra ai capelli di richieste e/o problemi.

Peraltro, per come la vedo io, proprio perché sono brave e disponibili, finiscono per diventare anche una sorta di telefono amico per malati e parenti in ansia.
Restando l'ambulatorio aperto fino alle 14, è chiaro tuttavia che non possono farcela a esaudire tutti i loro bisogni che continuano anche nel resto della giornata e nei fine settimana.

E pensare che fino a qualche anno fa si diceva che chi frequentava la scuola infermieri sicuramente non sarebbe rimasto senza lavoro.
Anche senza leggere le statistiche, usando invece il solo spirito di osservazione empirica, si intuisce che oggi non sia più così ed è tutto lì il problema.

La disumanità di alcuni va tollerata perché non c'è alternativa.
La disorganizzazione, peggio ancora, è alimentata dalla carenza di personale, oltre che da quelle personali dei singoli addetti alla sanità pubblica.

I parenti sono manchevoli spesso per definizione, per via del carico psicologico che non sempre riescono a gestire.
A farne le spese, sono solo i malati, che devono spiritualmente accendere ceri a qualche santo, o fare mentali riti vudù per sperare di uscirne oltre che vivi, anche non troppo piagati interiormente.

Questo è.
Ma tocca farsi forza e largo nei gironi danteschi redistribuiti in livelli e sperare di cogliere qualche barlume di solidarietà nei compagni di stanza e nei parenti dei compagni di stanza.
Come ci è successo a Terni, dove il figlio della signora ricoverata affianco a mia mamma ci ha regalato dei cioccolatini quando ci siamo salutati.
O dove un paziente che avrà avuto più o meno l'età di mia sorella ci guardava con occhi sgranati di dignità disperata, mentre chiacchieravamo del forum di raiuno. Anche lui, ai tempi dell'università, aveva partecipato con i suoi amici, giusto per tirar su qualche soldo. I casi sono tutti finti, ci ricordava, oggi come allora. Abbiamo riso insieme, dimentichi per un attimo del motivo per cui eravamo in quella fredda sala d'attesa.

Non so come si chiamassero queste persone e le altre che abbiamo incontrato in analoghe circostanze. A loro auguro davvero ogni bene.

E adesso torno al silenzio dell'attesa. Di quest'attesa a distanza che mi fa sentire colpevole.
Persino di ciò che sto scrivendo, perché ho paura che potrebbe risultare falso. La scrittura aiuta, certo, purché non si voglia dare spettacolo.
Perciò non vado oltre.

4 commenti:

  1. Michael Moore: "La sanità italiana è la migliore del mondo". Perché non ci si cura lui. Parlare con i medici è impossibile, sono intoccabili e lo sanno. E non è solo questione di carenza di risorse, questo è il grande alibi di ogni settore pubblico che non funziona.

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    1. caro Massimo,
      il mio è un post classico, non un pezzo giornalistico, quindi mi sono limitata a parlare della mia esperienza diretta. A un certo punto del mio incontro (cui era presente anche tuo fratello) con la diabetologa, è saltato fuori che stanno con l'acqua alla gola.
      sulle cause della cronica carenza di risorse ci sarebbe da scrivere non un post, ma una vera inchiesta, piena di pezzi e dati.
      A monte, certo, possiamo avanzare qualche ipotesi, un po' come si fa sempre davanti a un welfare sempre più risibile, non solo in Italia. Monsieur de Lapalisse si complimenterebbe con me, ma è troppo chiaro per non esserne consapevoli.
      Ma un conto sono le risorse mancanti o presunte tali, un altro l'umanità di chi dovrebbe occuparsi delle nostre pellacce.
      spero che abbiano dato, nel frattempo, un posto letto a mia mamma, abbandonata su una barella almeno fino a mezz'ora fa, a quanto mi risulta

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  2. c'è poco da fare in Italia, purtroppo, con la sanità pubblica...àrmati di pazienza e quando non ne puoi più attacca e se del caso denuncia, denuncia, denuncia, con tutti i mezzi, dal blog alle Procure della Repubblica, la rete oggi è un potente mezzo di diffusione, i cellulari possono registrare e fotografare, vale più uno sputtanamento in rete che una sceneggiata alla Mario Merola, se proprio non si vuole passare dai Carabinieri ....salva solo quelli (i medici e affini) che dimostrano di essere all'altezza del loro lavoro nonchè senso di umanità e comprensione...la carenza di risorse spesso è un alibi, sovente le risorse non mancano ma vengono spese male e i servizi vengono organizzati ancora peggio !
    D., Milano

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    1. quando ci sei troppo dentro, non hai altra strada che armarti di santa pazienza. e ho scoperto (con mia grande sorpresa) di averne tanta. Ma presto tornerò sull'argomento con un'altra cronaca. anticipo solo che sull'ascensore che ci portava verso la stanza della tac, c'era disegnata una bella testa di morto con sotto scritto (per essere ancora più chiari) morte a Zavattaro, il direttore dell'ospedale della mia città natale.
      è facile prendersela in questo modo con il potente di turno, lo so, ma l'ho trovato comunque piuttosto emblematico.
      grazie della visita e della solidarietà
      a.

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