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mercoledì 13 ottobre 2021

AAA: Madamatap è tornata... E cerca lavoro!


Riassumendo: da inizio luglio sono tornata in Italia. Definitivamente.

Mi sono accorta da vari segnali sui social che un sacco di miei conoscenti non l'aveva capito. 

Non che ci tenessi, evidentemente, a mettere i manifesti.

Avevo bisogno di riprendere confidenza con il mio Paese, la mia cittadina adottiva (Porto San Giorgio) e quella natale (Chieti).  

Tutto qua. 

E però, finita l'estate da un momento all'altro (ma proprio letteralmente: ho fatto il bagno l'ultima volta il 4 ottobre), mi sono resa conto che, se non proprio i manifesti, almeno qualche piccolo poster bisognava pure che lo appendessi. 

E sì, perché ho bisogno di lavorare e, come immaginavo già da prima di tornare (anzi: già da prima di trasferirmi a Vienna), il lavoro qui (particolarmente qui, ma anche oltre confine, ve l'assicuro) lo si trova più facilmente per conoscenza diretta.

Ovviamente, non sto parlando di raccomandazioni (se fosse così, non avrei bisogno di scrivere questo post): sto parlando proprio del classico passaparola.

Ecco. Più di qualcuno adesso si starà domandando, come ai vecchi tempi, "che cosa vuoi fare?". 

Darò una risposta probabilmente scontata, ma è l'unica che mi viene in mente: "Tutto". 

Specificando un po' meglio, tutto quel che il mercato del lavoro mi darà la possibilità di fare quando me ne darà l'occasione. 

Ad insegnarmelo, è stato il passaggio in Austria, dove mi sono trovata a sperimentare la doppia vita di lavoratrice dipendente con contratto a tempo indeterminato e di disoccupata con sussidio continuativo. 

Gli inizi, dell'una e dell'altra esistenza, sono stati complicati per via della limitata conoscenza del tedesco e del rigido protocollo da seguire.

Una volta sistemata la burocrazia, tutto è poi filato liscio fino all'ultimo giorno. Gli asburgici hanno finito di versarmi ad agosto di quest'anno tutto quel che mi spettava, fino all'ultimo centesimo. 

Finché sono stata lì, in cambio l'Agenzia del lavoro (chiamata Arbeitsmarketservice, in sigla AMS, temutissima da me, quando la vedevo lungo le ciclabili con quei caratteri cubitali in blu e rosso) mi ha chiesto solo di mostrarmi attiva nel mio desiderio di reinventarmi un futuroCome l'ho fatto? In primo luogo, ho frequentato due corsi di lingua tedesca incrociandoli con gli incontri con le consulenti specializzate nel supporto al lavoro al femminile

Sulla mia strada ne ho incontrate tre, più una quarta che è stata quasi un'amica, e varie altre figure di contorno, compreso il simpatico turco, Taylan K., ex giornalista laureato in Scienze Politiche come me, che mi ha parlato di Berlusconi. 

Della prima consulente, ho già scritto qui, come forse qualche amico lettore ricorderà. Ai tempi stavo per sostenere il mio esame B1 di tedesco e pensavo di potermi candidare anche per posizioni, diciamo così, più basic: a detta della consulente, avrei potuto provare a fare la commessa in qualche negozio italiano del centro, dato che, a suo dire, l'austriaco parlato da una figlia della terra do' sole è considerato "charmant". 

Tutto questo succedeva quando il Covid era già tra noi e i negozi, compresi quelli che mi avrebbero dato (forse) della charmant, erano chiusi o stavano per farlo. Idem per i musei, dove ho tentato di candidarmi per fare la sorvegliante (Museumsaufsicht, ricordo ancora la dicitura che inviavo all'AMS nei report periodici sulle mie candidature). 

Per fortuna, il sussidio era sempre lì a sostenermi, per cui, tra una foto alle pipe di mio marito e l'altra, ho continuato a tenere duro.

Soprattutto, sono andata avanti con lo studio del tedesco, ottenendo anche il B2 alla vigilia della, credo, seconda ondata viennese e relativo lockdown. 

Salto qualche passaggio per arrivare alla prima parte di quest'anno, quando ho conosciuto le altre due consulenti.

Katarzsyna S. è una quarantenne di origine polacca, con occhiali ed espressione bonaria su viso rotondo e fisico solido. La prima volta ci siamo viste su Skype. Non sapendo che cosa aspettarmi, per l'incontro mi ero messa persino il rossetto.

Lei, invece, indossava una felpa oversize, sfoggiando anche una grossa pinza nella quale aveva raccolto i suoi lunghi capelli chiari. 

Abbiamo chiacchierato a lungo, mi ha parlato di Freude, gioia, in quello che si fa per campare, di Beruf, lavoro nel senso di professione, mestiere, impiego e Berufung, vocazione, sottolineando quanto sia importante fare qualcosa che ci somigli, come si dice. 

Io la guardavo con rispetto, questo sì, ma anche con un pizzico di perplessità, non per le sue belle e rassicuranti parole (intervallate da materni Frau Cicalini, pronunciati sempre con grandi sorrisi), ma per le reali probabilità che dalle sue belle parole la sottoscritta potesse arrivare un giorno ad avere un nuovo lavoro, pagato, ovvio, ma anche foriero di gioia. 

Con Kate ci siamo viste online almeno altre due volte. Indimenticabile quella in cui, di ritorno dall'Italia, il Bipede ed io siamo stati accolti dal riscaldamento rotto. In vista del mio appuntamento con lei, mi sono lavata almeno i capelli, scaldando le pentole sul fuoco. A pochi metri da me, dall'altra parte dello schermo del mio computer, stazionava il proprietario intento a discutere con l'idraulico su come rianimare la caldaia defunta (e per fortuna alla fine sostituita con un modello endlich, finalmente, moderno).

Ma dello scrauso ho già parlato, quindi andiamo avanti.

L'ultimo incontro con Kate è avvenuto di persona. Di persona personalmente, avrebbe detto Catarella.

Era fine maggio, la decisione di rimpatriare era già stata presa, ma lei ci ha tenuto comunque a incontrarmi. Ci ha tenuto perché? Forse le ero anche un po' simpatica - con gli estranei faccio spesso la giullare - ma credo che in verità il motivo fosse un altro. Il fatto era che tra le consulenze alle donne disoccupate la sua società prevedeva anche le passeggiate in natura a due, o in gruppo. 

Ok, le ho detto via mail, vediamoci pure. Posto prescelto per il Berufungsausflug (me lo sto inventando adesso: vorrebbe dire qualcosa del tipo gita motivazionale) il parco di Schönbrunn, il mio posto del cuore a Vienna.

Mi ha parlato dei suoi nonni polacchi e del fatto che non fossero stati contenti che i genitori la portassero a vivere proprio nella terra dei nemici di un tempo. Kate alla fine si è inserita, ci ha messo un po', ha precisato, ma alla fine di Vienna le piace, le piaceva, la Gemütlichkeit, la tranquillità. Per lei, mi diceva mentre camminavamo, da sempre abituata ad andare a mille (un periodo si era pure lei trasferita all'estero, non mi sovviene dove, forse il Canada), Vienna è insomma un posto dove non c'è alcun motivo per correre. L'ho ascoltata con sincero interesse, anche quando sosteneva che gli italiani fanno più fatica degli stranieri provenienti da altri Stati, a inserirsi in Austria. Un po' come noi polacchi, mi è parso di cogliere tra le righe. 

Sia come sia, lieta di come si era svolta la nostra camminata motivazionale, alla fine le ho chiesto se potevamo scambiarci gli indirizzi

Le ho scritto io pochi giorni dopo per mandarle una foto, poi non ci siamo sentite mai più.

Non importa, è giusto così, però io dovevo mandarle quello scatto così straordinario.

Mentre eravamo intente a vergare i nostri indirizzi sedute su una panchina, a pochi metri da noi gironzolava una volpe, rossiccia e quieta, perfettamente a suo agio tra noi e gli altri umani che passeggiavano per il parco e che naturalmente avevano preso a fotografarla.

Kate, che credeva un po' nello sciamanesimo o in qualcosa del genere, mi ha parlato di quell'incontro tra noi e la bellissima quattrozampe come di un segno. Non saprei dire di che cosa, ma è comunque un ricordo che porterò per sempre con me, insieme con le sue parole sul mio valore. Non dimenticarti mai chi sei e quanto vali, mi ha detto. Grazie ancora, Kate, qualunque cosa tu stia facendo adesso, chissà se davvero sempre a Vienna. 

Tolto il momento amarcord, mi tocca arrivare al punto nodale di questo lunghissimo post.

Dicevo che le consulenti che ho conosciuto erano tre.

L'ultima, solo in ordine cronologico, è Bettina H. Se oggi sono qui finalmente a casa mia, lo devo infatti essenzialmente a lei.

Giornalista di formazione e presumo di professione, l'ho scovata scoprendo per caso il progetto di reinserimento al lavoro dei pennivendoli come la me di un tempo, chiamato Ajour.

Finanziato anche questo dall'AMS, ho potuto accedervi sempre perché ho lavorato (come speaker di una radio in store finanziata dal gruppo Rewe) con un contratto superiore a dodici mesi e perché sono munita di una qualifica professionale, che evidentemente riconoscono anche lì. 

Per essere inserita nel progetto, ho sostenuto un colloquio con un collega presumo pensionato, un austriaco anziano dal fisico da camminatore di montagna e giacca di tweed marroncina.

Molto simpatico, molto giornalista vecchia scuola, mi ha accolto in una specie di Circolo della stampa non troppo dissimile da quello milanese: ci siamo capiti, avevo in effetti già in testa di rientrare in patria e ho apprezzato tantissimo il tempo passato insieme a spulciare sul web le aziende austriache che hanno contatti con l'Italia.

Salutandoci, mi ha allungato il depliant più dettagliato del progetto Ajour ed io ho notato che tra i loro consulenti c'era anche uno psicologo. "Ci sono molti colleghi che ne hanno bisogno", mi ha spiegato rispondendo a una mia domanda vagamente ironica sulle ragioni che li avessero spinti a prevedere un supporto del genere. Ho smesso immediatamente di fare la stupida, ho ringraziato e mi sono messa in attesa della chiamata della collega che parlava italiano.

"Ha avuto un culo mondiale", mi ha detto questa signora di cui non ricordo più il nome. "Si è liberato un posto con la nostra consulente Bettina H. che potrà seguirla almeno fino a fine giugno".

Ottimo. Conosciamo anche Bettina, mi dico.

Capelli grigi su viso florido, Bettina si è palesata su Zoom un pomeriggio imprecisato tra aprile e maggio, scuro e minaccioso.

Ho sempre avuto un problema di punti luce, in pratica in tutte le case in cui ho abitato. Chissà che cosa avrà pensato di me, Bettina, vedendomi illuminata di giallo itterizia.

Qualunque siano stati i suoi pensieri, mi ha chiesto di descriverle che cosa avessi fatto durante la mia vita lavorativa: è andata abbastanza nello specifico. Mi ha chiesto persino quanti lettori ho su questo blog, un dato che, naturalmente, ignoravo e ignoro tuttora.

Rammento di essermi sentita un po' a disagio: perché insiste così, mi domandavo, perché vuole sapere tutte queste cose?

La mia faccia doveva parlar più chiaro delle mie parole in tedesco, perché a un certo punto Bettina mi ha fatto la domanda delle domande: "Ma tu - perché Bettina mi dava del tu a differenza delle altre due consulenti - dove vuoi vivere: qui o in Italia?".

Risposta secca, dopo una piccola pausa drammatica: "In Italien".

"Allora dobbiamo fare tutto un altro ragionamento", ha considerato lei.

Con Bettina H. abbiamo stabilito il calendario dei successivi incontri, fino all'ultimo di fine giugno, in cui ci siamo viste per un semplice caffè virtuale, dato che a quel punto avevamo ormai già impacchettato tutto. 

La seconda volta, invece, Bettina mi ha messo al centro del foglio che vedete sopra.

Alessandra kann, Alessandra può, e mi ha aiutato a tirare fuori una per una le mie competenze e attitudini. Ho conservato quel foglio fino ad oggi perché sapevo che un giorno ci avrei scritto qualcosa.

Chi conosce la lingua non ha bisogno che mi metta lì a tradurne le singole voci, per tutti gli altri posso giusto riassumerne il senso generale.

Alla Obama maniera, anche io, come tutti noi, posso, possiamo, essere protagonisti delle nostre vite

L'importante è crederci davvero, profondamente. Con fiducia e determinazione

Perché se non ci crediamo noi, difficilmente ci crederà qualcun altro.

Su questo concetto, all'apparenza banale, ci lavoro tutti i giorni, con una convinzione sempre maggiore, prestando bene attenzione a non intristirmi eccessivamente o, peggio, ad autocommiserarmi. 

Allenarsi a credere davvero in se stessi implica anche circondarsi di persone positive, ma imparare a riconoscerle è un'operazione che richiede antenne dritte, molto buonsenso e zero buonismo. 

Non vedo l'ora di potervi raccontare gli sviluppi. 

Madamatap è tornata. Più Tap e Madama (ho svoltato i 50, non ci posso credere!) che mai. 

Ah, dimenticavo: il curriculum che vedete sotto è stato tradotto dalla sottoscritta dal tedesco all'italiano. L'impaginazione è rimasta all'incirca quella che aveva impostato la prima consulente, quella che mi parlava di charmant (Kate aveva provato a sua volta a stilare una seconda versione con un lunghissimo primo foglio di sintesi, ma il suo tentativo non ha entusiasmato Bettina, per cui alla fine l'ho accantonata e mai più ritradotta).

I colori, invece, sono stati aggiunti da Michaela R., una quarta consulente che ho conosciuto ai tempi dei miei corsi di tedesco, una donna dagli occhioni blu alta e longilinea, amante delle passeggiate in bicicletta, che mi ha dato a sua volta ottimi consigli, pratici ma non solo.

Per questo e per molto di più mi sento molto fortunata.

Basterà solo mettersi davvero in gioco e tutto andrà come deve andare. Dateci dentro con segnalazioni di qualità, daje!

E, in ogni caso, bis bald, a presto, e grazie del sostegno.











domenica 28 febbraio 2021

Le donne, il lavoro e la gioia di fare ciò che ci piace

 


Ho scattato la foto che vedete sopra a una fermata dell'autobus che incontro quando vado a correre al parco di Schönbrunn.
Nei giorni seguenti ho scoperto che buona parte delle pensiline nel mio quartiere espone la stessa immagine.
Si tratta di una campagna a favore delle donne promossa dal Partito socialista austriaco, in vista dell'Otto Marzo.
Nel titolo in alto a sinistra c'è scritto: "Donne. Campionesse della crisi. Da sempre".

Lo slogan è semplice e facilmente condivisibile, almeno a parole.
Chi è che osa negare che le donne, noi donne, siamo state abituate da generazioni di madri e di nonne a gestire la quotidianità con tutte le sue grane come macchine da guerra?

A parole, dicevo, non c'è, credo, nessun partito che potrebbe affermare il contrario.
Nella scritta piccola in basso a sinistra, si specifica infatti che:
"Non è solo dal 2020 che noi donne ci opponiamo con tutte le nostre forze alla disparità di trattamento".

Intelligente, e per niente casuale, anche la scelta delle testimonial.
La giovane di pelle più scura è una mamma di due bambini, la bionda affianco, a occhio coetanea, una maestra elementare, la donna più matura un'assistente sanitaria (tipo, penso, le nostre Oss o badanti qualificate), la ragazza a destra una parrucchiera, definita per la precisione "lavoratrice autonoma".

Le quattro non sorridono, men che meno ammiccano. Hanno sguardi che ti scavano un po' dentro, a mio parere, come a dire: "Non arretreremo mai". Certo che no. 

Sono andata a leggermi il testo della campagna dell'Spö.
L'incipit recita: "La pandemia da Corona rende chiaro che le donne vengono ancora trattate sempre in modo diseguale". A loro, prosegue il testo, toccano i lavori peggiori, oltre al lavoro non retribuito di cura dei bambini e di assistenza ai malati. A ciò si aggiungono, si sottolinea, le esperienze di violenza subite già da prima della crisi attuale, ma diventate decisamente più visibili nell'ultimo anno.

Per tutti questi temi, asserisce la campagna Spö, è arrivato il momento di trovare rapide soluzioni e supporti adeguati alle donne colpite. Non solo: in vista della Giornata internazionale delle donne, si chiede un cambiamento di sistema. 

Da qui in avanti il testo si fa meno interessante, almeno per noi italiani abituati da sempre alle polemiche politiche, oltre che alla disparità di trattamento di genere.

Perché racconto questa storia? 
Ovviamente, perché mi riguarda, come donna e come straniera sbarcata in un Paese di cui non conoscevo nulla.

Vista dall'Italia, l'Austria sembra, o sembrava, una terra felice, ricca di opportunità.
Per qualcuno, e qualcuna, lo è davvero, lo è stata e lo sarà.

Sono certa, per esempio, che la ventenne afgana che ho conosciuto al secondo corso di tedesco, se non si mette a sfornare un bebè dopo l'altro, riuscirà a diventare una maestra d'infanzia, come diceva di voler fare.

Idem per la giovane bulgara, arrivata a Vienna un annetto fa, che con una laurea in tasca e molta attitudine allo studio (del tedesco, e non solo), di certo riuscirà a lasciare la cucina del pub dove lavava i piatti, per un lavoro migliore.

Andrà bene, credo, anche alla slovacca che voleva diventare infermiera, alla quale mancava solo il certificato B2 di conoscenza della lingua per potersi iscrivere a un corso triennale.

Idem succederà, penso, anche a chi di loro vorrà e potrà fare solo la mamma, perché nella maggior parte delle donne che ho conosciuto in quest'ultimo anno, ho visto comunque il desiderio fortissimo di mettere radici qui. Oltre ogni nostalgia per la patria lontana.

In tutto ciò, io dove mi colloco?
In comune con le compagne di corso, e con le signore della foto in alto, ho la determinazione a dare sempre il massimo.
Lo sa anche la mia nuova consulente del lavoro, che appartiene a una società di sole donne che cercano di dare un futuro migliore ad altrettante signore con alto profilo scolastico. E qualche anno in più sulle spalle.

Esemplare è anche la storia della suddetta consulente.
Di origine polacca, a occhio e croce, tra i trenta e i quaranta, si è trasferita qui da bambina con la famiglia. Nel nostro primo incontro si è presentata, raccontandomi del suo periodo all'estero, prima della decisione di tornare in quella che considera la sua patria per un lavoro più stabile, probabilmente, anche se non particolarmente ben pagato.

Di storie come la sua Vienna è piena. Gli uffici pubblici traboccano di signore con cognomi slavi, facile beccare anche qualche turca di seconda, o terza, generazione. 

Di italiane, nel grande mondo dell'Arbeitsmarketservice, ossia la mitica agenzia del lavoro che tuttora mi assiste (eh sì: ora mi assiste, sono ormai annoverata tra le disoccupate di lungo periodo), invece, pochissime tracce. Almeno fino a quest'anno. 

Tra i miei contatti, praticamente, non c'è nessuna che ha un'esperienza non dico uguale, ma almeno simile alla mia.
Un po' lo capisco. 
Il grosso delle mie connazionali lavora, o lavorava, nella ristorazione, da dipendente o titolare di attività, presumo con compagni e mariti. Ci sono poi le insegnanti di lingua, le artiste, le ricercatrici, e quelle che, magari, hanno un partner austriaco e/o varie proprietà in patria per cui il lavoro, o l'assenza dello stesso, non è un grande problema.

Dimenticavo le ragazze con una laurea tecnica e scientifica, come la giovane e simpatica napoletana, che, almeno l'anno scorso, prima dello smart working al quale è condannata da tempo immemorabile, era entusiasta della città.

Non ho dati statistici, insomma, ma a naso le italiane a Vienna, nel resto dell'Austria non so, sono giovani o se non lo sono più, hanno trovato qualche motivo davvero solido per restare oltre confine.

In qualcuno di voi, a questo punto, sarà sorta spontanea la domanda:
cara Madamatap, che diavolo ci fai ancora lì?

La risposta è sospesa, un po' come i caffè per i bisognosi e gli altri articoli che adesso si sono aggiunti alla lista delle necessità non più finanziabili.

Ringrazio però la consulente austro-polacca in particolare per un motivo.
Nel nostro ultimo colloquio mi ha suggerito di andare oltre il curriculum nudo e crudo, invitandomi ad interrogarmi su quello che mi dà gioia fare.

In tedesco si fa distinzione tra "Beruf", lavoro, nel senso di qualifica che si è raggiunta con studio e pratica, e "Berufung", che in senso stretto si traduce con "vocazione", in senso lato il mix di esperienze, interessi e attitudini personali, che fanno di ciascuno di noi un essere umano, una risorsa, se vogliamo chiamarla così, unica e insostituibile.

A questa domanda posso rispondere, o comunque non mi sottraggo.
Scrivere e fotografare. E poi leggere, studiare e correre. E conoscere la gente e farmi raccontare chi è e che cosa fa, provando a descriverla, e se possibile a illuminarla. 

E sti cazzi. Che fannullona
Ho anche qualche predisposizione al lavoro manuale, dimenticavo. Dovevate vedermi l'altro giorno, mentre aiutavo la mia amica austriaca a montare la poltrona dell'Ikea.

Ci metto però sempre del mio, con un'energia a tratti eccessiva (l'amica mi ha definita "hektisch", frettolosa. E meno male che la stavo aiutando, mortaccen suen. Però ci ha visto giusto, lo ammetto), per cui non credo sia il caso di farne parola con la consulente del lavoro.

Insomma, in un mondo ideale, una donna come me sarebbe perfetta in un sacco di contesti, soprattutto quando c'è da cazzeggiare in modo creativo, da prenotare viaggi (per l'Italia, soprattutto: ah sì, che bellezza), da sorridere garrulamente a più gente possibile. E da stringere qualche vite.

Dite che Vienna si accorgerà presto di questa perla matura (per usare un eufemismo)?
Staremo a vedere.
Basta andare avanti, a testa alta e la solita ironia, che non svanisce, nonostante tutto.

Ps W le donne!  

domenica 19 gennaio 2020

Lavorare a Vienna? Non a Radio Max



PREMESSA 

Non dovrei scrivere questo post nel giorno del funerale di zia Zita, o forse è proprio la giornata adatta, visto che non posso essere lì con la mia famiglia a salutarla.

Nel 2018 mi sono trasferita a Vienna per lavoro. Gli amici transitati da qui, naturalmente, lo sanno.

Il testo che state leggendo, però, è destinato, potenzialmente, anche a chi non mi conosce.

Ho maturato la decisione di scriverlo già durante i lunghi giorni del licenziamento. Lunghi, metaforicamente parlando, e non solo.

Ho finito di lavorare per Radio Max il 15 dicembre scorso, ma di quello che mi sarebbe successo un mese fa sapevo già da metà ottobre.

Prima di scrivere il seguito della storia accennata nel mio precedente passaggio sul blog, volevo trovare la chiave giusta da dare alle mie parole.

Desideravo che emergesse non tanto, o non solo, la rabbia provata quando ho capito che mi stavano buttando fuori, quanto essere utile ad altri che per qualche ragione abbiano deciso di trasferirsi all'estero, spero non per lavorare a Radio Max.



LA RECLUTATRICE E IL CASTING

Partiamo dall'inizio, ossia il modo in cui ho scoperto l'esistenza di una possibilità di lavoro qui a Vienna.

Intanto: che cosa sarei andata a fare? La speaker per la radio di una catena di supermercati. Si trattava di qualcosa di completamente nuovo per me, ma anche una sfida interessante, all'apparenza, che mi avrebbe permesso di maturare un'esperienza diversa, restando comunque più o meno all'interno del travagliato settore dei media.

A segnalarmi la potenziale grande occasione, una conoscente che aveva a che fare con l'azienda: sulla carta una persona fidata, di cui avevo perso le tracce da molti anni. A dire la verità, l'avevo del tutto rimossa dalla mia memoria. Una volta che mi è sovvenuto di chi si trattasse, mi è sembrato che il casting al quale mi ha fatto candidare fosse l'occasione giusta per uscire dalla cronica precarietà.

Tutto sommato, del giorno del colloquio ho un buon ricordo: prima di allora, mi era stato chiesto di inviare una demo. Sulla base di quanto mandato, mi hanno chiamato a Vienna e mi hanno sottoposta a varie prove, compresa la compilazione di un test di cultura generale (non ricordavo chi fosse il ministro dell'Interno, un errore veniale tutto considerato, vista l'instabilità politica nazionale. Rammento invece di aver trovato un sinonimo di sapore letterario a una parola, che a posteriori immagino non sarà piaciuto). Ultima domanda del mio futuro datore di lavoro: qual è l'ultimo libro che hai letto.

Insomma, sembrava davvero gente seria, tanto più che mi hanno chiesto anche quanto mi aspettavo di guadagnare al mese, illustrandomi poi orario di lavoro e altri dettagli pratici. Poi mi hanno domandato qualcosa dei miei interessi e hanno indagato sulla mia indole: con molta onestà, ho persino ammesso di essere una persona emotiva, ma di aver sviluppato doti di resilienza sempre maggiori anche per via delle mie vicende familiari. 

A fine colloquio, il futuro capo mi dice che mi avrebbe fatto sapere qualcosa a fine mese o poco più. Bene: finisce il mese, ma niente, nessuna notizia. Lì avrei dovuto farmi furba e tentare di prendere qualche informazione in più. Credo di averci provato, navigando su internet, ma dal sito ufficiale di Radio Max si ricavano solo impressioni positive. Non vi dico, poi, che effetto pazzesco fa la sede su gente da secoli adusa ad ambienti di lavoro scalcagnati o alla propria scrivania 012 comprata al Mercatone.


AUF WIEDERSEHEN, ITALIA

Ma andiamo avanti. Saltando qualche passaggio, a inizio luglio 2018 mi arriva la lieta novella. Qualche giorno prima sembrava tutto bloccato, almeno secondo quanto mi aveva riferito la reclutatrice durante una lunghissima telefonata. 

Rammento bene quel momento: ero in bici, cuffie nelle orecchie. Mi sono dovuta fermare per capire bene di che diavolo stesse parlando. Tra le altre cose, mi riferisce che la radio aveva rischiato di diventare automatica. In quella ipotesi, chiaramente, non avrebbero avuto più bisogno di molto personale, forse nemmeno di lei. Invece la reclutatrice mi tranquillizza e mi dice: tutto è stato risolto e ora ripartiremo più forti di prima. E vai.

In una calda giornata di inizio luglio, ero sul balcone (il mio amatissimo balcone) a tentare di finire "Luce d'agosto" di Faulkner (qualche giorno dopo ci sarebbe stato l'incontro con il gruppo lettura di cui facevo parte). 
Mi squilla il telefono: è Vienna! A voce, il mio futuro capo mi comunica che mi vogliono su e mi anticipa il contenuto della mail che mi sarebbe arrivata di lì a poco.

Nel testo della mail, che ho conservato, mi si prospetta un contratto di due anni, con eventuale possibilità di prosecuzione futura, stipendio lordo 2.300 euro mensili, orario giornaliero 7 ore e 45 minuti circa, con turni di cinque giorni a settimana, esclusa la domenica. Tredicesima e quattordicesima inclusi. E mi accenna anche all'esistenza di un costo iniziale per la mia formazione di settemila euro, che si sarebbe ridotto via via con il passare del biennio.

Alla fine mi chiede di comunicare in un tempo congruo quando avrei potuto cominciare e mi offre 15 giorni di permanenza a spese dell'azienda in un hotel nelle vicinanze del posto di lavoro.

Un sogno, praticamente. Mi lancio all'avventura nemmeno un mese dopo, cieca e sorda alle vocine contrarie interiori e di alcuni dei miei affetti più cari.


LEGGI DIVERSE, AHIAI

L'errore più marchiano, lo riconosco, è non essermi informata prima su quali siano le condizioni contrattuali praticate in terra asburgica e su quali siano i documenti necessari per restarci abbastanza a lungo. Ai tempi non pensavo ancora al trasferimento anche del resto della famiglia, anche se era una possibilità concreta di cui chiaramente avevamo parlato.

In ogni modo, la reclutatrice mi aveva assicurato che avrei trovato un ambiente accogliente, familiare, per cui non mi sarei dovuta preoccupare di nulla. Ed io le ho creduto. E sono andata, organizzando prima una festa con le amiche e un pranzo di compleanno con tutta la mia famiglia al mare, dove era venuta anche zia Zita con la sua Princess, la sua bianca cagnolina Sissi.


WILLKOMMEN, FRAU CICALINI

Comincio a lavorare il primo agosto. Mi aspettano alle 9. Nello stesso ufficio del personale in cui un anno e cinque mesi dopo mi hanno fatto vedere la bozza delle lettera di licenziamento, mi sottopongono una versione facsimile in inglese del contratto che avrei dovuto firmare in tedesco. Con quella mi danno anche l'altro foglio, poi consegnatomi in una busta: sopra c'è la dicitura "confidential".

In poche righe, sempre in inglese, sotto le quali incautamente appongo la mia firma, c'era scritto che i miei primi due anni di lavoro erano considerati un "training", una formazione, del valore iniziale di 7 mila euro, che sarebbero andati a scalare man mano che passavano i mesi. Ossia quello che mi era stato anticipato via mail.

Non avevo mai sentito di accordi del genere, naturalmente, ma pensavo, ok, sarà una formalità richiesta dalla legislazione asburgica. Grave, gravissimo errore.

Scopro, peraltro, anche un altro fatto, insieme con il mio ex datore di lavoro (che pare cadere dalle nuvole, ma chissà): ossia che dopo il periodo di prova classico di tre mesi, il mio contratto sarebbe stato a tempo indeterminato. Caspita, mi dico, ho fatto tredici: w la civile Austria, ora sì che si svolta!

E mi butto nella ricerca della casa, assistita da una collega, così collaborativa, dolce e sorridente. Almeno all'apparenza: di lei la reclutatrice mi aveva parlato come di una sorta di "mamma" su cui fare affidamento per tutto. Considerando che ha nove anni meno di me, sarebbe stato ben strano, ma vabbè, crediamoci, mi dicevo.  

Grazie alla collega-mamma, effettivamente, riesco a passare dall'hotel all'alloggio nel quale abito tuttora senza soluzione di continuità (affitto mensile 590 euro, acqua e spazzatura compresi, buono per Vienna, non così poco per una persona che veniva dalla provincia, peraltro libera dal vincolo degli affitti solo da pochi anni).

La mamma putativa mi ha scortata addirittura dagli agenti immobiliari per la firma del contratto e in seguito mi ha anche aiutato con i gatti. Per l'aiuto che mi ha dato, le ho fatto dei regali, sentendomi comunque sempre un po' in debito anche quando ho realizzato che di me e del mio destino, alla fine della fiera, non poteva fregargliene di meno. Era l'azienda la sua vera ragione di vita, in nome del gruppo forse le è stato proprio imposto di dare una mano ai novizi.

In tutti i modi, comincio a lavorare, felice di trovarmi un ambiente giovane, tra ragazzi carini e accoglienti.

Qualche perplessità verso gli asburgici, in verità, la nutro subito, ma l'attribuisco all'incapacità di parlare la loro lingua, aiutata parzialmente dal mio inglese non così terribile, ma nemmeno eccellente.


CHE CI FACCIO QUI?

Con il passare del tempo, però, i dubbi aumentano, non tanto sulle persone (pian piano riesco a comunicare, con qualcuno di più qualcuno meno), ma sul lavoro.

Comincio a trovarlo ripetitivo, anche perché le mie mansioni non sono esattamente le stesse dei miei colleghi, per cui prendo ad interrogarmi sempre più spesso se vada davvero bene per me.

Trascorsi i tre mesi del periodo di prova, comunque, nessuno obietta alcunché, quindi io presumo che vada tutto bene.

E invece non è così, così non è stato. Ma andiamo avanti.


LA FORMAZIONE INFINITA

Periodicamente, ho rivisto qui a Vienna la reclutatrice, titolare della famosa formazione. Ho seguito le sue lezioni, cercando di applicare i consigli che mi ha dispensato per potenziare la voce, alternando il lavoro quotidiano a svariate ore di registrazione, indispensabili, secondo quanto mi era stato detto, per diventare una speaker completa.

Ammetto di non avere nascosto le mie perplessità anche con lei, ma, ripeto, senza mai sottrarmi ai miei compiti. Di sicuro non avrei dovuto parlargliene, conoscendo ormai assai bene il personaggio, ma così è stato. 


IO TI SALVERO' (o l'arrivo di marito e gatti)

Nel frattempo, forte del mio contratto a tempo indeterminato, ho spinto mio marito a raggiungermi, come ho raccontato nel precedente post, dal quale si capisce in quali condizioni psicofisiche versassi proprio in questi stessi giorni di un anno fa.

Abbiamo chiuso la casa al mare, lasciato la nostra macchina per strada, e con i nostri gatti e i suoi pochi bagagli, nel febbraio dell'anno scorso abbiamo ricominciato la nostra vita da qua.

Non si può dire che ci siamo annoiati.


L'INCUBO DOCUMENTI, PARTE SECONDA 

Mentre procedeva il count-down verso il mio licenziamento, abbiamo dovuto affrontare una serie di pastoie burocratiche che neanche Kafka.

Prima di tutto: i documenti di residenza per lui, possibili in quanto familiare ricongiunto e non come lavoratore.

Per averli, bisognava esibire il certificato di matrimonio plurilingue nella versione valida per i paesi teutonici. Facile, direte voi. Come no.

Me lo spediscono via mail con tanto di Pec (in doppia versione, ché non si poteva mai sapere), con quello torniamo dal Magistrat, facendoci una fila da medio ospedale italiano che non avete idea. Nichts, non va bene. Warum? "Noi Folère orighinalen". Ma come? In Italien noi abbiamo la Pec, "Non ci freka niente. Solo orighinalen!".

Richiamo il Comune del matrimonio e me lo faccio spedire. Niente, nichts, non mi arriva. E in questo caso chissà chi è messo peggio, se Poste italiane o Poste austriache: io ho la sensazione che il primato in negativo spetti a noi, ma qualche dubbio ce l'ho, considerato quanto qui siano ottusamente fissati con numeri civici, porte e codici postali.

Per risolvere la faccenda, me lo faccio spedire una seconda volta in Italia da mio padre, che poi me lo rispedisce a Vienna via corriere privato. Documenti completati, il consorte può ottenere "l'Anmeldebescheinung" (la conferma del permesso di soggiorno) che gli dà diritto alla e-card, indispensabile per lavorare e per ricevere l'assistenza sanitaria. Vielen Dank.

All'orizzonte, però, si profila una grana molto più spinosa, stavolta di tipo economico: per la Kranken Kassa lo sciagurato consorte risulta a mio carico fin dal primo giorno in cui sono arrivata io, non dal giorno in cui è arrivato lui, come attestava il suo "Meldezettel", ossia il primo pezzo di carta che ti rilasciano al tuo arrivo  in Austria.  

Orrore e raccapriccio. Anche perché me ne sono accorta tardi, tornando a casa mia dopo mesi: avendo mantenuto lì la residenza, lì arrivano i documenti ufficiali. Quando lo scopro, il debito accumulato per la sua sanità è già piuttosto alto. Adesso non mi ricordo più la cifra esatta, comunque superava i mille euro. Una vera rogna. E adesso come la risolviamo?

Richiedo l'aiuto della collega-mamma, che riesce per lo meno a farsi dare un contatto mail della sanità viennese al quale scrivere per farmi mandare la posta a Vienna e per cercare di rettificare i dati di mio marito. La posta prende ad arrivarmi qui, ma niente, il debito continua a crescere.


Il MITOLOGICO MODELLO E104

Mi decido a scrivere io direttamente alla mail, usando il mio tedesco scolastico, con il supporto di google translator (gli impiegati pubblici sono obbligati a parlarti in tedesco, dimenticavo questo dettaglio abbastanza importante). Tra gli aspetti positivi della burocrazia asburgica, c'è il fatto che ti rispondono sempre. 
Mi dicono che devo rivolgermi alla Asl della mia città di residenza per farmi rilasciare il modello E104, il mitologico modello: basterà che glielo alleghi via mail ed è pace fatta.

Mi metto all'opera. Anche nella provincia italiana (marchigiana) ti rispondono subito, almeno in certi uffici. Durante una breve vacanza italiana, diverso tempo dopo, vado personalmente a ritirare il papier nella Asl di via Zeppilli a Fermo: mi riceve una signora cortese ed elegante, dicendomi anche che è la prima volta che le capita un caso del genere. Di solito le città e i paesi di emigrazione scelti dai locali sono altri. Eh, signora mia, a saperlo mi sarei volentieri risparmiata di essere un'anomalia statistica.

Comunque, anche questa è fatta: a fine giugno o giù di lì ricalcolano il debito per il marito ricongiunto.


AMS, SE LO CONOSCI LO EVITI

Il qual marito, nel frattempo, si è sottoposto alla tortura dell'Arbeit Market Service, l'agenzia austriaca per la ricerca del lavoro, un luogo, una istituzione di sapore paramilitare, che non piace nemmeno ai nativi. Mi domando, sarcasticamente, perché.

Mentre lui si consuma le meningi per imparare i primi rudimenti di tedesco, io riesco a frequentare un corso di un mese con i buoni della Camera del Lavoro. Per riuscire ad averli, mi ci è voluto l'aiuto di una giovane collega di origine bulgara, che parla un italiano praticamente da madrelingua. Come vi dicevo, qualche persona positiva l'ho trovata a Radio Max. E il corso è davvero una boccata d'ossigeno per me. 

MA LA ROUTINE CONTINUA 

Tra pochi alti (la mezza maratona e il concerto di Mark Knopfler il giorno del nostro anniversario) e molti bassi (giornate e giornate di inutili news e oroscopi fasulli, farlocchi esercizi per la voce e registrazioni su registrazioni di simulazione della diretta), passa l'estate.

A settembre rivedo la reclutatrice per le periodiche lezioni formative. Alla fine di una lunghissima giornata, le chiedo, alla presenza della collega-mamma: "Quando vado in onda?". "Dipende da te", la sua risposta, e mi fa capire che, comunque, ormai ci siamo. Manca pochissimo, pochissimissimo.  E mi dà un'altra serie di esercizi per migliorare le mie performance vocali. Soprattutto, i famosi "scarti di tono" che non sto qui a spiegarvi. Ingoio il rospo e ricomincio a farli. Per fortuna ancora per poco.


COMING SOON 

A grandi passi si avvicina il compimento dello psicodramma.

Il primo segnale si manifesta venerdì 11 ottobre, intorno alle 16.30-17.

Il mio ex capo manda una mail a tutto il gruppo di lavoro, mettendo in copia il direttore di Radio Max e la responsabile delle risorse umane. Ci convoca per una riunione alla quale dovevamo essere tutti presenti, prevista il martedì successivo alle 9.30.

Capisco immediatamente di che cosa si tratti, ma cerco di mantenermi calma. Anche i miei colleghi non sembrano molto tranquilli, vista l'ufficialità del messaggio.

Tra i grandi pregi del mio ex capo, sopra tutti c'è il suo coraggio da leone. Sapete quando ci ha mandato la mail? Un attimo prima di andarsene, diretto all'aeroporto per un breve viaggio di famiglia. Immaginatevi la nostra perplessità quando il lunedì seguente, anziché dirci qualcosa sul contenuto della riunione, ci mostra le foto delle vacanze dal suo telefonino. L'altra sua notevole qualità è l'empatia, d'altra parte.

Un piccolo dettaglio, dimenticavo. In ufficio c'era anche la collega-mamma. Un'altra collega, la bionda palermitana che ha condiviso con me il piacere del licenziamento, le ha chiesto lumi sulla riunione della settimana successiva. Anche in questo caso, coraggio da leone: "Lo scoprirete martedì", dice fissando lo schermo del computer. Il suo imbarazzo, almeno quello, è evidente.

Arriva il famoso martedì.

Stanza del piano superiore, quella delle grandi riunioni.

Presenti la coordinatrice dei programmi, che l'anno prima mi aveva fatto il colloquio con i capi italiani, e la responsabile del personale. Nessuna traccia del direttore di Radio Max.

Sulla parete è proiettata una enorme slide con la scritta "Penny FM 2020".

In tedesco, con la traduzione simultanea della collega-mamma, ci dicono che la situazione economica di Penny Market non è buona e che, nonostante tutti gli sforzi fatti, nel nuovo anno avrebbero dovuto fare a meno di tre di noi. I saltati, però, non dovevano preoccuparsi: per loro ci sarebbe stata una "consistente buonuscita", unita alla possibilità di ottenere una specie di aspettativa di un anno (qui la chiamano "bildungskarenz) percependo un assegno mensile pari a circa l'80% dello stipendio, dietro l'obbligo di frequentare un corso di formazione-riqualificazione e senza diritto alla conservazione del posto di lavoro.

L'altra strada era il licenziamento classico, che in Austria dà accesso all'assegno di disoccupazione della durata variabile a seconda del periodo lavorato, comunque mai al di sotto di un anno, del valore pari a circa l'80% dello stipendio, o poco meno.

La tizia ci dice, naturalmente, di essere dispiaciuta, visto che Penny FM è stata tra le radio fondatrici di Radio Max. Poi aggiunge che di lì a pochi giorni sarebbero cominciati i colloqui per capire chi tra noi fosse interessato a restare e chi no.

Esco da lì ben consapevole che tra tutte la mia posizione era la più debole, visto che non avevo completato la famosa formazione.

Sapevo che la mia testa sarebbe saltata.


I COLLOQUI FARLOCCHI

Il nostro capo ci convoca per i colloqui. Il mio si sarebbe tenuto il lunedì successivo. Quel giorno avevo brigato per organizzare una nostra visita all'ambasciata italiana, per ricambiare quella che l'ambasciatore mesi prima aveva fatto a noi.

Dopo aver saputo quando avrei avuto il colloquio, i miei anticorpi vacillano e mi prendo due giorni di malattia.

Non l'avessi mai fatto. Nell'ordine hanno provato a cercarmi, l'ex capo, la collega-mamma e addirittura, alle dieci di sera, la reclutatrice. Non ho risposto nell'immediato a nessuno, se non alla fine dicendo che, naturalmente, avrei avuto tutto l'interesse a continuare a lavorare. Si quietano. Tanto lo sanno che il mio destino è segnato. Durante il fine settimana mi preparo spiritualmente al colloquio, ripetendomi mentalmente il discorsetto che avrei tenuto quando mi avessero chiesto le mie intenzioni.

Il lunedì mattina del 21 ottobre mi vesto anche "bene", con tailleur nero nuovo, anche in vista della visita all'ambasciata. Dopo le solite news registrate, vado al piano di sopra con il capo. Presenti la bionda coordinatrice del personale e la bionda delle risorse umane.


CICALINI RAUS

La prima non mi dà il tempo di dire nulla e mi comunica in tedesco che è molto dispiaciuta di dovermi dire che devono fare a meno di me. Benservito. Poi mi parlano della bildungskarenz e della "ricca" buonuscita finale (alla fine sapete quant'era? 1.800 euro netti. ESTICAZZI. Ma tanto, ho scoperto dopo, per la legislazione austriaca le aziende non sono tenute a darti un euro: se lo fanno, è pura liberalità).

Esco da lì in trance.

E adesso? Quindici giorni prima mio marito ha cominciato a lavorare: ha un contratto "minore" (geringefugig, come lo chiamano qui), ma è pur sempre un inizio. Bella roba.

Comincia a montarmi la rabbia. Per prima cosa, mi tiro indietro dalla visita all'ambasciata: non ho proprio niente da festeggiare.

Rifiuto subito, mentalmente e in seguito materialmente, la prospettiva della bildungskarenz: posso restare vincolata alla mia età alla frequenza di un corso di un anno in un paese straniero e senza la sicurezza di riuscire in seguito a reimpiegarmi? Cerco allora di capire se la buonuscita mi spetta anche qualora mi faccia licenziare, anche perché, in caso di rientro in patria, sapevo già che avrei avuto accesso all'indennità di disoccupazione solo in questa ipotesi.


ARBEITER KAMMER, AIUTAMI TU

Prima di prendere la decisione finale, scelgo di consultare la Camera del Lavoro di Vienna, la stessa che mi ha fornito il corso di tedesco con i buoni.

Mi fissano un appuntamento quasi quindici giorni dopo, durante i quali prendo tempo con l'azienda, prima di firmare qualsiasi cosa.

Una avvocata molto carina accoglie me, mio marito e una signora italiana conosciuta sul Nightjet con cui ho stretto amicizia, che vive a Vienna da molti anni: le ho chiesto il favore di essere presente per essere sicura di capire bene quello che mi avrebbe detto.

Per prima cosa l'avvocata mi ribadisce che le ferie prenotate a novembre, anche se non ancora maturate del tutto, ormai mi spettano. Poi mi dice che in Austria è molto più facile assumere esattamente come licenziare e che, alla fin fine, per l'uno e per l'altro, almeno inizialmente, basta un accordo a voce.

Poi mi dice un'altra cosa, dal mio punto di vista piuttosto sconvolgente, quando le mostro l'accordo riservato.

Mi dice che la cifra che mi hanno chiesto è eccessiva, mi spiega che me l'avrebbero potuta chiedere solo se l'azienda mi avesse mandato a frequentare fuori un corso, con tanto di attestato finale.

In pratica, l'accordo riservato era carta straccia. Se me ne fossi andata prima della fine dei due anni, non avrebbero potuto richiedermi indietro nemmeno un centesimo. Un penny.

In conclusione, osserva l'avvocata, già con il colloquio del 21 ottobre è cominciato a decorrere il periodo di tempo di sei settimane necessarie al datore di lavoro per mandarmi via. Secondo i suoi calcoli, posso perciò smettere di lavorare il 15 dicembre. Mi prepara quindi il testo di una lettera da spedire con raccomandata e ricevuta di ritorno, per garantirmi di terminare il rapporto in quella data. Mi fa presente che solo così riuscirò ad attivare prima possibile la pratica con l'Ams per l'assegno di disoccupazione, anche perché sotto Natale gli uffici pubblici chiudono, quindi avrei rischiato di dover rimandare tutto a dopo la fine del 2019.

Leggo attentamente la lettera che mi ha preparato, la faccio leggere alla mia amica, la firmo e una volta a casa la spedisco.

Dopo qualche giorno mi arriva la cartolina del ricevimento. E dico: ok, l'incubo sta per finire.

Invece no: l'azienda rifiuta la mia raccomandata, ma alla fine acconsente a farmi andare via il 15 dicembre, anche perché, a pensarci bene, gli costo pure di meno.

Tutto questo lo racconto solo per un motivo: è difficile spiegarsi in un'altra lingua, tanto più che sono costretta a tornare una seconda volta dalla tizia della Camera del Lavoro, stavolta solo con mio marito.


SODDISFATTA E LICENZIATA 

A quel punto ho la lettera di licenziamento in mano e lei mi dice che è tutto in regola. Precisa anche che quell'azienda non è affatto la peggiore tra quelle che di cui le hanno raccontato altre persone.

Con la coda tra le gambe, me ne torno a casa. Sinceramente, se avessi avuto qualche pezza d'appoggio per chiedere una specie di risarcimento del danno materiale e morale, l'avrei fatto. E del resto, durante il primo incontro, la bella avvocata mi ha detto che ogni volta che ha avuto a che fare con gli italiani li ha trovati molto incazzati per le divergenze tra la loro e la nostra legislazione del lavoro.

Ma, appunto, bisogna andare oltre la rabbia e cercare di concludere questo lungo resoconto con il giusto tono.

Prima di iscrivermi all'Ams, cosa che ho fatto l'ultima settimana di lavoro con impressionante rapidità, ho approfondito la trafila italiana.


NON HAI I TUOI CONTRIBUTI? NIENTE INPGI

Prima di tutto, ho chiesto lumi all'Inpgi, la previdenza dei giornalisti.

Nulla da fare: niente sussidio con loro, perché l'azienda avrebbe dovuto "ridarmi" i contributi versati, cosa che farà solo 36 mesi dopo il mio primo giorno di lavoro. Campa cavallo.

Poco meglio mi è andata con l'Inps, la previdenza ordinaria, che mi ha prospettato una indennità per rimpatriati, pari al 30% dello stipendio mensile, da attivare entro 180 dalla data di cessazione del rapporto, al netto di quanto eventualmente percepito qui in Austria. In sostanza, pochi spiccioli.

L'unica strada praticabile, insomma, era l'Ams. Da pochi giorni sono entrata nel fantasmatico mondo dei disoccupati asburgici: se e quando avrò voglia vi tedierò con le cronache dalla stanza 2016, quella in cui c'è la mia "beraterin", la mia tutor, quella dell'altra volta (tale Denise, unghie laccate e sguardo assente) o chi ne farà le veci.

 EFFETTI COLLATERALI 

In tutto ciò, non sono potuta essere a Chieti quando mio padre aveva bisogno, nei giorni di ferie che avevo preso apposta per quel motivo, inchiodata a una surreale trattativa con un'azienda che si presenta bene ma razzola male, malissimo nel mio caso.


VIELEN DANK DALLA MIA AUTOSTIMA

Suppongo che per i due giovani colleghi mandati a casa con me, il ricordo delle gesta di capi e capetti sia molto diverso ed è in fondo comprensibile. Loro almeno andavano in onda, da anni: la famosa formazione, nel loro caso, era completa da un pezzo. Niente spada di Damocle della penale, per loro, e più chance per accedere alla Naspi. Amara consolazione anche per loro, forse, ma tant'è.

Io mi sono beccata anche una lettera di referenze inutilizzabile, visto che hanno valutato il mio lavoro come "sehr gut", poco più della sufficienza, se è vero quello che mi ha detto la collega carina di origine bulgara, ossia che in Austria non si possono dare mai valutazioni negative.

Se ti danno "gut", mi ha spiegato, significa che "hai fatto cagare". Benissimo, la mia autostima vi ringrazia.

Ma andiamo avanti con il racconto.


CHIARIMENTI, PROMESSE, LACRIME

In una torrida giornata estiva, ho voluto incontrare il mio ex capo per esprimergli tutte le perplessità sul lavoro: gli ho detto chiaramente che se non ci fosse stato il vincolo della penale, molto probabilmente me ne sarei andata tempo prima (prima di trascinare a Vienna anche mio marito e i gatti, of course), ma che ovviamente, essendo io una persona seria e responsabile, non l'avevo fatto. 

Avevo invece tutta l'intenzione di andare avanti, visto che ormai la mia vita era qui, ma che era indispensabile per me non essere più trattata come l'asina della classe.  

L'ex capo ha messo su una faccia contrita e stupita, poi se n'è uscito con la solenne promessa che, al rientro dalle ferie, lui personalmente sarebbe venuto con me nello studio di registrazione per aiutarmi a completare la famosa formazione da speaker. Sapete quante volte è venuto? Nemmeno una.

Il giorno seguente ho incontrato la vice, sempre lei, la collega-mamma, e le ho fatto lo stesso discorso: si è fatta uscire pure delle lacrime e poi ci siamo abbracciate come due patetiche adolescenti prolungate. E pure lei mi ha assicurato, intanto, che ormai ero "vicinissima alla diretta" (anche se si è fatta sfuggire un "è colpa tua se non sei ancora andata in onda". Inevitabile la mia reazione: "Non parliamo di colpe, non è proprio il caso", detto con occhi di fuoco) e che tutto stava per risolversi al meglio.

Parzialmente sollevata dalle loro promesse e rassicurazioni, ho festeggiato il mio compleanno in Italia e poi me ne sono tornata qui passando agosto e buona parte di settembre tra news, oroscopi, esercizi e simulazioni. Convinta che ormai la diretta fosse vicina.

Ma ormai tutto questo è storia.

Fuori nevica, mentre a Chieti stanno dando l'ultimo saluto a zia Zita. Ho commesso l'errore di scrivere di lei su Facebook: mi è sembrato di violare la sua privacy, ma posso assicurarvi che il mio dolore è autentico.

Per colpa di questa gente, diciamola tutta, sono qui a scrivere di lei e non al suo funerale.

Non mi era mai capitato di essere trattata così e spero che non mi capiti mai più. 

Ma ora è davvero tempo di chiudere, questo post e questa storia.


UN TAGLIO DOPO L'ALTRO

Giusto una postilla finale: Radio Max ha tagliato personale anche nei gruppi di altri Paesi. Non è la prima volta che agisce così: mi è stato riferito che già due anni fa, o comunque poco prima che io arrivassi, era successo qualcosa del genere. 

Dubito che non sapessero, perciò, che le acque nel mercato della grande distribuzione fossero un tantino agitate anche dopo, ai tempi del mio casting e del successivo trasferimento. 

E del resto si sa che il lavoro può cambiare e per un giovane non è un grosso problema rimettersi in gioco per trovare qualcos'altro.

E poi ero io fuori luogo, ve l'ho detto.

Non avrebbero dovuto assumermi. Tutto qua. 

Ormai è andata, e in fondo, di loro non mi importa più.


VERRA' UN GIORNO 

Una piccola soddisfazione, però, vorrei prendermela.

Lavorando per loro ho scoperto che i bilanci annuali delle aziende, almeno in Austria, vengono presentati a settembre. Se sarò ancora qui per quella data, voglio proprio vedere se il neon luminescente verdognolo sopra il grande portone d'ingresso della magnificente sede sarà ancora acceso.

Se non dovesse esserlo, PROSIT con champagne.

Nella eventualità tragica in cui io sia diventata nel frattempo un caso sociale per l'Ams (entro giugno mi devo ricollocare o ciccia, fine del sussidio), mi accontenterò anche del Tavernello.

Comprato da Interspar o Hofer, la concorrenza. Dove naturalmente vanno anche tutti i dipendenti di Radio Max, salvo nascondere i prodotti incriminati durante qualche visita ufficiale dei super manager.

Ma su questo, in fondo, non c'è di che stupirsi.

E' solo marketing, schoene Leute.