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mercoledì 17 giugno 2015

Le prime piantine e le cose che contano

 

 

Ho comprato i gerani cascanti e l'ibisco dalla mia ex edicolante di Fermo, che adesso gestisce un negozio di fiori qui a Lu Portu. Mi sembrava di buon auspicio, anche se, come la stessa mi ha fatto notare, ho pagato per l'acquisto 13 euro.
Superstiziosa un pochino lo sono, ma le ho detto che sarebbe stato peggio se il totale fosse stato 17 e che, comunque, il 13 è ritenuto un numero fortunato, almeno per qualcuno.

Insomma, il processo di ambientamento continua. Stamattina ho pure stretto la mano a ben due vicine di casa: la dirimpettaia è un'insegnante di origine pugliese, la giovane donna dell'appartamento di sotto speculare al mio è una mamma di origine napoletana.
Nel palazzo, credo, siamo in diversi a non essere nativi del posto e la cosa mi piace.
Sembra quasi di essere in città, in questo modo.

Ho ancora qualche cartone da aprire e diverse cosette da sistemare, ma continuo a pensare che non mi corre dietro nessuno, anche se il rischio "accrocco" mi spinge (debolmente, ve l'assicuro) a studiare le soluzioni migliori, compatibilmente con le mie finanze bucherellate.

E però nemmeno oggi riesco a scrivere degli operai e dei traslocatori: sono piuttosto distratta e stanca.
Volevo giusto mandare un segnale di vita a chi, di tanto in tanto, passa di qua onorandomi non poco.

Giusto dietro l'angolo ho scoperto l'esistenza di un negozietto di alimentari, di un panificio e persino di una pescheria. Mi sembra tutto incredibilmente a portata di mano, non ci sono proprio abituata.

Queste piccole fortunate esplorazioni mi hanno fatto sorridere e al contempo immalinconire: le avrei raccontate con gioia a mia mamma. Con mio padre è tutto molto diverso, anche se, nella telefonata quotidiana che ci facciamo in genere dopo pranzo, sentirlo parlare di sé e dei suoi ricordi di gioventù mi intenerisce assai.
Certe volte è quasi logorroico, incredibile per un uomo che tutti hanno sempre considerato taciturno. Spero che riesca a venirmi a trovare.
Bisogna fare di tutto perché ciò accada.

Proprio oggi nelle repliche di In Plain Sight, che sta mandando in onda Top Crime proprio in questo periodo, si parlava di padri e di famiglie.
Se non conoscete Mary Shannon-Shepard e le sue scombinatissime mamma (a me e mio marito ricorda molto un'amica o quel che pensiamo diventerà tra una ventina d'anni) e sorella, non potete capire che divertimento, commozione e processo immaginativo sviluppa sugli spettatori questo magnifico telefilm.

Guardandolo, ho alcune conferme sulle cose che contano, per me e per le persone che amo. Penso anche all'importanza di impegnarsi a fondo e al dovere di dare una mano a chi ti ha dato tanto.

Spero di riuscire a occuparmi degnamente anche delle piantine. Ciò che ci preme va coltivato. Con costanza. E serenità. Il più possibile, naturalmente.

Alla prossima (con Mondo Operaio, promesso).

giovedì 18 aprile 2013

Conto in rosso? Non per i nostri avatar


Mary Shannon, alias Mary Shepard per i testimoni che sta proteggendo in qualità di US Marshal, la squadra speciale della polizia a stelle e strisce creata apposta per tenere fuori dai guai gli ex delinquenti che hanno deciso di uscire dal giro, è una tipa tostissima. All'apparenza. Ma anche nella sostanza. Il che non vuol dire, però, che non abbia le sue fragilità, a cominciare dalla sua difficoltà di fare pace con l'universo maschile e anche con la sua femminilità. Il personaggio protagonista di In plain sight, un serial che La7d sta mandando in onda, in ordine veramente sparso, in questo periodo a ora di pranzo, si chiama davvero Mary, ma oltre al cognome vero e unico (Mccormack) nella realtà sembra essere tutt'altra persona.
Nata nel 1969, questa affascinante attrice ha ben tre figli e un marito da lungo tempo. Simile è la biografia del suo partner televisivo, il "Marshal Marshall" Mann, classe '66 e una faccia che è tutta un programma. Anche lui (che nella vita si chiama Frederick Weller) è tre volte padre e ha una moglie da un po'.
Con questo non sto dicendo che si debba fare tutti come loro, ma solo che trovo riposante constatare che anche nel conturbante mondo del cinema (e poi e poi) vi possano essere persone così, all'apparenza normali.
Dopodiché, trovo altrettanto interessante che proprio attori dalla vita quieta (e suppongo felice) interpretino ruoli scombinati come i loro. In particolare, il velo di tristezza che percorre il viso di Mary, evidentissimo nella foto sopra riportata tratta dal telefilm, è conseguenza della sua infanzia senza padre e del peso di doversi occupare di una madre-bambina e di una sorella ancora più problematica. L'ironia molto british del suo collega, invece, rivela un altrettanto difficile rapporto con il padre, ma anche una sensibilità fuori dal comune per un poliziotto medio. E del resto, per stare dietro alle vite in prestito dei loro protetti, occorre essere persone speciali.
Perché vi sto parlando di In Plain Sight e di Mary e di Marshall e dei loro alias reali (come scrivo di me nel mio profilo)? Perché mi sono accorta di amare la specialità della normalità, di quelli che non devono appiccicarsi addosso delle maschere pur di essere qualcuno.
O meglio: di quelli che usano consapevolmente le maschere che di volta in volta la società ci chiede di ricoprire, senza affezionarsene a una in particolare o, peggio, farsene schiavizzare.
Perché, alla fine, c'è sempre una vita reale, una casa, un compagno, i figli (i gatti o i pesciolini nella boccia, in alternativa. O pure niente), ai quali tornare.
Mi dispiace solo di vivere in un Paese in cui tutto questo è reso estremamente arduo. Non voglio fare la solita lagna sul futuro che ci è stato rubato e sulla precarietà-mangia autostima.
Però è un dato di fatto che quando il presente (altro che futuro) non ci piace, siamo più soggetti che in altri momenti al bisogno di inventarci degli avatar di noi stessi più accettabili.
Di qui i sette miliardi di autoritratti che spariamo sui social network e l'urgenza di raccattare quanti più "Mi piace" possibile. Io stessa, non lo nascondo, ogni tanto indulgo nell'attenzione ombelicale a me stessa, voce e movenze comprese (ho scoperto giusto l'altro giorno quanto sia facile caricare su Youtube un video con la nostra faccia che spara cazzate davanti alla webcam).
Però, poi, al contrario di quanto possono fare gli attori Mary e Frederick, molti di noi non hanno una casa e una vita normale alla quale tornare, in pace con il loro io sociale moltiplicato sugli schermi di tutto il mondo, con figli da crescere e lavatrici da mandare.
O forse sarebbe più corretto dire che la nostra realtà è molto più fosca e nebulosa di quanto vorremmo mostrare con i nostri nickname sbarazzini.
Nel 2012 ho guadagnato meno di cinquemila euro.
E' questa la realtà, altro che emoticon fintamente tristi.
La tristezza fa parte della vita, va bene, ma in una maniera assai più profonda di quanto si possa digitare sulla tastiera di un pc.
E per favore: non ditemi che i soldi non fanno la felicità. Chiediamolo anzi a Mary e a Frederick se sarebbero così bravi a interpretare i loro personaggi se lavorassero praticamente gratis.
So bene anch'io che la felicità non passa solo dal denaro, ma qual è il sogno che non ha un prezzo?
Detto questo, continuerò a entusiasmarmi alle attività e ai progetti che mi appassionano di più, tentando però di non dimenticarmi di dare un'occhiata periodica al mio estratto conto.
Sono sicura che la Mary Shannon-Shepard che vive in me sarebbe d'accordo e mi schiaffeggerebbe anche se mi vedesse indulgere ancora nei miei duri a morire sogni adolescenziali. Marshall, invece, prenderebbe in giro per la mia romantica inconsapevolezza, affezionandocisi anche un po'.