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giovedì 18 aprile 2013

Conto in rosso? Non per i nostri avatar


Mary Shannon, alias Mary Shepard per i testimoni che sta proteggendo in qualità di US Marshal, la squadra speciale della polizia a stelle e strisce creata apposta per tenere fuori dai guai gli ex delinquenti che hanno deciso di uscire dal giro, è una tipa tostissima. All'apparenza. Ma anche nella sostanza. Il che non vuol dire, però, che non abbia le sue fragilità, a cominciare dalla sua difficoltà di fare pace con l'universo maschile e anche con la sua femminilità. Il personaggio protagonista di In plain sight, un serial che La7d sta mandando in onda, in ordine veramente sparso, in questo periodo a ora di pranzo, si chiama davvero Mary, ma oltre al cognome vero e unico (Mccormack) nella realtà sembra essere tutt'altra persona.
Nata nel 1969, questa affascinante attrice ha ben tre figli e un marito da lungo tempo. Simile è la biografia del suo partner televisivo, il "Marshal Marshall" Mann, classe '66 e una faccia che è tutta un programma. Anche lui (che nella vita si chiama Frederick Weller) è tre volte padre e ha una moglie da un po'.
Con questo non sto dicendo che si debba fare tutti come loro, ma solo che trovo riposante constatare che anche nel conturbante mondo del cinema (e poi e poi) vi possano essere persone così, all'apparenza normali.
Dopodiché, trovo altrettanto interessante che proprio attori dalla vita quieta (e suppongo felice) interpretino ruoli scombinati come i loro. In particolare, il velo di tristezza che percorre il viso di Mary, evidentissimo nella foto sopra riportata tratta dal telefilm, è conseguenza della sua infanzia senza padre e del peso di doversi occupare di una madre-bambina e di una sorella ancora più problematica. L'ironia molto british del suo collega, invece, rivela un altrettanto difficile rapporto con il padre, ma anche una sensibilità fuori dal comune per un poliziotto medio. E del resto, per stare dietro alle vite in prestito dei loro protetti, occorre essere persone speciali.
Perché vi sto parlando di In Plain Sight e di Mary e di Marshall e dei loro alias reali (come scrivo di me nel mio profilo)? Perché mi sono accorta di amare la specialità della normalità, di quelli che non devono appiccicarsi addosso delle maschere pur di essere qualcuno.
O meglio: di quelli che usano consapevolmente le maschere che di volta in volta la società ci chiede di ricoprire, senza affezionarsene a una in particolare o, peggio, farsene schiavizzare.
Perché, alla fine, c'è sempre una vita reale, una casa, un compagno, i figli (i gatti o i pesciolini nella boccia, in alternativa. O pure niente), ai quali tornare.
Mi dispiace solo di vivere in un Paese in cui tutto questo è reso estremamente arduo. Non voglio fare la solita lagna sul futuro che ci è stato rubato e sulla precarietà-mangia autostima.
Però è un dato di fatto che quando il presente (altro che futuro) non ci piace, siamo più soggetti che in altri momenti al bisogno di inventarci degli avatar di noi stessi più accettabili.
Di qui i sette miliardi di autoritratti che spariamo sui social network e l'urgenza di raccattare quanti più "Mi piace" possibile. Io stessa, non lo nascondo, ogni tanto indulgo nell'attenzione ombelicale a me stessa, voce e movenze comprese (ho scoperto giusto l'altro giorno quanto sia facile caricare su Youtube un video con la nostra faccia che spara cazzate davanti alla webcam).
Però, poi, al contrario di quanto possono fare gli attori Mary e Frederick, molti di noi non hanno una casa e una vita normale alla quale tornare, in pace con il loro io sociale moltiplicato sugli schermi di tutto il mondo, con figli da crescere e lavatrici da mandare.
O forse sarebbe più corretto dire che la nostra realtà è molto più fosca e nebulosa di quanto vorremmo mostrare con i nostri nickname sbarazzini.
Nel 2012 ho guadagnato meno di cinquemila euro.
E' questa la realtà, altro che emoticon fintamente tristi.
La tristezza fa parte della vita, va bene, ma in una maniera assai più profonda di quanto si possa digitare sulla tastiera di un pc.
E per favore: non ditemi che i soldi non fanno la felicità. Chiediamolo anzi a Mary e a Frederick se sarebbero così bravi a interpretare i loro personaggi se lavorassero praticamente gratis.
So bene anch'io che la felicità non passa solo dal denaro, ma qual è il sogno che non ha un prezzo?
Detto questo, continuerò a entusiasmarmi alle attività e ai progetti che mi appassionano di più, tentando però di non dimenticarmi di dare un'occhiata periodica al mio estratto conto.
Sono sicura che la Mary Shannon-Shepard che vive in me sarebbe d'accordo e mi schiaffeggerebbe anche se mi vedesse indulgere ancora nei miei duri a morire sogni adolescenziali. Marshall, invece, prenderebbe in giro per la mia romantica inconsapevolezza, affezionandocisi anche un po'.

lunedì 5 marzo 2012

Le passioni che premiano


Quella che sto per raccontare è una piccola storia di determinazione premiata.
Con la testa (e il cuore) sono già a domani sera, al buio che scende prima che si alzi il sipario e alla luce che lentamente mi mostrerà sul palcoscenico una piccola, fortissima donna che ho inseguito per oltre un anno intero.
Non ho idea se "Non tutto è risolto" mi piacerà davvero, ma quando stamattina ho sentito la tremolante voce di Franca Valeri raggiungermi direttamente a casa mia, mi è sembrato che non fosse passato neanche un giorno da quelli, intensi, appassionati in cui cercavo di conoscerla al meglio delle mie possibilità.
All'origine di tutto, c'è stata la sua autobiografia: ho letto "Bugiarda no, reticente" due volte, la prima, fulminante, in cui mi sono convinta in maniera chiara che sì, DOVEVO a tutti i costi mettermi in contatto con lei. La seconda, per impararne quasi a memoria i passaggi salienti della sua vita, o almeno quelli che lei aveva voluto mettere in risalto.
Naturalmente, già prima di approfondire vita e opere di questo importante personaggio della cultura italiana (e non solo) sapevo che nel parlare con lei mi sarei sentita piccola piccola e che, una volta chiusa la telefonata, sarei rimasta con la stessa (o quasi) autentica fame di conoscenza vagheggiata prima del contatto.
Però sono straordinariamente felice lo stesso, perché la mezz'ora che mi ha regalato, tra i latrati lontani di Roro IV e le valigie da finire per la partenza verso la tappa della tournée in cui potrò finalmente rivederla dopo tanti anni, mi ha restituito un pezzetto della quotidianità di una persona speciale, nella sua acutezza fragile e sincera.
I passaggi più importanti? L'immagine di lei circondata dai suoi animali, Roro e i due gatti di casa, assai simili ai cani, a suo giudizio, proprio perché domestici e l'affermazione che, se potesse, adotterebbe tranquillamente anche una scimmia e una tigre.
Lo sapevo già, mi verrebbe da dire, ma sentirlo direttamente dalla sua voce è tutt'altra storia.
La scrittura di questa nota è stata interrotta da una telefonata che dire inutile è poco.
A proposito dei tempi cambiati e delle arti improvvisate, purtroppo non credo proprio che una giovane Franca Valeri oggi avrebbe le stesse possibilità della generazione dei miei nonni. Per quanto fossero tempi difficili, segnati dal fascismo, dalla guerra e dalla povertà, oggi è decisamente peggio. Péggio, come ha detto la signora Norsa con lieve accento milanese, non del tutto scalfito dai lunghi anni trascorsi nella capitale.
E comunque oggi sono felice. E non c'è nessun ritorno alla realtà (triste e squallida, alla Moretti e il suo Siro Siri) che potrà farmi cambiare umore.