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sabato 24 ottobre 2020

Vivere all'estero - genesi ed epilogo di un esercizio di tedesco

Lo so, continuo a violare l'Abc della comunicazione online, ma direi che a quasi cinquant'anni me lo posso anche permettere.

Dopo questo incipit garrulamente sarcastico, aggiungo una breve precisazione sull'immagine sopra riportata, fitta di oscure parole germaniche.

Si tratta di un esercizio di scrittura, che mea sponte ho voluto ammannire al prof di tedesco. Mancano ormai poche settimane alla fine del mio secondo e presumo ultimo corso di questo splendido 2020, per cui ho deciso di farlo fruttare finché Corona non ci separi.

Eh sì, perché non è mica detto che riusciremo a concluderlo in presenza, vista la crescita di casi persino nella Felix Austria, dove la gggente ha fatto scorta come ogni fine settimana di birre&carta igienica, felice stavolta di avere un giorno più per sfondarsi.

Mi spiego meglio: qui lunedì è la Festa della Repubblica, ossia tutto chiuso e sbarrato a partire dalle 18 di oggi fino a martedì prossimo, un lungo auto lockdown che farà impazzire di gioia prima i consumatori seriali di lattine, dopo l'efficiente (speriamo) sanità nazionale.  

Scusatemi, ma una volta che mi parte la vena sarcastica, faccio fatica a controllarmi.
Torno al punto. 

In vista della lezione di ieri, il prof ci aveva chiesto di riflettere sul tema "Vantaggi e svantaggi di vivere all'estero". L'argomento era stato scelto democraticamente dalla classe. Ognuno di noi avrebbe dovuto indicare quali fossero i personali Pro e Contro e da lì, sempre secondo il prof, avremmo dovuto "streiten", discutere.

Bene: pur se dotata della vena sarcastica di cui blateravo poco fa, non amo molto i dibattiti, forse per via della mia piccola voce. Perché è sicuro che a un certo punto di qualsiasi scambio di pareri, anche del meno acceso, intendo, finirà per predominare chi parla più forte.

Nella mia classe, ad esempio, c'è un russo, simpaticissimo, brillante e ironico come pochi, che però, ahimè, non è capace di modulare il tono. Il suo banco monoposto (senza rotelle) è nella fila dietro la mia e, a occhio e croce, tra noi ci saranno almeno due metri. 
Eppure: ogni volta che parla, è come se mi condannassero a stazionare nei pressi della mia lavatrice quando parte la centrifuga. Provate un po' voi a sovrastare il suono di una centrifuga rumorosa. Io, di certo, non gliela fo.

Quindi, con sano e demodé spirito pratico teatino, ho buttato giù i miei "Vorteile" e "Nachteile" dello stare in Austria, in maniera anche da avere una traccia scritta, in caso di necessità.

Il russo di cui sopra ha vissuto in vari Paesi, quindi la sua visione non poteva che differire totalmente non solo dalla mia, ma anche dalla maggioranza del resto della classe.

Di certo, ascoltandolo (in silenzio, aspettando che tacesse per potergli fare delle domande senza rischiare di compromettere le corde vocali), ho capito che di sicuro non potrei vivere né in Svezia né in Norvegia. "Troppo freddo, mica come qui a Vienna?", ha detto il nostro biondissimo giramondo.

Insomma, alla fine non c'è stato un vero dibattito: anche se non tutti abbiamo esattamente la stessa idea dell'Austria, ognuno ha potuto raccontare la propria esperienza, in un'atmosfera distesa, benché sottilmente malinconica. 
 
A dirla meglio, ho avuto proprio l'impressione che tutti, compresa io, volessimo farci forza a vicenda ascoltando il racconto dell'altro.

Il vantaggio principale?
Imparare una lingua nuova. E' incredibilmente arricchente e tiene il cervello in allenamento, ha detto mi pare la sveglia giovane mamma rumena. La sua vicina di banco, una dolcissima trentenne di origine bulgara, molto più minuta di me, ha aggiunto che vivere all'estero aiuta ad "allargare gli orizzonti". Gliel'avevo già sentito dire, ma stavolta mi ha fatto ancora più simpatia, perché ho pensato alla fatica che sta facendo per mantenersi, lavorando nella cucina di un pub, tra austriaci che le parlano in dialetto.

"Qui c'è la sicurezza", ha precisato la giovanissima afgana, la mia vicina di banco velata, due occhi da principessa mediorientale, che ha parlato di quanto sia stato difficile all'inizio, circa due anni fa, capire e farsi capire. Nonostante qualche sguardo critico rivolto al suo capo coperto, dice che Vienna le piace perché è piccola (!) e piena di cultura e natura.

Il principale svantaggio?
La distanza dagli affetti, dalla famiglia in particolare, più che dagli amici. Di questi ultimi, la giovane mamma rumena ha raccontato di come i suoi siano spariti, dopo un po' che si era trasferita. "Eppure ci sono le tecnologie, potremmo sentirci facilmente - ha precisato - ma evidentemente non erano interessati davvero a me". 

Per la lontananza dalla famiglia soffre molto la giovane mamma moldava, la Miss della classe, dotata di un incantevole visino di porcellana. Con una voce se possibile ancora più flebile della mia, ha detto che le manca la vita che faceva nel suo Paese (che ho scoperto essere un grande produttore di vino, grazie a un altro esercizio che ci aveva assegnato il prof). Le manca sua madre, ha sottolineato, e poi, povera, l'infanzia che ha trascorso lì.

Per chi ha figli, come lei e qualcun altro, ho l'impressione che possa essere ancora più complicato interagire con i nativi. 
Il vicino di banco della moldava, un cantante lirico rumeno molto amabile e scherzoso, ha parlato dei gruppetti di bambini che giocano rigorosamente divisi per nazionalità, come ha potuto osservare quando accompagna suo figlio al parco. 

Razzismo in Austria? Il tema è stato solo sfiorato, ma nessuno, in effetti, ne ha parlato apertamente, forse perché è sempre troppo vivo in tutti gli Ausländer, che cercano di costruirsi una nuova vita, il ricordo delle file dal Magistrat per farsi rilasciare i documenti, la scortesia di alcuni impiegati, i controlli di polizia, presumo più severi per i non europei. 

Tutto liscio, nessuna polemica? Direi di no. C'è stato però un solo intervento, quello del giovane istruttore subacqueo egiziano, che ha asserito, piuttosto lapidario: "Integrazione? No, grazie: non ne ho bisogno". 

Che cosa voleva dire?
Nulla, o per meglio dire, tutto.
Quando era ancora al Cairo, ha raccontato, si è sentito non di rado un "Außerseiter", ossia uno che stava da un'altra parte, uno fuori dal coro. 

"Anziché parlare di come gli austriaci vedono gli stranieri, ognuno di noi si dovrebbe chiedere: ma quando vivevamo a casa nostra noi personalmente quanti stranieri conoscevamo?", ha sottolineato, "quanti, voglio dire, erano nostri amici intimi? E non parlo solo degli stranieri, ma anche degli altri 'diversi', omosessuali, trans e via dicendo. Che cosa vuoi che conti la razza? Wir sind alle Tiere!".
Che significa: "siamo tutti animali". 

Il giovane egiziano ha due occhi neri neri e una parlantina molto vivace. 
Non è felicissimo dell'Austria, me l'ha detto a parte una volta, durante una pausa, ma evidentemente l'origine del suo scontento non ha niente a che fare con la razza, la sua e quella di chi ci ospita. 

E in effetti, riflettendoci, gli dò ragione.

Se dovessi riassumere in una parola qual è il sentimento che accomuna tutti noi espatriati, userei spaesamento.

Prima o poi lo proviamo tutti. Per qualcuno non va via facilmente, altri lo mettono a tacere pur avvertendolo sempre almeno un po'. Altri ancora, i più fortunati, dal mio punto di vista, smettono di soffrirne. 
E si sentono finalmente a casa.

Non so dirvi se mai succederà anche a me, tenendo conto anche delle ragioni che mi hanno spinta fin qui. 

Però, come ho scritto nell'esercizio, sufficientemente diplomatico per essere diffuso nell'universo telematico (per chi riuscirà a decifrarlo: apropos, riporto la versione corretta dal prof. Se ci sono errori residui prendetevela con lui!), sono curiosa di vedere che cosa mi riserva il futuro.

Ma la cucina austriaca non mi piacerà mai! 
 
Scommettiamo?
;)