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martedì 7 gennaio 2014

Fermo di Sualzo, la vita oltre il panico



Natale 2013: davvero memorabile.
Sono, siamo, stati bene e oltretutto, nonostante il gran casino prodotto dalla festosa presenza dei nipoti, sono pure riuscita a leggere un po'.
Fermo, il libro a fumetti che vedete sopra, mi è stato regalato da mia sorella (e relativo coniuge), inizialmente attratta, com'è facilmente intuibile, dal titolo. Prima di incartarlo, però, l'ha letto, persuadendosi ancora di più che potesse essere adatto a me. E infatti aveva ragione.

"Fermo" è esattamente quel che era per me prima di venire ad abitare nell'omonimo sostantivo nome del piccolo comune marchigiano distante pochi chilometri dal mare Adriatico.
Fermo è stato, per un anno intero, il protagonista della storia scritta da Sualzo, pseudonimo di Antonio Vincenti, che si descrive sul risvolto della quarta come "sassofonista mancato e disegnatore autodidatta, interessato alle cose del mondo".

Come ho già sottolineato in altri post, io non so disegnare, ma adoro le storie disegnate, in generale mi interesso alle cose del mondo e sono abbastanza un'autodidatta di quasi tutto quel che mi capita a tiro. Questo solo per dire che non sono in grado di dirvi se il tratto usato dall'autore di Fermo sia o meno buono.
Di certo è il sincero specchio di una visione del mondo malinconica e insieme ironica quanto basta.

Sebastiano, questo il nome del protagonista della storia, resta "fermo" a Bibbiena per oltre un anno per svolgere il Servizio civile. L'anno dopo, racconta all'inizio, la leva obbligatoria sarebbe stata abolita, ma essendo lui uno studente bloccato a un tot di esami dalla laurea, sceglie di fare l'obiettore come una sorta di male minore, convinto che l'avrebbero spedito in qualche deserta biblioteca a pochi minuti da casa.
E invece la destinazione che gli assegnano è parecchio lontana, non solo geograficamente.

Proprio a lui, che soffre di attacchi di panico da quando aveva sedici anni, tocca di occuparsi di malati, psichici e fisici. Il suo compito, a dire il vero, non è poi così difficile: come gli spiega l'impiegata comunale che segue i ragazzi del Servizio civile, basterà che faccia loro un po' di compagnia, per dare ai familiari la possibilità di prendersi qualche ora di libertà. Se poi fosse riuscito anche a provare anche dell'affetto, beh, sarebbe stato ancora meglio. Ma non indispensabile.

Sebastiano è però di quel genere di persone che sanno entrare in empatia con gli altri, lo si capisce pagina dopo pagina, striscia dopo striscia.
E d'altra parte dubito che un'esperienza del genere non lasci traccia alcuna, anche sulle scorze più dure.
Il rischio di cadere nella retorica c'era, insomma, ed è proprio per questo che ho particolarmente apprezzato il tono sensibile ma non buonista adottato da Sualzo anche nella descrizione della tragedia, in fondo da tutti aspettata (anche da chi legge), che a un certo punto interviene nella storia.

Allo stesso modo, ho trovato molto felice la titolazione dei capitoli, rubata qui e là da canzoni (una scelta piuttosto obbligata per un musicista come l'autore) e i brani poetici riportati in fondo alla pagina di apertura di ciascuno di loro.
L'ultimo mi si è conficcato quasi sotto la pelle. E' una poesia (credo intera, ma non ne sono certa) di J. Twardowski, un autore che non avevo mai sentito nominare (e scusate l'ignoranza). S'intitola Contro di te e dice:

Prega per quello che non vuoi affatto
di cui hai paura come uno scoiattolo della pioggia
da cui fuggi come un'oca sempre più lontano
e tremi come in un soprabito senza imbottitura d'inverno
da cui ti difendi con tutte e due le mascelle

inizia finalmente a pregare contro di te
per ciò che è più grande e viene da solo.

Non credo di essere capace (anzi ne sono sicura: non lo so fare) di pregare contro di me, ma so che cosa significa pregare perché quella crisi arrivi, prima o poi. Perché una volta che è arrivata, così come è arrivata, poi passa.

Se non ho male interpretato il finale del libro, Sebastiano e il suo alter-ego Sualzo superano definitivamente gli attacchi di panico proprio dopo l'anno di "fermo" a Bibbiena. Se così non fosse, non importa: con il panico, o qualunque altro demone alberghi nei nostri cuori, si può convivere. Certo che si può.

L'importante è imparare a non fuggire, ma a starci, dentro i nostri demoni, dentro i nostri fermi interiori.
E' forse questo il segreto della vita?
Penso di sì, ma non ho la pretesa di dettare ricette universali.
Come penso non ce l'abbia neanche Sualzo, che è stato davvero molto bravo nel mescolare la realtà e la fiction, come solo i grandi tessitori di storie sanno fare.

E adesso l'anno nuovo può finalmente cominciare.
Demoni miei, vi aspetto al varco.

mercoledì 13 novembre 2013

Lou! e lo storytelling di me stessa



In attesa di capire se e quando cambierò la natura di questo blog, torno al mio personal storytelling (a proposito: ho finalmente scoperto di che cosa si tratta) per parlavi di Lou! , un fumetto di origine francese che ho scovato del tutto casualmente nella fumetteria di Civitanova Marche. L'unica della cittadina della costa marchigiana, fino a prova contraria.
Le coincidenze sono davvero troppe perché non ne parlassi, almeno un attimo.

Nel numero che ho comprato io la ragazzina bionda, bassina e sognatrice, sta per compiere quattordici anni, ma se ho ben compreso, le sue avventure partono quando ne ha ancora dodici.
Gli album sono realizzati come fossero pagine del suo diario, uno dei molti che ho tenuto pure io più o meno proprio dall'età del personaggio partorito dalla matita (china? pastelli? chissà) di Julien Neel, il disegnatore che ha dato vita - sempre se ho capito bene - a una vera e propria "lou-mania" tra le coetanee in carne ed ossa della ragazzina disegnata. Oltre ai fumetti, sono stati realizzati anche dei cartoon, ma da quel poco che conosco della programmazione tv nazionale dedicati ai bambini, non mi sembra che Lou! sia arrivata anche sui nostri schermi.

Torniamo alle coincidenze. Oltre ai centimetri scarsini (ma Lou potrebbe ancora diventare una stangona, io, evidentemente, no) e ai capelli chiari e lunghi (li ho portati per anni come lei), abbiamo in comune anche il gatto: o meglio, uno dei due gatti, che è grigio come il suo, ma a differenza del suo il mio è femmina e ha anche un nome. Cos'altro ancora?

L'anno prima della storia che ho letto io sembra che abbia avuto una mezza cotta per un coetaneo che si chiama Tristan... ehm, più o meno alla sua età mi piaceva moltissimo un ragazzino che si chiamava CRistian! Nel mio numero, però, sembra essere in dubbio su un tale Paul, che al momento continua a considerare solo un amico... mio marito sapete come si chiama? E vabbè. Ultima analogia: Lou è nata d'estate, anche se non ho idea in quale giorno e mese. Beh. Inserendomi (aprendo, anzi) una lunga schiera di cugini di parte materna e paterna, anch'io sono nata d'estate. Nel cuore dell'estate, per la precisione.

Mi ha fatto poi molto ridere che la mamma di Lou sia una scrittrice di fantascienza un po' (un bel po') svagata, in conflitto con la madre. Quest'ultima, alla fine, si rivela la prima vera promoter del libro d'esordio della figlia, che va a vendere personalmente nella fiera del paese mettendo su, in quattro e quattr'otto, un banchetto. Mia madre sta facendo lo stesso con me, anche se in questo caso la corrispondenza è un tantino stiracchiata.

E insomma: Lou! mi ha divertito, distratto e fatto pensare, giocosamente, a chi ero e a chi sono.
Spero di riuscire a trovare altri numeri.
Dunque che ne dite: vado bene come storyteller di me stessa?
Mumble, mumble, direbbe Lou, mentre cerca di trovare l'ispirazione affacciata all'ultimo piano di un brutto palazzo di periferia.
Quanti pomeriggi ho passato sul balcone dei miei con analogo spirito.

martedì 22 maggio 2012

Della pioggia e del fumetto intellettuale

Maledetta primavera
Lo confesso: ho rubato l'idea della didascalia a Massimo Del Papa e il suo super-accessoriato (grazie alla moglie, diciamolo!) Babysnakes.
La frase prescelta, invece, mi è venuta particolarmente facile, visto il tempo di M. che imperversa in tutta Italia, specchio fedelissimo di tempi non molto allegri.
E però stasera sono qui quasi per caso. Ho infatti acceso per cercare informazioni su Blutch, disegnatore nato a Strasburgo (dunque francese per sole ragioni storiche... eh eh eh), di una cupezza per me a tratti disturbante, benché, alla fine, sia già il terzo fumetto (ebbene sì, preferisco chiamarli alla vecchia maniera: graphic novel mi sta sulle balle) che compro e leggo. Della sua biografia, insomma, avevo già letto, ma non me la ricordavo più, come spesso mi accade quando navigo su internet.
In ogni caso, il suo ultimo lavoro sul cinema (mio altro grande difetto è non rammentare mai i titoli esatti né dei libri né tanto meno delle canzoni) mi ha fatto il solito effetto, ossia mi ha mal disposto, ma alla fine l'ho letto tutto e pure quasi due volte. Sì, perché c'è qualcosa nel turbamento fastidioso, un po' sporco, che mi causa questo disegnatore dal tratto molto raffinato che alla fine mi attira. Forse, per l'appunto, è proprio merito del suo modo di disegnare, fatto di alternanze di chine (immagino) a matite (presumo ancora) più spesse. In modo particolare sono rimasta colpita dai volti delle star del cinema da lui riviste e corrette. Meglio di fotografie, assai più reali ed espressive, decisamente.
Insomma, volevo ripassarmi chi diavolo fosse. Sorprendentemente, ho constatato che ha solo quattro anni più di me, ossia è del 1967, stesso anno di nascita di mia sorella. Oddio, non che dovesse essere un matusalemme, ma dal modo di parlare del cinema e dal tipo di provocazioni che lancia, ero convinta che ne avesse almeno una cinquantina, che appartenesse, insomma, alla generazione di Igort, Mattotti etc etc, ossia di quelli che erano ragazzi negli anni Settanta. Mi rendo conto dell'inutilità della mia deduzione, anche perché il disturbante Bluch non è italiano e quindi perché mai avrebbe dovuto incarnare gli stessi stilemi della generazione nostrana coeva al terrorismo rosso-nero? E però non so: forse è proprio per quel suo modo di provocare, all'apparenza anti-tecnologico, pre-era cellulari-smartphone-social media etc etc, che mi era sembrato più vecchio. Il che, dal mio punto di vista, non è del tutto un male (stasera Severgnini dalla Gruber sembrava un bambinone invecchiato con il suo citare twitter per la stramilionesima volta). Soltanto, mi domando, alla Antonio D'Orrico: perché il fumetto-graphic novel deve far star male? Perché deve per forza angosciare almeno un po'? Forse, azzardo, perché così fa più intellettuale? Chissà.
O sarà che davvero sono io che sto invecchiando e non sopporto più le pesantezze gratuite?
Diciamo così: è probabile che i disegni di Blutch mi piacerebbero di più se fossero privi di testo.
E allora perché sto qui a farne un poema aggiungendo altre inutili parole?
Perché l'autoreferenzialità è insidiosa e spinge a digitare anche quando sarebbe meglio finirla qui.
E infatti la finisco con una postilla riguardante la fotografia e questo spazio.
Più vado avanti e più capisco che non mi legge praticamente nessuno (a parte qualche familiare affezionato. Meno male che ci sono). E allora perché tenerlo aperto? Forse per combattere la noia di giornate più o meno simili, angustiate da una pioggia insistente e da un'umidità deprimente.
E forse anche per fissare sulla carta, finalmente, chi diavolo sia Blutch. Evitandomi di ricomprarlo un'altra volta (ne ho letti tre, quindi non c'è ragione di proseguire con un quarto).
Meglio Dago, non ho dubbi. Però quello disegnato da Alberto Salinas e dal suo grandissimo erede Carlos Gomez, non dagli emuli venuti dopo, che l'hanno trasformato in un banale e verboso seriale.
Non siete d'accordo?
Dubito che mio padre e mia madre abbiano qualcosa da dire.
Mia sorella nemmeno. Quindi a posto così.
Vado a dormire, che è meglio.
E comunque ho cominciato un BELLISSIMO libro di Flavio Caroli sulla storia dell'arte dal cinquecento in avanti. Non me ne voglia (?) Blutch e Hung Hung, l'autore de "Il treno" insieme con un altro cinese di cui, ovviamente, ho scordato il nome, "veramente di nicchia" (cit dal negoziante che me l'ha venduto) che ho letto e che mi ha lasciato decisamente un po' così.
Sì, sto invecchiando.
Mi metto l'antirughe e dormo, sì sì.