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venerdì 20 giugno 2014

Le donne della mia famiglia e il cambiamento che verrà. Per forza


Non so se si capisce, ma questa donna anziana mi era parente. Anzi: mi è parente, benché se ne sia andata quasi un anno fa. 
Non avrei mai immaginato di ritrovarmi orfana di nonna e di mamma in meno di un anno. Si può essere razionali quanto si vuole, ma la morte ti spiazza sempre.

Non sono particolarmente triste, solo molto malinconica. E stanca. Quissù (sulla torre-casa) è tutto troppo distante e ovattato e io, invece, ho bisogno di vita. Sento gli uccellini cinguettare, mi rinfranco alla vista dei nostri mici che passano sotto la mia scrivania, ma non mi basta.
Non mi bastava prima, non mi basta adesso.

Quella donna lassù ha avuto una vita lunga, non sempre facile.
Da ragazza era secca secca, molto più di quanto io non sia mai stata. Nella foto del suo matrimonio con il mio nonno omonimo (quello ipocondriaco, una vita assai infelice dalla pensione in poi, purtroppo) aveva uno sguardo vispo, da teppa. La nostra gatta Bice, forse, nella sua precedente vita era un tipetto come lei. 

Mi mancano le sue battute fulminanti, ma sapevamo che poteva succedere che ci lasciasse.
Non riesco invece ancora a pensare all'altra, enorme perdita come a qualcosa di atteso. 
E' troppo presto, ma il buco che verrà mi spaventa.
Scrivo, probabilmente, anche per non sentire il silenzio che è in me, non tanto quello esterno, che non è mai del tutto privo di suoni.

Lentamente, molto lentamente, sto tornando alla mia "anormalità normale", come mia mamma chiamava la sua condizione dopo aver scoperto il male che ce l'ha rubata.
Non mi piaceva quel che le stava capitando e non mi piace affatto il mio presente.

Lo so, qualcosa cambierà, tanto tutto cambia sempre. Per forza.
E la telefonata di stamattina della mia amica di liceo è di buon auspicio. Sai, Jessika, volevo dirle, ho comprato due racchette a venti euro giusto l'altro giorno.
Forse il mio cambiamento ricomincia dal tennis, abbandonato troppi anni fa.
Dovevate vedermi nel campetto sgarrupato sotto casa di mia zia a tirare la pallina contro il muro.
Non c'erano testimoni, ma quei minuti sottratti al pranzo malinconico mi hanno fatto bene.

Avrei voluto forarlo, quel muro, senza rabbia, solo con tutta l'energia che vorrei usare una volta buona, prima che sia troppo tardi.
Le donne della mia famiglia che vivono anche dentro di me, con un po' dei loro geni, della loro educazione, mi hanno lasciato chiari esempi di coraggio e azione.
Non credo che li tradirò, ma spero di non metterci troppo.
Non me lo posso più permettere.