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sabato 23 agosto 2014

Le foto di famiglia e l'amore che non muore


Per fortuna non era andata persa. Per fortuna ci passiamo quasi sempre le fotografie che scattiamo.
L'avevo cercata tanto nei giorni in cui volevamo scegliere l'immagine ricordo, ma niente, era sparita dall'hard-disc esterno. Sul pc, ovviamente, non c'era: quello precedente all'attuale ha smesso di funzionare di punto in bianco, senza preavviso.

E invece eccola qui. Bellissima. L'ho scattata io, ma non conta, in fondo. Anche se, naturalmente, sono orgogliosa di aver documentato moltissimi momenti felici.
Forse è diventata un poster, forse lo diventerà presto. In ogni caso, guardarla m'immalinconisce e insieme mi fa sorridere.

Quei due piccini oggi sono così diversi e uguali. Non sembra possibile che siano stati tanto minuscoli. Da poco ho provato l'esperienza di zia ospitante: era la prima volta che i nipoti passavano più giorni senza entrambi i genitori. E' stato impegnativo, certo, ma così coinvolgente da lasciare un vuoto disorientante.
Pure i gatti ne hanno risentito: il pomeriggio dopo la partenza erano distrutti. Felici anche, probabilmente, al contrario degli zii.

Ho finito da sola il numero delle Cipolline che hanno dimenticato: mi ero talmente compenetrata nella parte della voce narrante che non mi andava di lasciare la storia a metà. Ieri, però, il nipote piccolo mi ha intimato di riportargli il libro. Certo che lo farò, così almeno posso finire di leggerglielo.

Ho fatto, molto parzialmente, le veci della nonna.
Il piccino, quello che all'apparenza sembra già un ultrà, mi ha parlato delle letterine che quando era ancora più piccino gli scriveva la nonna. Gli ho risposto che le scriveva pure a me, anche adesso che sono più che grande. Mi è sembrato che si sia stupito, ma forse non lo era.
La nonna era speciale.

Non riesco ad aggiungere molte altre parole, se non l'ennesimo grazie per tutto l'amore che ho ricevuto e che malamente cerco di dare a mia volta. Non a tutti, ovvio, ma a una buona parte di persone sì. Sono fatta così, del resto, non posso sempre vergognarmi di come sono.

Aggiungo solo un ps per mia sorella: La gita di mezzanotte di Roddy Doyle è stato davvero un bel regalo. Per chi non lo conoscesse, parla di quattro generazioni di donne che si incontrano: una di loro è un fantasma. Sarebbe una storia per ragazzi, ma va benissimo anche per ex-ragazzi come me e come tutte quelle persone che non sanno (ancora o mai) spiegarsi perché si debba morire.

Grazie, Linda. Ti voglio bene. Anzi: LE voglio bene (lei sa perché scrivo così).
E adesso basta smancerie.
Tsk.

venerdì 20 giugno 2014

Le donne della mia famiglia e il cambiamento che verrà. Per forza


Non so se si capisce, ma questa donna anziana mi era parente. Anzi: mi è parente, benché se ne sia andata quasi un anno fa. 
Non avrei mai immaginato di ritrovarmi orfana di nonna e di mamma in meno di un anno. Si può essere razionali quanto si vuole, ma la morte ti spiazza sempre.

Non sono particolarmente triste, solo molto malinconica. E stanca. Quissù (sulla torre-casa) è tutto troppo distante e ovattato e io, invece, ho bisogno di vita. Sento gli uccellini cinguettare, mi rinfranco alla vista dei nostri mici che passano sotto la mia scrivania, ma non mi basta.
Non mi bastava prima, non mi basta adesso.

Quella donna lassù ha avuto una vita lunga, non sempre facile.
Da ragazza era secca secca, molto più di quanto io non sia mai stata. Nella foto del suo matrimonio con il mio nonno omonimo (quello ipocondriaco, una vita assai infelice dalla pensione in poi, purtroppo) aveva uno sguardo vispo, da teppa. La nostra gatta Bice, forse, nella sua precedente vita era un tipetto come lei. 

Mi mancano le sue battute fulminanti, ma sapevamo che poteva succedere che ci lasciasse.
Non riesco invece ancora a pensare all'altra, enorme perdita come a qualcosa di atteso. 
E' troppo presto, ma il buco che verrà mi spaventa.
Scrivo, probabilmente, anche per non sentire il silenzio che è in me, non tanto quello esterno, che non è mai del tutto privo di suoni.

Lentamente, molto lentamente, sto tornando alla mia "anormalità normale", come mia mamma chiamava la sua condizione dopo aver scoperto il male che ce l'ha rubata.
Non mi piaceva quel che le stava capitando e non mi piace affatto il mio presente.

Lo so, qualcosa cambierà, tanto tutto cambia sempre. Per forza.
E la telefonata di stamattina della mia amica di liceo è di buon auspicio. Sai, Jessika, volevo dirle, ho comprato due racchette a venti euro giusto l'altro giorno.
Forse il mio cambiamento ricomincia dal tennis, abbandonato troppi anni fa.
Dovevate vedermi nel campetto sgarrupato sotto casa di mia zia a tirare la pallina contro il muro.
Non c'erano testimoni, ma quei minuti sottratti al pranzo malinconico mi hanno fatto bene.

Avrei voluto forarlo, quel muro, senza rabbia, solo con tutta l'energia che vorrei usare una volta buona, prima che sia troppo tardi.
Le donne della mia famiglia che vivono anche dentro di me, con un po' dei loro geni, della loro educazione, mi hanno lasciato chiari esempi di coraggio e azione.
Non credo che li tradirò, ma spero di non metterci troppo.
Non me lo posso più permettere.

venerdì 9 agosto 2013

Il corpo e la grande tristezza



Febbraio porta la pioggia, ma a volte succede anche ad agosto: benefica pioggia che ristora corpi accaldati e stanchi.
Non riflettevo sul corpo da tempo, poi un giorno la nonna si aggrava e la rivedo in ospedale, incosciente, ma poi chissà se fino in fondo.
Le ho accarezzato la testa, la fronte era fresca e la pelle liscia al tatto, nonostante l'età. E dire che da giovani le rughe degli anziani ci fanno quasi paura.
L'inizio della "Grande bellezza" sembrava perciò promettente. Jep che da ragazzo amava l'odore delle case dei vecchi era seducente o comunque lasciava spazio a una qualche forma di identificazione, indispensabile per amare un film.
Era solo un'illusione. Anzi. Una vera e propria sola. Niente da dire sulla recitazione di Toni Servillo, ma quando vedo una tale abilità nell'incarnare personaggi squallidi o genericamente negativi, mi domando sempre se non ci sia anche una parte di verità, se, insomma, un po' squallido e negativo non sia anche l'attore fuori dal set. Certo che un po' lo sarà: siamo esseri umani, mica tanto belli.
Ma la mia non è una recensione: non ho la presunzione del regista, un anno più di me, molto (molto) bravo con la macchina da presa, con i tecnicismi del cinema, intendo, ma secondo me più superficiale dell'acqua che ricorre così spesso durante tutto il film.
Di bello c'era solo la confezione, il design, la fuffa di cui parla lo stesso Jep quando tenta di intervistare l'attrice che dava le testate.
Tutto voluto? L'irritazione che mi ha suscitato il film era uno degli effetti che Paolo Sorrentino voleva produrre sul pubblico? Buon per lui e per gli incassi che è riuscito a collezionare. Di sicuro il film potrebbe piacere anche all'estero, pieno com'è di cliché sulla Roma ancora una volta decadente e morbida come Bologna nella canzone di Guccini.
E insomma: l'estremo sacrificio in nome del "non puoi non andare a vedere la Grande Bellezza, tu che sei una intellettuale (???) di sinistra" è compiuto.
Che cosa ne ho ottenuto? Una grande tristezza. Ma veramente grande.
Accresciuta da altri avvenimenti personali che mettono molta nostalgia, quella di cui parla il personaggio di Carlo Verdone. La nostalgia è uno dei pochi sentimenti autentici in circolazione.
Colpisce un certo numero di persone, per fortuna, non tutti (e meno male) intellettuali di sinistra e non solo i romani ricchi e insoddisfatti.
Ciao, nonna. Meno male che ho fatto in tempo a rivederti.
Per fortuna al tuo funerale non ci sarà Jep Gambardella, anche se un po' di teatro sarà inevitabile.
A te che eri nata a febbraio dedico la canzone che sentirai sopra.
Conoscendoti, diresti (con le colorite parole tue) che è una palla.
Forse hai ragione, ma più di così, la tua nipote con i capelli radi come Giancarlo, non sa fare.