martedì 27 marzo 2018

Alice Munro e la vita: never give up


Lo sapevo, ma ho sempre evitato di andarla a cercare. Oggi, invece, l'ho fatto, finalmente, ed eccola lì, la mia amatissima Alice Munro, cinque anni fa, ormai, all'indomani dell'attribuzione del Nobel per la letteratura.

Che cosa ho sempre saputo, vi starete chiedendo?
Solo questo: Alice Munro mi sta un sacco simpatica. L'ho capito leggendo i suoi racconti e le interviste che qui e là ho rubato alla rete negli anni in cui l'ho scoperta.

Quanti ne sono passati? Credo almeno dieci. A pensarci adesso, mi pare incredibile. Poi succede che il gruppo lettura di Romina Coccia, la mia amica brunetta sveglia e vivace quanto un personaggio della incredibile Alice, voti a maggioranza Nemico, Amico, Amante..., il libro che mi ha introdotta al mondo della scrittrice canadese, casalinga e mamma di tre figlie, ed eccomi lì a rileggerlo senza riuscire a smettere, esattamente come mi era successo allora.

Domani sera ci sarà l'incontro in cui se ne parlerà tutti insieme, ma io ho un altro impegno, per cui non sarò presente.

Un po' mi dispiace, soprattutto perché adoro le persone del gruppo, ma allo stesso tempo non sarei disposta a sentire critiche alla mia adorata regina dei racconti.

Voglio però ringraziare chi l'ha proposto perché mi ha dato la possibilità di ributtarmi nella sua scrittura e nel suo universo di piccole storie "senza importanza", di cui parla proprio all'inizio di questa lunga intervista. 

Mi piace la sua visione degli altri, mi ci riconosco pienamente: basta uscire in strada e mettersi in ascolto degli spunti continui che ci vengono elargiti.

Poi, certo, arriva la rilettura e i tagli o addirittura il tritarifiuti per ciò che ci sembra davvero improponibile.

Resta però quello che lei descrive così bene, con quel sorriso aperto: il desiderio, profondissimo, di continuare a scrivere.

"I never gave up", dice Alice a un certo punto. E pensare che ho scritto qualcosa del genere pure io poche ore fa, riferendomi, almeno all'apparenza, all'attività fisica.

Quello che ci preme davvero non lo molliamo mai neanche quando ci sembra il contrario. Neanche quando ci assalgono dubbi e ci sentiamo lontani dal risultato sognato.

Ascoltate quello che dice a proposito del Nobel verso la fine: quella semplicità lì mi alleggerisce assai. 

Una persona proprio ieri mi ha parlato della mia umiltà: sinceramente, non so se sono davvero una persona umile, ma mi riconosco, ancora una volta, in quanto dice la Munro, che ripete spesso di essere stata circondata buona parte della sua vita da gente che non poteva capire che cosa significasse per lei scrivere.

Di queste persone parla seria, ma non con astio. Del resto, è cresciuta nella working class, osserva, perché stupirsene? E il fatto di essere donna, in fondo, l'ha pure avvantaggiata, perché il vero scandalo, per chi prende la vita solo dal lato pratico, sono gli uomini che indulgono nei piaceri intellettuali. Pazienza per le donne.

Un ragazzo della compagnia del mare, rivisto all'indomani della laurea, quando stavo decidendo che strada prendere per la mia vita, mi disse mentre uscivamo dall'acqua: "Per una donna è già abbastanza riuscire a laurearsi". Era il 1997, non il 1947 (Alice è nata nel 1931). Il tipo veniva da una cittadina, non da un villaggio di baluba.

Ma Alice dice di essere femminista in quanto femmina, non per bandiera. E di non aver sentito più di tanto il senso di inferiorità dell'essere, per l'appunto, del genere non fondamentale.

Bellissima, poi, nel video, la puntata a piedi nella libreria aperta con il marito (almeno credo si tratti di lui): davvero un inno all'incontro con gli altri, anche quando, ammette, le è capitato di sentirsi non all'altezza dei colleghi scrittori più eruditi.

Il gruppo lettura di Romina è nato nel negozio del marito di dischi e libri (sto parlando di Mingus a Porto San Giorgio): una bella coincidenza, non c'è che dire. 

Dove circola "cultura", nel senso in cui ne parla Alice, c'è linfa, c'è polpa, c'è sangue e cervello.

Buone letture (e non solo) a tutti noi.

martedì 13 marzo 2018

No worries. Daje a tutti noi


Tutto è nato dalla tazza del tè del mio consorte, che raffigura un Paperino arrabbiato. Accanto c'è la scritta "no worries", che in questo modo forma un bell'ossimoro con il personaggio lamentosetto tanto amato dai lettori di Topolino (piccini e non).

L'ho usata per uno stato di whatsapp, così, per gioco. Volevo aggiungerci affianco qualcosa tipo "be happy", ma poi mi sono astenuta da cotanta banalità (finora, almeno).

Bene. Non posso scendere troppo nei dettagli, ma so di essere in uno stato d'animo tale da richiedermi comunque qualche parola scritta.

Preoccuparsi non serve mai, tanto più in una giornata come quella di oggi, in cui l'aria si è fatta decisamente più primaverile.

Avevo propositi pratici, tipo andare a cambiare il contratto telefonico, e invece mi sono ritrovata sulla spiaggia a fotografare tronchi d'albero e strani oggetti portati lì chissà come dalle recenti mareggiate.

Ho camminato un po', con un andamento lento per me del tutto inconsueto. Mi sono fermata qui e là alzando gli occhi sulle nuvole ciccione, sbiancate dal blu del cielo.

Mi sono goduta un attimo il rumore delle onde, ma poi ho infilato la musica nelle orecchie: serve sempre un alibi al nostro vagare slabbrato.

E alla fine mi sono piazzata sulla solita panchina della piazza di fronte al mare, la schiena scivolata un po' giù e gli occhi chiusi. La faccia mi si è un po' scaldata, ma il vento non proprio tiepido mi ha impedito di rilassarmi del tutto.

Eppure.
Eppure ho capito.
Non devo preoccuparmi, non serve mai. C'è sempre il sole dopo la pioggia e il riso dopo il dolore.

Qualunque cosa accadrà, saprò affrontarla. E riderò, come ho sempre fatto.

Alcune persone sanno essere cattive, dice Mark Knopfler in questa bellissima canzone che forse ho già usato ma non nella versione con la grandissima Emmylou Harris. Lo fanno anche in You've got a friend, il pezzo di Carole King che sto cercando di imparare a cantare (nella versione della Streisand... del 1971: sarà per questo che l'ho scelta?).

C'è sempre qualcuno che ci consolerà, o molto più probabilmente saremo noi a farlo da soli, quando capiremo, con chiarezza inequivocabile, che bisogna sempre avere rispetto di sé e pretenderlo anche dagli altri tutte le volte che qualcuno provi a strapparcelo. Nel lavoro (soprattutto nel mio caso), ma anche negli altri ambiti del quotidiano.

Quindi, niente lacrime, o solo quelle necessarie per farci tornare il sorriso.

La vita ci aspetta comunque. E io voglio viverla, per quelli che non possono più e per quelli che qui e ora tifano per me. 
Pregherò per voi: anzi, ho già cominciato a farlo, proprio stamattina.

Proteggiamoci a vicenda: solo così diventeremo invincibili. 
E che Manitù, Budda, Dio, Allah, o chi per loro, ce la mandi buona. 

Daje.