venerdì 25 gennaio 2013

Video e inglese, sentieri di dignità

Comunque vada a finire, vale la pena provarci. Fino in fondo.
Da qualche tempo, per esempio, ho ripreso a studiare inglese e mi sono prefissa l'ambizioso obiettivo di arrivare a usare anche su questo spazio, in un giorno chissà quanto lontano, la lingua allo stato attuale ancora più diffusa (usata) al mondo. Certo, sarebbe meglio puntare sullo studio del mandarino, ma temo che mi ci vorrebbe più tempo e soprattutto denaro, due elementi (soprattutto il secondo) che cominciano a scarseggiare.
Contemporaneamente, sto cercando di imparare, da totale autodidatta, a montare i video, un'attività, lo confesso, che mi piace veramente molto. Al punto da rischiare di farmene fagocitare del tutto, cadendo in una sorta di trance da nerd (come si chiamano gli smanettoni da un po' di tempo a questa parte. Mi chiedo sempre quando sia stata introdotta sta' inglesistica parola) un tantino insana.
Per fortuna poi ci pensa la palestra e la mia voglia di respirare aria fresca a farmi riscuotere.
E così, tra una lezione d'inglese, una visita in biblioteca per raccogliere informazioni sulla sibilla picena e altre leggende delle stupende montagne che contemplo spesso dalle finestre, e infine la ricerca e selezione delle immagini delle nostre gite fuori porta, è cominciato il nuovo anno, dalle prospettive piuttosto incerte in verità non solo per noi Sfaccendati.
E d'altra parte, mi domando e lo chiedo a voi: che cosa mai potremmo fare per sgombrare almeno un po' di nebbia da questo tunnel lunghissimo che abbiamo imboccato, il Paese e noi personalmente?
L'ho già scritto, ma conviene ripeterlo: l'unico bene da coltivare sempre, in tutte le fasi della nostra vita, è il rispetto di noi stessi. Solo così potremo continuare a guardarci nello specchio, impallidendo appena.
Perciò voglio chiarire un punto, a beneficio di quelli che ti esortano paternalisticamente ad andare avanti su questi sentieri, come farebbe uno zio magnanimo con il nipotino che si esercita alla chitarra: per me, lo studio della lingua, il montaggio di gallerie fotografiche e video, gli stessi post di questo blog non sono hobbies (per l'appunto), ossia non sono passatempi come il mio amato tennis dell'adolescenza o come il burraco per pensionati felici.
Sono invece la realizzazione pratica di questa battaglia continua per la dignità, il sogno di riscatto di chi spera (e lotta) ancora.
Detto questo, sono lieta di presentarvi il primo video realizzato congiuntamente da mio marito Sfaccendato e da me: quello che vedrete è il risultato di tre diverse passeggiate al mare, in giorni e luoghi differenti dello scorso autunno, così diverso da tutti quelli vissuti finora.
Sono fierissima del risultato, per quanto imperfetto sia: le musiche, composte dal compagno della mia vita, mi hanno guidato nel rimontaggio di alcuni passaggi e nella selezione finale del girato.
Spero proprio che sia solo un inizio di una collaborazione tra noi. Comunque vada a finire, valeva la pena provarci. E sì.
Buon ascolto e buona passeggiata al mare, amici.





domenica 20 gennaio 2013

Il mezzo compleanno



Da oggi comincia il conto alla rovescia fino al prossimo 20 luglio.
Esattamente sei mesi fa compivo 41 anni: dunque oggi è il mio mezzo compleanno, il che vuol dire che da domani di anni ne avrò quasi 42, non più strenuamente 41 fino alla vigilia del mio personale natale. Dichiarerò apertamente la mia età anche a chi, eventualmente, dovesse chiedermela (ma dopo gli anta vedo che accade meno di frequente: nonostante creme e fitness, per una donna, la mezza età continua a essere suggellata con il superamento della boa dei 39 e se chi ti guarda l'ha capito eviterà pietosamente di fare domande indiscrete).
Sarebbe il caso di fare bilanci? In realtà no, anche perché ne faccio di continuo tutti i giorni (e non di rado pure più volte al giorno) e semmai oggi vorrei soltanto rilassarmi.
Ci tenevo tuttavia a fissare sul mio lagnoso blog personale questa abitudine del mezzo compleanno, che esiste da ben prima che arrivassi a 40 anni.
Se non vado errata, ho cominciato a percepirmi con l'anno in più sulle spalle prima dei 30, altro step piuttosto sentito dalle donne, o almeno da quelle che conosco io.
Nella versione anonima di questo spazio, che ho conservato più o meno finché è durato Splinder, ho pubblicato varie foto della me più giovane, compresa una scattata nell'estate 2001, in un periodo molto importante della mia vita.
Avevo bisogno di buttar fuori chi ero forse per capire meglio chi sono.
Sotto questo aspetto (ma chissà) ho l'impressione di essere a buon punto, ma temo che sia difficile che lo si percepisca all'esterno. Non escludo, quindi, che scriverlo quassù, adesso che potenzialmente sarei come su una pubblica piazza, mi serva per lanciare qualche messaggio neanche tanto sottinteso.
A quasi 42 anni non è più il caso di perdere tempo, meno che mai con chi si ostina a vederci come quando ne avevamo molti meno.
I mutamenti sono lenti, certo, e spesso non sono chiari fino in fondo neanche a chi li vive, però con pazienza, rispetto e ascolto reale li si può vedere. Direi proprio che siano leggibili in tutto ciò che siamo, che facciamo, ed è così bello quando qualcuno, finalmente, te lo fa notare.
A me piace vedere i cambiamenti altrui, soprattutto quando rendono migliori.
E non credo sia solo una questione d'età, benché sia proprio grazie ai miei anni in più che ho capito quanto sia importante non nasconderli, per l'infantile paura di deludere chi continua a vederci come eravamo un tempo.
Ho capito anche un'altra cosa: non è solo la distanza geografica e cronologica a cristallizzare i rapporti ad anni passati. E' più quella mentale a fare la vera differenza: se c'era già prima, è difficile che dopo, con il rarefarsi degli incontri, si possa recuperare il tempo perso e imparare a conoscersi daccapo.
Sarà successo molte volte anche a me di inquadrare qualcuno in un modo e di non essere stata in grado di percepirne i mutamenti con lo scorrere del tempo.
Fa male quando capita con le persone che una volta ci sembravano tanto simili, tanto amiche, ma, per l'appunto, è sempre bene interrogarsi se non ci sia stata anche da parte nostra una certa quota di schematizzazione.
Ci sono persone, per dire, che mi mancano moltissimo, ma riparlandoci di recente, ho capito che ci siamo allontanate. Con altre, invece, non è successo, ed è davvero un miracolo ritrovarsi come se ci si fosse visti il giorno prima.
In ogni caso, come già ho considerato in post simili a questo, non ho più intenzione di fingere stati d'animo che non provo pur di risultare gradita alla collettività. La "Cica" non c'è più, la "Mussolini" men che meno, "Alina", forse, un po' è rimasta soprattutto perché come ai tempi in cui fu coniato quel soprannome, non ho smesso di tenere diari.
Chi sono adesso? Sempre la stessa scassapalle, con qualche ruga (accidenti quante!) in più e il solito sarcasmo a tratti greve.
Gli anni vissuti sono però molti di più e anche se penso tuttora di avere ancora una corazza solo all'apparenza dura e se mio marito prende sempre in giro il mio presunto autolesionismo, non ho davvero più voglia di farmi inutilmente del male, tentando di essere ciò che non sono.
Mi basta quel che sono e quel che voglio diventare. E farò di tutto per non perderlo di vista. Per non perdermi di vista.
E come ho già detto, chi mi ama mi seguirà. Pazienza per gli altri.
Auguri a me, quasi 42enne.

venerdì 11 gennaio 2013

Pessimista io? Ma no


Chissà come si chiamava il fotografo che mi scattò questa fotografia. Al di là della tenerezza che provo a rivedermi così graziosamente bambina, la trovo molto ben fatta pure tecnicamente. In particolare, resto sempre molto colpita dalla bambolina che stringo nella mano sinistra, la testa tonda e pelata, molto simile alla mia, coperta da quei sottili e radi capellini biondi, e quel braccino bianco, anche in questo caso assai simile al mio destro tondo e morbido come una fetta di pandoro. Infine c'è tutto quel rosso, del moscone su cui ero appoggiata e del costumino dalla fantasia anni '70. Per me è un piccolo esempio di perfezione compositiva, che mi ha spinto a ripubblicarla qui, assecondando un non tanto celato bisogno di amarcord, tipico di chi vive un presente molto meno rassicurante di quel lontano giorno della mia infanzia.
Stamattina l'ex bimba è stata presa per una persona un po' depressa, mentre, una volta tanto, mi sentivo semplicemente realistica. Se devo proprio farmi sfruttare, consideravo con il commercialista amico di mio padre, preferisco fare lavori umili, manuali magari (sempre ammesso che ne sia capace) anziché ricominciare la solita trafila delle collaborazioni esterne o peggio ancora del simil-apprendistato. Anche perché, diciamolo, alla mia età non ho alcuna chance e anche solo pensare di averla è una frustrante perdita di tempo.
D'altra parte, posso assicurarlo, non mi ero mai sentita così convinta del valore delle mie piccole creazioni artistiche come mi è accaduto con quelle realizzate nell'ultimo anno. Ci credo fortemente ed è davvero una svolta psicologica importante, da difendere con unghie feline dai depressi mascherati da disincantati, dai pavidi rivestiti di pragmatismo e da tutte quelle forze negative che gettano ombre su chiunque cerchi di usare talento e personalità per non mollare e resistere allo sconforto della precarietà.
Ormai, aggiungo, anche quest'ultima parola mi sembra che abbia perso senso: la sento ripetere da troppe bocche fetide, da troppi servi, da troppi cinici,da troppi indifferenti perché possa credere che sia davvero vista come un'emergenza nazionale. Per non parlare di quelli che dicono di voler aiutare i "nostri giovani", i più penalizzati, certamente, dal "lavoro che non c'è", un'altra noiosa, abusatissima locuzione dei nostri tempi.
Stancamente, mi trovo costretta a ripetere che non sono solo loro le vittime di un Paese che sembra incapace di risollevarsi, ma anche le donne (basta aprire Sette del Corriere della Sera della scorsa settimana per verificare che per la reale parità con gli uomini occorreranno altri vent'anni. Almeno. E non sto parlando del bollettino della Cgil, bensì di un cosiddetto giornale della classe dirigente), e gli adulti ultraquarantenni.
Lo sa bene, del resto, lo stesso commercialista, classe 1942, coetaneo di mia madre, forse costretto a restare ancora a lavoro per aiutare la figlia nata sul finire degli anni Sessanta, in difficoltà con il sogno d'impresa condiviso con una socia, per via di un aumento geometrico dell'affitto del locale in cui avevano deciso di investire tempo, denaro e professionalità. Sembra che adesso siano riuscite a trovarne un altro più economico, ma mio padre mi ha lasciato intendere che non siano le sole a pagarne le spese di gestione. Un'intera generazione oggi alle prese con la salute che scricchiola (non oso pensare che problemi potremo avere noi un giorno, si spera molto lontano, con tutto lo stress e la bile accumulati) sta usando una certa parte della pensione per venire incontro alle esigenze di questi figli ormai più che maturi prima che sia troppo tardi. Sempre ammesso che si possegga una buona rendita o qualche bene di valore da trasmettere loro un domani.
Tutto questo non è pessimismo, no. E' sano, forse solo un po' crudele, realismo.
Un sentimento che mai avrei pensato di nutrire in quel remoto giorno d'estate, ma neanche qualche anno dopo, ai tempi dell'università, giorni di certo mitizzati, il legame con i quali mi ha però permesso, di recente, di tornare a lottare, nonostante tutto.
E ok: se sarò costretta a chiudere la partita Iva dei minimi per via di una modifica della legge che mi aveva permesso di aprirla cinque anni fa, lo farò e basta. In fondo è tutta inutile burocrazia. Niente però mi impedirà di continuare a considerarmi una che scrive, che fotografa, e che soprattutto pensa e agisce con la propria testa.
Concludo con una postilla ispiratami da uno scambio che ho avuto su Facebook con un vecchio amico degli anni belli della mia giovinezza. Lui diceva di non essere d'accordo con il fatto che si debba girare il mondo per sentirsi in pace con se stessi. Io gli rispondevo che in linea generale è vero, ma se non hai avuto l'occasione (e anche la bravura, perché no?) di compiere le scelte giuste nei tempi giusti, ormai non hai più chance in questo Paese, ed è abbastanza probabile che farai una gran fatica a pacificarti interiormente, visto che sarai costretto a girare ancora e ancora come una trottola in attesa di trovare il "tuo" posto.
Insomma: non esiste una ricetta unica valida per tutti né mi sentirei di condannare chi si ferma e sta e di incensare chi va e va. Mi dispiace solo constatare che non per tutti è una semplice questione di preferenza per l'una o l'altra filosofia di vita, ma una mera questione di fortuna, pure geografica oltre che sociale.
Se un giorno dovessi trovare il "mio posto", comunque, non mancherò di sottolinearlo, perché di sicuro, se accadrà, mi sentirò più serena. Per il momento, mi accontento di risentire proustianamente qualche suono, qualche profumo antico, riattraversando le strade note della mia adolescenza, pur restando consapevole che il desiderio di fuga nutrito proprio a quei tempi non si è affatto placato. No, amico della mia giovinezza, il centro del mondo non è qui. Non ora. Anche se non posso dire che non lo sarà mai, come sostenevo fino a dieci anni fa.
In fondo, ho ancora qualche tempo per scoprire dove sia, il mio centro, agognato (sì, lo ammetto: lo sto cercando) del mondo. L'importante è crederci profondamente.
Altro che pessimismo.