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venerdì 11 gennaio 2013
Pessimista io? Ma no
Chissà come si chiamava il fotografo che mi scattò questa fotografia. Al di là della tenerezza che provo a rivedermi così graziosamente bambina, la trovo molto ben fatta pure tecnicamente. In particolare, resto sempre molto colpita dalla bambolina che stringo nella mano sinistra, la testa tonda e pelata, molto simile alla mia, coperta da quei sottili e radi capellini biondi, e quel braccino bianco, anche in questo caso assai simile al mio destro tondo e morbido come una fetta di pandoro. Infine c'è tutto quel rosso, del moscone su cui ero appoggiata e del costumino dalla fantasia anni '70. Per me è un piccolo esempio di perfezione compositiva, che mi ha spinto a ripubblicarla qui, assecondando un non tanto celato bisogno di amarcord, tipico di chi vive un presente molto meno rassicurante di quel lontano giorno della mia infanzia.
Stamattina l'ex bimba è stata presa per una persona un po' depressa, mentre, una volta tanto, mi sentivo semplicemente realistica. Se devo proprio farmi sfruttare, consideravo con il commercialista amico di mio padre, preferisco fare lavori umili, manuali magari (sempre ammesso che ne sia capace) anziché ricominciare la solita trafila delle collaborazioni esterne o peggio ancora del simil-apprendistato. Anche perché, diciamolo, alla mia età non ho alcuna chance e anche solo pensare di averla è una frustrante perdita di tempo.
D'altra parte, posso assicurarlo, non mi ero mai sentita così convinta del valore delle mie piccole creazioni artistiche come mi è accaduto con quelle realizzate nell'ultimo anno. Ci credo fortemente ed è davvero una svolta psicologica importante, da difendere con unghie feline dai depressi mascherati da disincantati, dai pavidi rivestiti di pragmatismo e da tutte quelle forze negative che gettano ombre su chiunque cerchi di usare talento e personalità per non mollare e resistere allo sconforto della precarietà.
Ormai, aggiungo, anche quest'ultima parola mi sembra che abbia perso senso: la sento ripetere da troppe bocche fetide, da troppi servi, da troppi cinici,da troppi indifferenti perché possa credere che sia davvero vista come un'emergenza nazionale. Per non parlare di quelli che dicono di voler aiutare i "nostri giovani", i più penalizzati, certamente, dal "lavoro che non c'è", un'altra noiosa, abusatissima locuzione dei nostri tempi.
Stancamente, mi trovo costretta a ripetere che non sono solo loro le vittime di un Paese che sembra incapace di risollevarsi, ma anche le donne (basta aprire Sette del Corriere della Sera della scorsa settimana per verificare che per la reale parità con gli uomini occorreranno altri vent'anni. Almeno. E non sto parlando del bollettino della Cgil, bensì di un cosiddetto giornale della classe dirigente), e gli adulti ultraquarantenni.
Lo sa bene, del resto, lo stesso commercialista, classe 1942, coetaneo di mia madre, forse costretto a restare ancora a lavoro per aiutare la figlia nata sul finire degli anni Sessanta, in difficoltà con il sogno d'impresa condiviso con una socia, per via di un aumento geometrico dell'affitto del locale in cui avevano deciso di investire tempo, denaro e professionalità. Sembra che adesso siano riuscite a trovarne un altro più economico, ma mio padre mi ha lasciato intendere che non siano le sole a pagarne le spese di gestione. Un'intera generazione oggi alle prese con la salute che scricchiola (non oso pensare che problemi potremo avere noi un giorno, si spera molto lontano, con tutto lo stress e la bile accumulati) sta usando una certa parte della pensione per venire incontro alle esigenze di questi figli ormai più che maturi prima che sia troppo tardi. Sempre ammesso che si possegga una buona rendita o qualche bene di valore da trasmettere loro un domani.
Tutto questo non è pessimismo, no. E' sano, forse solo un po' crudele, realismo.
Un sentimento che mai avrei pensato di nutrire in quel remoto giorno d'estate, ma neanche qualche anno dopo, ai tempi dell'università, giorni di certo mitizzati, il legame con i quali mi ha però permesso, di recente, di tornare a lottare, nonostante tutto.
E ok: se sarò costretta a chiudere la partita Iva dei minimi per via di una modifica della legge che mi aveva permesso di aprirla cinque anni fa, lo farò e basta. In fondo è tutta inutile burocrazia. Niente però mi impedirà di continuare a considerarmi una che scrive, che fotografa, e che soprattutto pensa e agisce con la propria testa.
Concludo con una postilla ispiratami da uno scambio che ho avuto su Facebook con un vecchio amico degli anni belli della mia giovinezza. Lui diceva di non essere d'accordo con il fatto che si debba girare il mondo per sentirsi in pace con se stessi. Io gli rispondevo che in linea generale è vero, ma se non hai avuto l'occasione (e anche la bravura, perché no?) di compiere le scelte giuste nei tempi giusti, ormai non hai più chance in questo Paese, ed è abbastanza probabile che farai una gran fatica a pacificarti interiormente, visto che sarai costretto a girare ancora e ancora come una trottola in attesa di trovare il "tuo" posto.
Insomma: non esiste una ricetta unica valida per tutti né mi sentirei di condannare chi si ferma e sta e di incensare chi va e va. Mi dispiace solo constatare che non per tutti è una semplice questione di preferenza per l'una o l'altra filosofia di vita, ma una mera questione di fortuna, pure geografica oltre che sociale.
Se un giorno dovessi trovare il "mio posto", comunque, non mancherò di sottolinearlo, perché di sicuro, se accadrà, mi sentirò più serena. Per il momento, mi accontento di risentire proustianamente qualche suono, qualche profumo antico, riattraversando le strade note della mia adolescenza, pur restando consapevole che il desiderio di fuga nutrito proprio a quei tempi non si è affatto placato. No, amico della mia giovinezza, il centro del mondo non è qui. Non ora. Anche se non posso dire che non lo sarà mai, come sostenevo fino a dieci anni fa.
In fondo, ho ancora qualche tempo per scoprire dove sia, il mio centro, agognato (sì, lo ammetto: lo sto cercando) del mondo. L'importante è crederci profondamente.
Altro che pessimismo.
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