mercoledì 28 marzo 2012

"Fare giornalismo": what does it mean?



Sfaccendato-man è una vera miniera di informazioni. Sulle ultime tendenze del mondo del lavoro ne sa davvero assai più di me. Giusto ieri gli è arrivata questa inserzione, che riporto pari pari di seguito:

"Il compito del Redattore è quello di aprire un giornale on-line gestito in piena autonomia redazionale e commerciale ed inserito in un network il cui centro direzionale è Senigallia. 
Il vantaggio di far parte di un network sono molteplici (legale, tecnologico, know how, burocratico, logistico, di avviamento, ecc). Contratto quadriennale ed impegno minimo di almeno di due anni.Servizi offerti: Set-up grafico, affiancamento editoriale, affiancamento nell'accreditamento; Servizi compresi nel canone mensile: server, banda, domino ed email; piattaforma ed aggiornamenti; archivio fotografico; consulenza legale su articoli e commenti; assistenza editoriale e tecnica".


E fin qui potrebbe sembrare quasi (quasi) allettante, anche perché, di questi tempi, chi è che ti offre un contratto quadriennale (minimo)? 
L'entusiasmo scema però subito subito, leggendo le competenze richieste. Eccole:

"Titolo di studio: diploma di maturità" (e vabbè: quanti giornalisti non hanno la laurea? Di certo non è una discriminante, considerato poi quanto inutile sia il pezzo di carta accademico per chi ha frequentato facoltà umanistiche);

"Esperienza minima: non richiesta" (ah! quindi prendete anche i pivelli? gli fate fare il praticantato? Ottimo! Mmmh, mi sa che non è così...);

Requisiti minimi: (qui viene il bello) "Persona che ama fare giornalismo, curioso, attento alle vicende della sua città, capace di interpretare i fenomeni, di saperli documentare e che sappia scrivere bene; discreto e non invadente, gentile e desideroso di crescere nella professione di giornalista anche on-line. Buona dimestichezza con gli strumenti informatici e il web grazie ai quali riesca a creare relazioni e collaborazioni; anima commerciale ed intraprendente nel vendere spazi pubblicitari; capacità di lavorare in team."


Ora, pur ben sapendo che non esistono solo i grandi media e che soprattutto non tutti hanno la possibilità di accedervi per uno stage, un contrattino o per una gita con la classe, temo che nel suddetto annuncio vi sia più di un elemento di oscurità. 
Qualcuno mi saprebbe spiegare che cosa significa, concretamente, "amar fare giornalismo" e al contempo essere "discreto e non invadente, gentile e generoso di crescere nella professione"? 
In particolare, m'inquieta assai l'ultimo aggettivo: la generosità è sicuramente una bella dote, ma nello specifico che cosa implica? Qualcosa mi dice che la suddetta debba esercitarsi nei confronti del proprio datore di lavoro e della busta paga ricevuta in cambio.
Mi sbaglio? 
Stavolta non ho voglia, ma sto meditando seriamente di cominciare a candidarmi a questi annunci e di vedere come va a finire. Sempre che mi chiamino, perché, per esperienze pregresse, qualcosa mi dice che verrò scartata in partenza. Probabilmente non mi riterrebbero sufficientemente gentile e discreta. E poi, lo ammetto, pur essendo bastevolmente intraprendente, non ho un'anima molto commerciale. 

A quest'ultimo proposito: capisco che le piccole realtà editoriali debbano arrabbattarsi come possono. 
Però niente mi toglie dalla testa che scrivere pezzi "gentili" e andare a caccia di pubblicità allo stesso tempo (magari presso gli stessi soggetti su cui si è scritto) crei piccoli, ma in realtà grandi, conflitti d'interesse.

Succede in continuazione, lo so benissimo, come sono consapevole anche del fatto che pure nei grandi gruppi editoriali i giornalisti debbano sottostare tutti i giorni alle leggi del proprio editore-padre padrone.
Cioè: se muore Doro Della Valle, è ovvio che tutti i media, ma proprio tutti, debbano, non solo darne la notizia (che comunque è tale in ogni caso), ma anche, se possibile, tesserne l'elogio funebre.
Poi, magari, la pagina dopo c'è una bella scarpa del noto marchio di Casette d'Ete.
Insomma, il conflitto d'interesse non ce l'ha solo Berlusconi, ma un bel discreto numero di persone.

Però, per chi lavora nei giornali più importanti, almeno, c'è qualche tutela in più (ancora per un po', almeno) in caso di pezzo un po' più invadente o di qualche improvvisa alzata di orgoglio contro lo strapotere degli inserzionisti.
Nelle piccole realtà, invece, si rischia di ritrovarsi fuori dalle balle ben prima che scada il contratto sottoscritto (già un lusso piuttosto raro), sia per la paga da fame (si aprono scommesse in merito) sia perché si è risultati in poco tempo sgraditi a qualche politicante locale che magari ha pure la fabbrichetta di materiale edile che ha sponsorizzato il sito, il giornale o quel che era.

Oppure, semplicemente, accade un'altra cosa: il team intraprendente in cui si era avuta la fortuna di essere annoverati, dall'oggi al domani, puff, sparisce nel vuoto, perché l'imprenditore di turno si accorge che non ha più i denari per l'attività. No sponsor no sito (né giornale, newsletter etc etc). 

Che fine faranno i valenti redattori ingaggiati? Beh, se sono giovani giovani (come penso siano nella maggior parte dei casi), transiteranno in qualche altra magnifica realtà editoriale. Se sono più grandicelli, invece, dovranno augurarsi di aver, almeno, imparato qualche cosa. Che cosa? 
Prima di tutto a non fidarsi di annunci scritti così male. 
In secondo luogo, a cambiare mestiere, finché sono in tempo.

Se invece niente, insistono perché sentono di avere davvero il sacro fuoco di Montanelli, conviene che si armino di coraggio e prendano a battere porte un po' meno periferiche.
Sperando, come mi disse una volta un caporedattore di un grande giornale ormai perso di vista (ahimè) di avere una zia che li possa ospitare mentre fanno (discretamente e gentilmente) la fame come freelance e/o affini.

Un'ultima strada, infine, c'è: dopo un discreto numero di porte in faccia e di pezzi scritti (letti, montati etc etc), chi può dovrebbe chiedere alla suddetta zia un piccolo gruzzolo e usarlo per mettere in piedi da soli, senza improbabili editori alle spalle, un team di persone volenterose, capaci e con ruoli ben precisi e differenziati (chi scrive NON PUO' fare anche l'agente! Al limite giusto il direttore può trattare con gli inserzionisti, guardandosi bene dal parlarne nei propri editoriali, soprattutto non in maniera elogiativa) e tentare di reinventarsi questo lavoro, tuttora affascinante per chi abbia davvero curiosità e capacità di interpretare il mondo.

Se potessi, sarebbe proprio questo quello che farei.
E' solo un sogno?
Beh, se lo fosse, è già un segnale che sono ancora viva. E lotto ancora, anche se in un presente sempre meno limpido.
E voi come state?














 

1 commento:

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