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mercoledì 26 settembre 2012

Da Jane a Cita, in attesa che cominci questa benedetta seconda vita



Il precedente post deve aver scatenato la ubris divina: "Pensi di somigliare, tu o tua madre, a Jane Fonda?", si sono detti gli dei di qualche incerto Olimpo, "E allora beccati una para-influenza rammollente".
Così è stato. Se lunedì decantavo i prodigi psicofisici delle mie insegnanti di aerobica-step-gag-squat etc etc, oggi mi sento come se mi avesse schiacciato un caterpillar.
Passerà (per forza), però lo stato di abbattimento e il ronzìo delle orecchie mi ha portato all'ennesima amara riflessione sul mio stato di non-lavoro, meglio, di non-disoccupazione assoluta.
Ogni tanto rilancio gli appelli dei colleghi precari che stanno ancora in qualche modo a galla, ma in verità mi sento sempre più lontana da un mondo del quale, alla fin fine, ho fatto parte solo per pochi anni. Su New Tabloid, il mensile dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, c'era un interessante primo piano sull'uso di Twitter per i giornalisti. I più bravi, pare, sono definiti "twitteri". Al di là della forma, leggiucchiando (mentre mi misuravo pateticamente la febbre che non ho) oltre, mi sono vista allo specchio: sono Cita non solo nel fitness (almeno per questa settimana non credo che riuscirò a tornare in palestra), ma ancora di più mi sento e temo mi sentirò (purtroppo non solo per sette giorni) una specie di australopiteco dell'informazione, per la mia distanza sempre più marcata dai nuovi media. Non che non li bazzichi, ma sinceramente non riesco a vederne il risvolto pratico per la mia vita e quindi per il mio status di pennivendola poco venduta.
Non è una lamentela da canto (diurno) di venditore d'acqua calda di bracardiana memoria. Temo sia la realtà dura e cruda. Non sono mai stata una che sta sul pezzo, nel senso moderno della brutta espressione gergale. Il punto è che - probabilmente - non mi va neanche di esserlo, se questo significa cinguettare tutto il giorno o anche solo seguire compulsivamente tutte le news.
Oggi sono rientrata sul mio profilo Twitter (sul quale mi limito a rilanciare i post che scrivo sui miei blog o al limite le boiate che pubblico su Facebook), ma mi sentivo spersa, un po' come la nostra gatta che non ha ancora capito di essere stata adottata.
Sono una specie di Heidi anch'io, ma in fondo lo sono sempre stata.
Per combattere la sindrome dello spaesamento, mi servirebbe - ne sono consapevole - un ambiente fertile e stimolante intorno a me, ma tolte le esperienze preziosissime che continuo a cercarmi come l'aria, poi me ne ritorno qui e la mosciaggine si reimpossessa di me.
So bene di essere condizionata dallo stato di salute attuale, però ho bisogno di uscire, da questa casa, ma ancora di più da un guado che mi fa piangere di amarezza quando mi capita, come m'è successo giusto qualche giorno fa, di ritrovare vecchi esercizi di stile decisamente buoni, rimasti lì a impolverarsi insieme con il mio primo, più che obsoleto portatile.
Mio padre me ne ha da poco regalato uno nuovo: per la precisione è il terzo che mi elargisce.
Quanto vorrei che mi servisse a buttarmi per davvero, o almeno a togliermi quel senso forse molto più antico di me di fallimento che mi ha fatto fuggire da luoghi più faticosi, ma decisamente più vivi di quello in cui ho scelto di rifugiarmi.
Mi scuso per il tono di autocompatimento di queste ultime righe, anche perché so mi scuoterò (in fondo l'ho sempre fatto), però non ho voglia quasi mai di sterili rivendicazioni. Ho talento, di questo sono sempre stata convinta, ma non sono un genio e se anche questi ultimi fanno fatica nel nostro Paese, figuriamoci quanta ne fanno quelli come me anche con un pizzico di fiducia e di incoscienza in più di quanta ne abbia mai avuta io.
Il tempo, comunque, non scorre mai invano. Mi fa soffrire, ma sono contenta per lo meno della mia consapevolezza.
E poi la vita non è finita. Magari sta solo per cominciare un secondo tempo.
Basta solo aspettare. E tornare in palestra per allenarsi ad affrontarlo con i muscoli ben caldi.

lunedì 24 settembre 2012

Come Jane Fonda... più o meno


Oggi, purtroppo, ho la febbre. Un febbrone da cavallo, penserete voi. Per quanto mi riguarda è proprio così, dal momento che mi ammalo molto raramente. Ho... trentasette e uno, udite udite, ma è come se fossi a un passo dal delirio. Temo peraltro di esserlo già abitualmente, ma lasciamo andare.
La foto che vedete in alto, del resto, potrebbe già bastare a capire in che condizioni sono.
Tempo addietro ho realizzato che tra mia madre e la Jane Fonda regina del fitness degli anni Ottanta c'era una certa somiglianza. Chi mi conosce superficialmente ravvisa a sua volta una certa comunanza tra la prima e la sottoscritta (e d'altra parte sono figlia sua e a chi altri potrei mai rassomigliare?).
Sillogisticamente, credo, ho anch'io qualcosa della Jane. Preciso subito che non si tratta delle gambe (le mie sono, diciamo così, più forti e un tantino più corte).
Quel che più ci accomuna, in ogni caso, è proprio la passione per la ginnastica, rinvigoritasi in me da quando vivo nelle Marche, dopo una lunga fase di stop che mi aveva appesantito nel fisico e nell'anima, e via via mai più lasciata. Da un paio d'anni, in particolare, frequento la palestra simil-comunale di Fermo (la cosiddetta palestra del Coni, anche se in verità è gestita da una cooperativa che mi ha dotata persino dell'asciugamano "aziendale"), che mi piace assai per l'ambiente assolutamente nazional-popolare.
A frequentare i corsi di ginnastica, siamo donne di tutte le età e immagino ceto sociale, dai 14 anni alla sessantina e passa. La frequenza scema con l'avvicinarsi della bella stagione o del Natale, però le assidue come me restano comunque numerose.
Non so spiegare perché, ma quando sono lì che salgo e scendo dallo step o dopo, quando guardo le forti luci al neon mentre ci massacrano con gli addominali, è come se vivessi un processo mistico, come se finalmente uscissi da me stessa per diventare tutt'uno con il tappetino, confortata e stimolata dalle tante gambe all'aria che vedo intorno a me.
Mi piace mescolarmi alla massa di donne in tute da ginnastica e osservare, tra una pausa e l'altra, il gruppo delle ragazzine del liceo, le più carine del corso, che chiacchierano tra loro canticchiando le brutte canzoni dance che ci danno il ritmo degli esercizi e poi conversare di inezie con una giovane laureanda con cui abbiamo stretto una forma di amicizia da quando ci siamo accorte di essere tra le poche fanno la doccia lì.
Insomma: aspetto di solito con grande entusiasmo le ore di ginnastica settimanali, che si tengono il lunedì, il martedì (giorno dell'accumulo maggiore di acido lattico, per via dei circuiti della tostissima insegnante sessantenne... altro che Jane Fonda) e il giovedì.
Oggi, ahimè, sono costretta a saltare (il lunedì c'è Tiziana, la bionda energetica insegnante con una inesauribile fantasia per le coreografie), ma spero proprio di rimettermi in fretta.
C'è infatti una sensazione davvero impagabile che provo solo alla fine, quando, dopo la doccia e la parziale (accidenti a me) asciugatura dei capelli, mi rimetto in macchina e percorro i pochissimi chilometri che mi separano da casa. In quel breve tratto, mi sento completamente in pace con me stessa, pronta ad affrontare qualsiasi sfida, in una sorta di limbo psicofisico carico di benessere.
Ecco. Sarà questa la vera ragione che ha spinto la Jane a darsi all'aerobica. Ancora adesso (almeno fino a un paio d'anni fa sicuramente) insegna ginnastica agli anziani a distanza, con quel sorriso tipico delle vere maestre del muscolo tonico, capaci di farti sentire più magre e più flessuose già dopo una sola sequenza di glutei o di squat.
E se davvero (ma sarà vero?) che un po' le somiglio, mi auguro soprattutto di conservarne lo spirito. A differenza sua, infatti, non credo che potrò (né forse vorrò, ma mai dire mai) ricorrere al chirurgo estetico, al momento del prolasso inevitabile.
Ma qui posso dirlo: mia madre è ancora piuttosto piacente (checché ne dica lei), quindi se è vero che buon sangue non mente...
La vedremo. Per forza. Il tempo corre. Accidenti se lo fa.