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martedì 14 gennaio 2014

Ninotchka e il fascino del cinema senza tempo


 
Credo di averne già parlato da qualche parte. Se l'ho fatto, beh, scusatemi (siete così pochi a seguirmi che se ne ho parlato, ve ne sarete sicuramente accorti).
In tutti i modi, ieri ho visto per la prima volta sul grande schermo Ninotchka, uno dei miei film maggiormente amati. Non so in effetti scegliere tra la pellicola passata alla storia per "la Garbo che ride" o l'altra, altrettanto perfetta, di Ernst Lubitsch che cito spesso senza quasi accorgermene. Sto parlando di "Scrivimi fermo posta", in inglese, più appropriatamente, The shop around the corner (il negozio dietro l'angolo, per i pochi non anglofoni rimasti).
 
Non ho quasi mai letto i sottotitoli in italiano, ma devo precisare che la perizia linguistica appena rivendicata in verità è stata di gran lunga sostenuta dal fatto che conosco il film a memoria, praticamente.
Anzi: lo conosco talmente bene che mi sono accorta persino degli errori nei sottotitoli che ogni tanto ho sbirciato (quando parlava la "granduchess Swana", per dire, non capivo quasi una mazza. Perdonatemi l'italianismo non troppo educato).
 
Capisco che la lingua si evolva e che debba adattarsi ai mutamenti dei costumi, però, per farvi un solo esempio, era proprio necessario sostituire la più musicale e francese parola "verve" con finezza, che non è proprio la stessa cosa?  
 
Mi riferisco a quando la granduchessa Swana incontra Ninotchka e Leon insieme e attacca a parlare a macchinetta (ed è lì che non ho capito assai) del cagnolino che lui le ha regalato.
A un certo punto si rivolge alla bella bolscevica scusandosi falsamente di fare discorsi che lei non può sicuramente capire. Ninotchka, invece, ricambiandola di altrettanto falsa cortesia, la rassicura: ha capito proprio tutto.
Allora Swana, teatralmente, sospira: "Oh mio dio, sto perdendo la mia verve". Così nel doppiaggio degli anni Quaranta (o Cinquanta, non più tardi, comunque), che mi ha da sempre conquistato.
 
La voce della Garbo era infatti affidata ad Andreina Pagnani, che ho imparato a conoscere puntata dopo puntata nei Maigret con Gino Cervi, per aver interpretato la fedele moglie Louise.
Una voce bellissima, dolce e profonda insieme. Il mio ideale di voce femminile.
 
E insomma. Le voci autentiche di Greta e Melvin (Douglas) sono altrettanto affascinanti e mi hanno fatto letteralmente impazzire nelle scene successive al teso incontro con la granduchessa, quando, ubriachi, fanno ritorno in hotel.
Che recitazione, accidenti.
 
Prima del film, che ho visto (a proposito) alla Sala degli Artisti di Fermo, che ha organizzato un cineforum lungo un anno intero con le pellicole presentate all'ultima Rassegna di Bologna nota come "Il Cinema Ritrovato", ho scoperto, ascoltando l'introduzione, che l'attrice di origine svedese smise di recitare due anni dopo Ninotchka per via del flop subito dal film successivo. 
 
Chissà se non c'erano anche altre ragioni, considerato tra l'altro che in molti Paesi la pellicola, uscita nel 1939, venne vista solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, come è stato specificato sempre prima della proiezione.
 
Magari era stanca, magari una diva abituata a stare sulla ribalta per molti anni finisce per non sopportare neanche il più piccolo stop. In fondo, succede anche oggi. Soltanto che di stelle così non ce ne sono poi molte.
Non voglio fare la passatista, eh, però capolavori così moderni e insieme senza tempo non nascono tutti i giorni.
 
Vi lascio con la scena dell'incontro tra il sergente Yacushova e il borghese Leon sul marciapiede parigino: ho ritrovato il suono dei clacson in un brano di Jelly Roll Morton chiamato Sidewalk Blues. Quest'ultimo, a sua volta, mi ha fatto troppo pensare al kazoo di Paolo Conte, che ama moltissimo il Jazz degli anni Venti e Trenta (e si sente tanto nella sua musica). Non potete immaginare che soddisfazione mi dia fare questo tipo di collegamenti: per trovarne altri, probabilmente, mi ci vorrà tutta la vita.
 
E meno male.
Prima di lasciarvi al video, aggiungo un'ultima preghiera: se potete, andate a vedere Ninotchka e altri film così grandi al cinema.
Avrete anche dei tv iper-ultra tecnogici, ma le luci che si smorzano in sala e persino i colpi di tosse dei vicini (e qualche dannatissimo cellulare che ogni tanto squilla ancora: ma li mortacci...), vi regaleranno tutt'un'altra profondità. Buona visione!
 
 
 

 
 

domenica 12 febbraio 2012

Sorrisi di una mezza mattina siberiana



E adesso quel cumulo è ancora più alto: per dare l'idea delle proporzioni, l'ho fotografato di nuovo con la gattina che guarda verso l'alto per tentare di scrutare verso l'orizzonte, decisamente inaccessibile a una creaturina (teppa, ma pur sempre piccola) come lei. Però non ho ancora scaricato la foto, quindi ne ho riciclata una vecchia, si fa per dire, visto in che condizioni siamo a distanza di dieci giorni dalla prima bufera.
Giuliano il Muratore ci è salito sopra, passando dal nostro davanzale, per liberare la grondaia paurosamente appesantita dal ghiaccio. Il risultato qual è stato? Che il cumulo sottostante più quello di una trentina di centimetri buoni creato dall'ultimo blizzard (mortacci all'inglese) hanno prodotto un ammasso bianco alto praticamente come me. Vabbè, ci vuole poco, però non è molto simpatico dover prendere il panchetto poggiapiedi, che utilizzo per scaricare meglio il peso delle gambe quando sto al computer, per guardare lontano assieme alla mia gatta.
Ma qui volevo parlare della nevicata del '56, che io ben ricordo.
E come no? Me l'ha chiesto Giuliano il Muratore se ai tempi ero bambina.
Lo stesso che lo scorso maggio mi aveva domandato, vedendomi con lo zainone sulle spalle, se per caso stessi andando a "lu campu", forse per una gita con i lupetti. In quell'occasione, infatti, mi aveva chiamato "signorina", come fa praticamente sempre quando mi trova in casa da sola. Se invece c'è mio marito, allora, forse, si ricorda che devo avere una certa età. Giuliano il Muratore ha un senso del tempo piuttosto elastico.
D'altra parte, doveva trovare pure un appiglio per ritirare fuori la nevicata epocale, precedente all'attuale, almeno nei ricordi dei più anziani. Qualcun altro, invece, ha parlato di quella dell'85 e di quella del 2005 un gruppo ancora più sparuto, composto, per la precisione, dal tabaccaio precedente inquilino del nostro attuale appartamento, un ragazzotto tanto buono ma tanto, tanto, triste e dal nostro proprietario, un uomo un fermano. Quest'ultimo si è soffermato anche sulla qualità dei fiocchi della nevicata che ha inaugurato i miei anni in terra marchigiana, molto più grossi di quelli attuali, quindi capaci di fare volume assai più in fretta. In effetti, non avevo mai visto fiocchi così fini e così insidiosi. Quelli del 2005, invece, onestamente non li ricordo, ma gli credo sulla parola.
Però, lo confesso, queste chiacchiere meteorologiche mi annoiano mortalmente.
Succede un po' come con le foto o con il giornalismo: ti si parano davanti una serie di esperti da fare impressione. Ma dove avranno imparato così tanti segreti sulla luce più giusta o sulla vera fonte di una notizia?
Ma come faranno a dare un'opinione proprio su tutto con tanta sicurezza?
Beati loro, ma veramente. Chi è sicuro di sé, normalmente, vive meglio.
Per quanto ne so io, non ho ancora chiaro quando (e se!) ne usciremo: ora ha ripreso nuovamente a nevicare.
Certo, debolmente, ma quanta incertezza dà sentirsi del tutto in balìa della natura.
Un mio amico di Facebook dice che la neve ci ha imposto ritmi più lenti, che avvicinano le persone. La frase non è sua, ma di una sua amica, in vena di romanticherie. Considerazioni del genere da gente abituata a usare l'auto pure per fare cinque metri mi danno veramente noia, ma in questo caso non conosco bene il tipo né la sua amica, quindi gliele lascio passare.
Per me, che non esco abitualmente da casa per andare a lavorare da qualche altra parte, non è che sia molto cambiato il mio modo di vedere gli altri o la vita. Però riconosco che ci si sente un po' più sollevati, un po' meno in colpa di non poter fare di più.
Quando tutto questo sarà finito (perché un giorno dovrà succedere. Tutto arriva), torneranno i vuoti e l'irrequietezza congenita (ho rubato la parola alla mia amica scrittrice Loretta e al Chatwin cui avevano paragonato tre suoi racconti).
Perciò conviene godersi questo momento ancora un po'. Come diceva Greta Garbo in Ninotchka: "La rivoluzione arriverà, ma non subito, per favore".
Meglio sorridere.
Di noi, innanzitutto, e di quel che sarà.