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venerdì 19 ottobre 2012

Via dall'Italia prima della disfatta. E Why Aye Man



"Che lavoro fa"? I medici specialisti lo chiedono spesso per appurare se ci possa essere l'usura professionale tra le cause dei disturbi lamentati dal paziente.
A giudicare dai dati presentati oggi da non mi ricordo più quale organismo (poi lo controllo: adesso non c'ho voglia. Comunque l'hanno detto al tg3 del pomeriggio), alle donne italiane farebbero meglio a chiedere: "che lavoro non fa?", considerando proprio il non-lavoro tra le possibili fonti di stress organico.
In tutti i modi, a volte capita che qualcuna che un lavoretto l'ha anche trovato, preferisca tirarsene via prima, per l'appunto, di rovinarsi la salute.
Lo raccontava ieri mattina in coda per le analisi una giovane donna dal viso pieno a un conoscente anziano, amico forse dei suoi genitori, che esibiva uno sguardo molto malinconico.
"Dal call center? Me ne sono andata. Ma per carità. Adesso lavora solo mio marito, è caporeparto alla frutta". Subito dopo ha precisato che neanche il lavoro del coniuge è sicuro, ma meglio di niente. E comunque adesso a lei sarebbe toccato un compito non meno impegnativo: diventare mamma, visto che si era appena resa conto di essere in dolce attesa. Mentalmente le ho augurato buona fortuna. Sperando, naturalmente, che prima o poi possa tornare anche lavorare, perché di certo una mamma casalinga non è un buon esempio, soprattutto se dovesse mettere al mondo una bambina, che un domani finirà per convincersi che anche se sta a casa fa niente.
Tornando alle file dai medici, comunque, tolti quelli che parlano dei propri e altrui acciacchi, in generale ci si sofferma spesso sul lavoro, sul proprio svolto in anni passati, come nel caso di un vecchietto di bassa statura (era poco più alto di me, che come si sa non sono un vatusso), occhialini su un paio d'occhi buoni buoni. "In Germania c'è tutto un altro sistema", mi svelava a un certo punto di un'attesa particolarmente lunga, "lì non vai tu a cercare il lavoro, ma succede il contrario: se ti trovano per strada, ti fermano e ti chiedono se vuoi lavorare da qualche parte. Però se non accetti e ti ritrovano in strada una seconda volta, ti rispediscono direttamente a casa tua".
Dovevano essere ricordi di gioventù, suoi o di qualche conoscente (non ho effettivamente capito se era un ex emigrante, so solo che per un lungo periodo ha adoperato un muletto con una leva assai resistente, un incarico molto delicato che richiedeva una preparazione ad hoc. Mi domando se oggi sia lo stesso, ma immagino di sì almeno nelle grandi aziende. Comunque me lo auguro).
Di fatto lui la sua pensione se l'è guadagnata, cosa che, come ha considerato a un certo punto del suo monologo durante il quale mi sono limitata ad annuire di approvazione, non accade ai giovani. Con il lavoro così spezzettato e insicuro, mi ha spiegato con linguaggio semplice, è difficile pure comprarsi da mangiare. E se non si mangia come si fa?
Già, come si fa?
Si tenta la sorte, sperando che la fortuna prima o poi arrida, cambiando Paese, come facevano non solo gli italiani, ma anche inglesi, scozzesi e irlandesi non so bene in quale periodo storico, nella canzone sopra linkata di Mark Knopfler. A citarmela, è stato ovviamente Sfaccendato, che conosce a menadito tutto lo straordinario repertorio di un musicista di rara classe come l'ex leader dei Dire Straits. Ma la canzone è molto nota anche a me, visto il grandissimo numero di volte in cui l'ho ascoltata.
Nel testo si parla per l'appunto di Germania e di un gruppo di immigrati che dopo il lavoro immerso nel rumore, nella polvere e nel sudore, passa la serata come può, se possibile in compagnia della propria "pretty fraulein".
In pochi versi, il grande Mark affresca la vita dell'immigrato per antonomasia, uguale in tutti i tempi e origini nazionali. Meglio di un reportage, meglio di un'indagine storico-sociale.
Non so se ancora oggi in Germania ti vengano a cercare sulla strada (qualcosa mi dice che non sia più così), ma gli aneddoti raccolti in questi giorni sembrano elargire l'ennesimo messaggio subliminale a intraprendere la via dell'espatrio prima che sia troppo tardi.
Non parlo tanto per noi Sfaccendati, che abbiamo già una certa età e vari impedimenti; penso piuttosto ai giovani citati dal gentile vecchietto e ai ventenni nominati da mio padre in auto giusto ieri. Chi non ha famiglie, figli (o gatti: non si adattano mica così facilmente ai cambiamenti le simpatiche creature) o vincoli d'altra natura fa bene a mollare l'Italia al suo destino.
E pazienza se sarò annoverata anch'io tra i piagnoni tricolore, però, francamente, finché non vedrò uno straccio di segnale di rivalsa morale (ma ci accorgiamo di quello che sta succedendo in Grecia?), finché avremo casi Fiorito-Maruccio-Trota-etc etc, nessuno mi toglierà dalla mente una visione più che mai fosca della terra che mi ha dato i natali.
Vi ho depresso? Ascoltate il brano di Mark e vi tornerà l'energia.
Why Aye Man, amici.