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venerdì 21 aprile 2017

La vita che ho deciso arriverà: grazie, Paola Turci


Ho fatto una full immersion nella musica di Paola Turci per motivi di lavoro.
Mi ricordavo perfettamente Bambini che, non so dirvi perché, ma mi ha sempre colpito.

Quasi quasi mi vergognavo ad ammettere che mi piacesse, per quella forma di snobismo di sapore universitario dalla quale faccio ancora fatica a liberarmi.

Ebbene: ora lo dico.
Paola Turci fa un ottimo pop, nutrito tra l'altro da una grande voce e una notevole professionalità.

Ce ne fossero di cantautrici così in questo Paese di dilettanti.
Non che abbia nulla in contrario sul legittimo desiderio di cimentarsi con le arti: l'importante è sapere che c'è una bella differenza tra chi conosce il mestiere grazie anche alla lunga gavetta che la medesima Turci dice di aver fatto, e chi ne fa il più appassionato degli hobby.

Ho scelto questa canzone dell'album uscito lo scorso 31 marzo intitolato Il secondo cuore perché ne cita le parole in un verso. Avrei voluto metterci direttamente l'omonima che ha scritto per lei Enzo Avitabile, ma non sono riuscita a trovarla. 

La Turci mi ha spiegato che cosa significhi per lei questa espressione (lo sta dicendo a tutti i media che la stanno intervistando in questo periodo, per la verità), ma io gliela rubo per i miei tristi scopi da blogger.

Non si rinasce, almeno, non si rinasce una volta sola, considera la cantautrice, ma tutto ciò che siamo è frutto di ciò che siamo stati, quindi di continue trasformazioni. O rinascite, se ci piace di più.
Cambiamo, rinasciamo continuamente, fino alla fine, insomma.

Bella scoperta dell'acqua calda. 
Può essere. Però è vero che ci sono alcuni momenti speciali in cui avvertiamo più profondamente il processo di cambiamento. O di liberazione da inutili fardelli

Sento molto questo genere di messaggio nell'album della Turci, indipendentemente dagli arrangiamenti che non sempre mi convincono, in qualche caso usati (a mio avviso) per strizzare l'occhio ai consumatori di radio commerciali.

Mi piace la sua energia, mi ci riconosco, o forse aspiro a qualcosa di simile pure per me.

Credo dipenda dalla sua maturità come donna, penso davvero che il suo "fatti bella per te" possa significare molto per chi sta facendo i conti con il tempo che passa.
Il messaggio sarà anche semplice, detto diversamente, ma funziona, proprio perché detto da questa professionista dello spettacolo. 

Vent'anni fa, esattamente in questo giorno, mi sono laureata.
Doveva essere una data felice, di quelle che ti proiettano nel futuro.

Ci ho messo almeno una decina d'anni per superare il grosso delle conseguenze della mia prima vera crisi di crescita.
I dieci successivi mi sono serviti per recuperare il sorriso, lo stesso, ebbene sì, che ho visto nelle interviste e nelle clip di questa signora della musica.

Non si guarisce mai del tutto, ma niente, davvero niente, resta com'era. Per fortuna.

E' proprio questo passaggio della canzone che le ha scritto Avitabile ad avermi colpito di più.
In questo, secondo me Turci & co ci hanno visto giusto.

Quando capisci che va bene così, in conclusione, ossia quando lasci cadere illusioni e falsi miti, è proprio allora che tiri fuori il meglio di te.

Certo: ci vogliono denari o altro genere di risposte concrete, ma mi sono convinta da sola, già da prima di incrociare Paola sulla mia strada, che predisporsi al cambiamento porta qualcosa.

Ti aspetto al varco, vita che ho deciso.

mercoledì 27 aprile 2016

La cucina di mia madre e i cambiamenti



Nello spogliatoio della mia amata palestra, si parlava di fritto di qualità. Una mia simpatica omonima, in particolare, diceva che per Pasqua voleva assolutamente il menu tradizionale e che se non fosse stato possibile a casa di non so quale parente, ci avrebbe pensato lei.
Parlava di "agnello fritto" (eh, lo so, per i miei eventuali amici vegetariani e vegani è un bel colpo), ma soprattutto di zucchine fritte.
Mi sono tornate in mente, altro che Proust, le zucchine impanate a fili di mia madre. E le sue alicette pastellate e spruzzate di limone.

Qualche giorno fa mi è successo qualcosa di simile mentre cucinavamo, mia sorella ed io, i carciofi ripieni. Essendoci avanzato parecchio impasto a base di pane sbriciolato, preparato da una eccezionale infermiera cuoca che aiuta mio padre, ma rafforzato da mia sorella con prezzemolo, aglio e olio, ho avuto l'idea di aggiungere qualche patata, debitamente scavata e riempita.
L'accostamento del tubero all'ortaggio era abituale per mia madre: me l'aveva ricordato qualche settimana prima una zia, nel mostrarmi i suoi ottimi carciofi cotti come i nostri in padella.
La mamma, in verità, non usava quasi mai l'aglio né cucinava i carciofi sui fornelli, bensì in forno, ma è stato comunque, almeno inconsciamente, un mio tentativo per celebrarla.

Quello stesso giorno, nella nostra casa di Francavilla, abbiamo fatto pulizia di oggetti e vestiti non più utilizzabili. Tra questi ultimi, ahimè, c'erano anche i suoi costumi. Alcuni mai messi: almeno, io non glieli ho mai visti.
Ma lei era così: comprava un sacco di roba anche per il mare, ma poi, non si sa bene per quale processo psicologico (a noi figlie ci sembra ogni tanto che volesse punirsi di qualche colpa immaginaria), metteva sempre gli stessi costumi, le stesse vestagliette. Una di queste è finita nel mio bagaglio e ora è nel cassetto. So già che difficilmente la indosserò: mia madre aveva tipo una quarta di reggiseno e un paio di taglie in più di me, ma non ce l'ho fatta. E poi chissà, magari me la metto lo stesso.

Non so che cosa mi sta succedendo, ma ogni tanto mi pare che sia tutta colpa dei cambiamenti che sto vivendo in questi giorni se, all'improvviso, senza un motivo apparente, mi tornano alla memoria questi micro-flash del passato. Non mi riferisco solo a mia madre, ma anche ai profumi ritrovati della mia adolescenza, in un primo pomeriggio di giorni fa sul balcone della casa dei miei, e ad altri ricordi più recenti (dieci, quindici anni fa) di quella che ero e non sono più.

Mi stupisco, a tratti, della mia età attuale e in altri mi sento la stessa energia e la stessa voglia di fuggire che avevo da ragazza. Quella nutrita da giovane adulta, voglio dire, prima che il dolore si abbattesse sulla nostra famiglia. Prima che arrivassero le malattie e i doveri di una figlia di padre anziano.

Fuggire, ho detto. Forse non è esatto.
Vorrei solo che davvero la fase che sto vivendo sia la mia occasione per ricominciare daccapo.
Qualcuno con più fede di me direbbe che già solo desiderarlo fortemente è un buon segno. Sinceramente, la mia testarda razionalità (quella che spesso mi frena più del necessario, lo so) mi impedisce di crederlo fino in fondo. Ma comunque io ci sto: afferro quello che sta arrivando e cerco nel tempo libero di lasciarmi scivolare ciò che viaggia in senso opposto, miei scetticismi compresi.

Sono incuriosita dalle persone con cui ho cominciato a lavorare ed è obiettivamente una gran cosa.

Ieri mi si è rotto il gancio del laccio porta ciondolo con la fotografia di mia mamma.
Qualche settimana fa ho perso il suo portachiavi (e le relative chiavi, mannaggia a me).
Il mio lato animistico-abruzzese mi suggerisce che siano tutti segni delle energie che circolano intorno e forse anche dentro di me.

Questo corpo che non è riuscito ad accogliere una nuova vita, probabilmente, vuole comunque essere vitale e fecondo. Lo sento. E stavolta la testa non c'entra.
Speriamo davvero di poter dimostrare chi sono e cosa posso diventare quando mi sento nell'ambiente giusto. Non solo agli altri, ma soprattutto a me stessa.

Chi vivrà vedrà.
Alla prossima, cari amici.