Sto cercando di fare ordine tra le sensazioni che mi ha
provocato lo spettacolo di Giorgio Montanini visto ieri sera nel teatro di
Porto San Giorgio.
Ho avuto almeno un paio di volte la tentazione di andarmene
via: del resto, Montanini in persona, comico nato a Fermo nel dicembre del
1977, come si legge nella nota biografica sul sito della Rai per il suo
programma "Nemico pubblico", aveva esortato a farlo nel caso in cui
le sue parole fossero risultate troppo urticanti.
Però non so bene a cosa si riferisse lui, se al cosiddetto
turpiloquio (una parola che amava molto la mia mai giovane prof di greco) o al
senso di superiorità nei suoi confronti capace obiettivamente di indurre in chi
non si scandalizza o finge di non farlo.
Da brava autistica quale sono, se dovessi analizzare
passaggio dopo passaggio il suo show, sarei costretta a dargli ragione su
tutto.
Sul maschilismo dell'Italia, sui luoghi comuni a proposito
dell'esperienza della paternità, sui danni causati da Papa Bergoglio
all'anticlericalismo in particolare dei comunisti (ma direi a tutto il mondo
radical chic nel quale per molto tempo ho creduto di poter entrare pure io),
sul razzismo e la mediocrità della massa e via discorrendo.
Resta però il fatto che ascoltarlo e guardarne il corpo
appesantito sulla scena non mi ha dato alcun piacere.
Anzi. Mi ha reso triste e incazzata. O forse l'ordine è alla
rovescia.
Alla fine sono rimasta, facendo barchette di
carta con i pezzi del biglietto, sovrastata in certi istanti dalla disperazione di essere lì e non da tutt'altra parte.
Sono sicura che abbia fatto tanta gavetta e che meriti di
avere una chance, ma alla conclusione buonista sono arrivata solo a chiusura
dello spettacolo quando ha ringraziato il pubblico parlando finalmente in italiano
(il comico Francesco Capodaglio, con il
suo sketch in sangiorgese stretto, mi ha fatto ridere più di lui, detto tra noi).
Mentre lo ascoltavo concionare in vernacolo, mi domandavo se
lo stia usando anche nel tour nazionale in cui è impegnato in questo periodo.
Per carità: è pieno di gente di palcoscenico che usa il dialetto ed è anche
vero che certi concetti passano meglio se espressi nella lingua madre.
Resta pur sempre il fatto che un intero spettacolo in
fermano (ma per me sarebbe stato lo stesso se fosse stato in abruzzese, la mia
lingua madre) mi ha dato il colpo di grazia.
Sì. Credo che su tutto quel che più ha ferito la mia idea di
bellezza demodé sia la rozzezza modernissima di questo esponente della stand up
comedy all'italiana. Si capisce che ha talento e professionalità e non posso
negare che abbia qualche ragione a sottolineare l'ipocrisia di chi gli ha
chiesto di mettere l'avviso vietato ai minori come sottopancia al suo show, al
contrario di quanto capita con politici e portaborse di ogni risma liberi di dire
impunemente qualsiasi oscenità.
Però mi sono sentita violentata e stamattina ho pianto come
non mi capitava da un po'. Sarà colpa del ciclo o del climaterio incombente
(femmina, pure anziana, eh lo so, triste destino nascere in Italia), ma non
prevedo di rivederlo a breve.
Ho bisogno di bellezza, lo dicevo prima, e soprattutto di
speranza. Cerco ogni giorno di vincere il dolore e la morte concentrandomi sui
segnali di vita che vedo intorno a me.
Di sicuro lo farà nel suo privato anche questo comico
quarantenne con la figlia e la compagna: per fortuna la realtà non ha mai una
sola faccia. E so anche, o comunque lo immagino perché ci sono passata pure io,
che perdere un genitore quando sei ancora abbastanza nelle pesti è un colpo
piuttosto duro.
Le sue battute ciniche sul cancro ne allevieranno un po' la
rabbia.
Solo che l'ha passata a me.
E questo proprio non glielo posso perdonare.