martedì 15 marzo 2016

Verso Venezia, dal viaggio mentale alla realtà con tutta l'energia possibile


E' ufficiale: da questo momento in poi sono entrata in clima pre-partenza.
Non riesco ancora a crederci che a quest'ora, tra due giorni, sarò (almeno spero!) dentro l'Arsenale di Venezia a dare il mio non meglio precisato contributo agli artisti (in qualità di "assistant") che già da qualche giorno hanno cominciato ad allestire i propri spazi.

Come leggete nel manifesto, i partecipanti alla decima edizione del premio Arte Laguna sono 120 e provengono da 35 nazioni diverse. 
Da quel poco che ho visto su Facebook e Youtube, di lavoro ce n'è ancora molto, ma, davvero, non ho la più pallida idea di quello che andrò a fare.

Per questo, forse, ieri non ho spiegato nulla nemmeno alla mia premurosa zia la quale pensava, in verità non so come mai, che fossi già partita e tornata.

Nella mia testa, in un certo senso, è davvero così: pur essendo all'apparenza svagata, dentro sono una macchina da guerra dell'organizzazione. Sui dettagli (tipo parrucchiere e smalto) sono piuttosto carente, ma, per esempio, per la preparazione del bagaglio sono già giorni che l'ho preparato mentalmente.

Che altro aggiungere? Nulla: spero solo di non fare figure barbine, da Calimero attempato, e di godermi anche un po' la città, per me un posto davvero speciale.
Diversamente, detto chiaro chiaro, non mi sarei imbarcata in quest'avventura.

Magicamente, almeno così mi sembra, l'ansia è circoscritta e sotto controllo.
Sarà che nei giorni scorsi ho fatto allenamento su altri fronti sensibili.
Oppure sarà davvero che sto diventando cuore di pietra.

Evito, il più possibile, di cadere in abusati schemi di comportamento.
Stavolta più che mai mi servirà quello che un tempo mi pareva un mio punto di forza: lo spirito d'adattamento.

Invecchiando, secondo me, un po' lo si perde, almeno lo si circoscrive ai soli ambiti in cui, davvero, non se ne può fare a meno. Tipo quando sei in mezzo a gente di cui non te ne frega nulla, ma verso cui devi mantenere un certo contegno, oppure quando, la butto lì en passant, devi apparire più sicura di come ti senti giusto appena sotto la pelle.

Nel resto del tempo, invece, mi sono convinta che sia di vitale importanza schivare le rotture di balle (per non dire di peggio). In altre parole, che sia assai più sano NON adattarsi.

Mai farsi violenza, amici, davvero. Mai.
Ecco: a Venezia in solitaria vedrò di mettere in pratica la mia nuova solo teorica saggezza.

Ho quasi pensato di portarmi il pc, ma alla fine, nel mio bagaglio mentale, ho capito che non c'era posto. E' facile che io posti foto e altre frasi sciocchine sui social, ma per un vero resoconto, spero anche fotografico, dei miei giorni in laguna, bisognerà che sia di nuovo tornata qui, alla base marchigiana.

Avrei potuto scrivere un pezzo classico sull'evento, sugli organizzatori etc etc, ma lascio che scopriate di che si tratta dai link che ho sparso qui e là.

Mi mancheranno i gatti, ma spero di incontrarne almeno qualcuno nei vicoli, manco fossi Corto Maltese.

In bocca al lupo a me (vi assicuro che ne ho bisogno). 
E a voi buon ingresso nella primavera!

venerdì 11 marzo 2016

Sibilla Aleramo e Dino Campana, un incontro a Porto San Giorgio carico di domande. Aperte



L'incontro al Teatro di Porto San Giorgio sulla storia d'amore tra Sibilla Aleramo e Dino Campana è partito con spezzoni del film Un viaggio chiamato amore con Laura Morante e Stefano Accorsi. A sceglierlo, gli organizzatori del terzo dei quattro appuntamenti chiamati  I giovedì dell'arte, un ciclo di lezioni voluto dai Licei artistici di Fermo e del paese ospitante.
Accorsi, ve lo confesso, non mi piace granché, per cui è probabile che abbia alzato il sopracciglio (destro o sinistro) senza accorgermene. I pregiudizi sono una brutta bestia, difficile da domare, ma quel poco di sale in zucca che mi è rimasto ha permesso al resto del mio corpo di restare incollata sulla sedia della platea del bel teatrino e di mettermi in ascolto.

Sinceramente: le lettere che la Aleramo scrisse durante l'anno d'amore con il poeta tosco-emiliano (lette dal vivo da Carla Chiaramoni) mi sono sembrate sciocchine, non troppo dissimili da quelle che potrebbe scrivere qualsiasi persona molto innamorata. Eppure, il loro legame, giunto in una fase della vita di questa donna affascinante e contraddittoria, morta nel 1960 a 84 anni, è assai letterario. Inevitabile, insomma, che se ne ricavassero film e che si moltiplicassero emuli di ogni risma.

Le poesie di Dino Campana, poi, o almeno, quelle lette (da Carlo Pagliacci) durante la lezione, mi sono sembrate bellissime. Non ne avevo idea, sono sempre più ignorante, per cui bene così.

Ho trovato molto brava, come già l'anno scorso a Belmonte Piceno, Sabrina Vallesi, la professoressa moderatrice: spero davvero che stia allevando almeno qualche fiore speciale tra i suoi studenti.
Ad averne di prof così.

In sala c'erano rappresentanti di tutte le generazioni, dai liceali alle signore dell'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina: piccole perle di vita di provincia, di quelle che ti fanno dimenticare, almeno per qualche ora, problemi presenti e futuri.

Nota a margine sul poeta fermano Franco Matacotta, di cui lungo conoscevo solo la lapide sul corso cittadino, all'altezza della sua abitazione: doveva essere un bell'opportunista, di quelli con la O maiuscola, almeno stando alla lettera di addio che gli scrisse la Sibilla.
Certo: sarebbe facile malignare sulla quarantennale differenza d'età tra loro (lei, naturalmente, la vecchia della coppia), ma se è vero che il nostro vip locale sottrasse le lettere tra la scrittrice e il poeta orfico non è che ci faccia proprio una gran figura.

Davvero: non ne so nulla, per cui mi limito a queste impressioni a caldo.

Mi domando, in ogni caso, se le multi-relazioni di questa antesignana del femminismo non siano dipese anche dalla violenza dalla medesima subita a soli sedici anni, dall'uomo che poi le famiglie costrinsero a sposare. Da quel che ho capito, non si trattò di un episodio isolato, per cui non oso immaginare quanta sofferenza si possa accumulare giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Dino Campana stesso, affetto da seri disturbi mentali, finì per essere accecato da gelosia morbosa e, manco a dirlo, di nuovo violenta, al punto che la scrittrice visse reclusa in un paesino alle pendici della Val di Susa per tentare di non vederlo mai più.

Antesignana del femminismo, certo, ma anche costretta ad abbandonare il figlio pur di allontanarsi dal marito-padrone. Sibilla non lo vide mai più: quanto una scelta del genere finisca per segnarti nessuno può saperlo.

Insomma: l'incontro di ieri mi ha lasciato svariate domande aperte.

Un giorno, forse, leggerò Una donna, l'autobiografia di Sibilla Aleramo, il cui cognome, ho scoperto da un pezzo della Ventisettesima Ora del Corriere della Sera, è l'anagramma di amorale, come questa signora (che nella realtà si chiamava Rina Faccio, era di origine alessandrina, ma girovagò tra Civitanova Marche, Milano, Firenze e poi Roma), scelse di chiamarsi.

Amorale non significa, ovvio, immorale.
A me dà l'idea che, invece, una morale ce l'avesse eccome.
La morale della libertà, con tutte le conseguenze che la medesima comporta.

Mi piace pensare che i suoi multi-amori abbiano placato almeno un po' il vuoto che più o meno ci afferra tutti. Sarà stata almeno qualche giorno davvero felice?

Non dò risposte. Non ne ho.
Buone domande a voi, amici.

martedì 8 marzo 2016

Fierezza, dignità e niente spogliarelli: buon otto marzo, amiche e amici

Grazie ad Alessandra di Torino per la mimosa che mi ha mandato su whatsapp

Non male il doodle di Google dedicato alla festa della donna.
Peccato che in questo giorno mi prenda una grande malinconia.
Gli auguri più belli erano quelli di mia madre per sms: retorici e dolci allo stesso tempo.
Da lei ho imparato un sacco e credo, francamente, di stare continuando a imparare.

Se fossi madre, forse me ne renderei ancora più conto. Ma madre, ahimè, non lo sono.
Condannata a essere (probabilmente) figlia per sempre, spero comunque di riuscire sempre a trasmettere alle altre donne tutta la fierezza che ho appreso nell'esserlo io stessa da questa donna oggi lontana.

Nata in primavera, ha scelto la stessa stagione per andarsene. Non c'era persona che amasse, come lei ha amato, i fiori, il sole, i profumi della natura. La vita.
Su molte cose siamo e rimarremo diverse. Ma chissà se è davvero così. Più passano gli anni e più mi specchio in lei. Mia sorella, mamma, dice che si è ritrovata ad applicare i suoi stessi, contestatissimi un tempo, sistemi educativi.

Nostra madre non era perfetta, nessuno lo è. Però era sincera, aperta e appassionata.
E se c'è una cosa che non dimenticherò mai, su tutto quello che mi ha passato con il sangue e con gli abbracci che da bambina scansavo, è il senso di dignità che metteva in tutto quello che faceva. E che infondeva in chi incontrava.

Non posso andare avanti, sento che mi sta salendo una commozione molto poco dignitosa.
E a lei non piacerebbe.

Le poche volte che ha lasciato che la vedessimo piangere sono tra i pochi brutti ricordi che associo a lei. Mi mancano persino i litigi, così sani e infantili (le porte che sbattevo e la voce che alzavo, sapendo bene di avere torto, mi fanno adesso solo una grande tenerezza).

Conserva il tuo sorriso e la tua ironia per l'infinito cielo, mia cara mamma.
E a voi, amiche e amici del blog, i miei migliori auguri.

I compiti che ci aspettano sono gravosi: ma ce la possiamo fare, alleandoci con chi ci vuole bene e cacciando, con o senza tacco 12, chi ci umilia.

E, per favore, lasciate perdere i patetici spogliarelli.
Semmai, spogliamoci noi di tutte le inutili illusioni sui principi azzurri & affini.

Fatelo capire alle vostre figlie, come ha fatto mia madre con me. E persino sua madre (una donna dolcissima, madre di quattro figli, classe 1911) con lei.

Forza.

mercoledì 2 marzo 2016

In viaggio/bis con l'amazzone Loretta Emiri. E le nostre autiste nel cuore

Loretta Emiri firma il suo libro "Amazzone in tempo reale" per le "meninas" di Servigliano

Sono proprio contenta di come sia andata lo scorso lunedì a Servigliano: Loretta Emiri è riuscita a incantare le signore, anzi le meninas, le ragazze alla portoghese maniera, intervenute all'incontro organizzato dall'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina alla Casa della memoria ricavata nella ex bellissima, vecchia stazione della cittadina fermana.
Io pure mi sono guadagnata ben due mazzi di fiori, nonché svariate eccezionali frittelle di mela "dop" preparate da una cortesissima associata. Soprattutto, mi sono sentita accolta e valorizzata. Davvero grazie.

Cos'altro aggiungere?
Questo: stamattina il Corriere Adriatico ha pubblicato buona parte delle righe di resoconto che avevo inviato a Utete e al mio contatto in redazione. E' una piccola cosa, ma anche in questo caso sono lieta che per una volta tutto sia filato senza intoppi.

Mentre guidavo sotto la pioggia battente con Loretta affianco, ho mantenuto una calma lucida che mai avrei immaginato di provare: sembrava quasi che a condurci fossero altri autisti. Altre autiste, di nome Anna Luisa e Ada, le nostri amazzoni generatrici che da qualche tempo ci seguono da un'altra parte.

Non volevo ammetterlo neanche con me stessa, ma era inevitabile che già durante i giorni che hanno preceduto la conferenza di lunedì mi sarei ritrovata ad associare il nostro secondo incontro pubblico al precedente di due anni fa, quando questa seconda o terza fase della mia vita doveva ancora cominciare.

Loretta è stata più diretta di me e ha aperto il suo dialogo con la platea serviglianese proprio partendo dal ricordo di sua mamma. Inevitabilmente ho finito per tirare dentro anche la mia, ma ho cercato di non cedere, almeno non troppo, all'autobiografia per lasciare il doveroso spazio a lei e al suo bel libro Amazzone in tempo reale.

Devo dire, però, che il contesto così caloroso si prestava alla fuoriuscita di emozioni più personali, per cui va bene così.
Ho, peraltro, apprezzato moltissimo il modo in cui Mara Cherubini, la presidentessa dell'Utete, ha presentato l'autrice e la sottoscritta. Avrebbe dovuto pensarci un'altra persona (il bravissimo e impegnatissimo Stefano Bracalente), ma questa mitica donna è riuscita in poco tempo a organizzare un discorso simpatico e vivace. Accidenti che professionista.

La sera di lunedì, ve lo confesso, ero distrutta: si capisce da questi particolari quanto mi sia disabituata a stare in mezzo alla gente.
A distanza di due giorni, sono ancora parzialmente in palla. Ma va benissimo così: ve l'ho detto, è bello e onorevole stancarsi.

Al prossimo massacro, amici.

giovedì 25 febbraio 2016

Servigliano (Fermo) incontra Loretta Emiri, amazzone in tempo reale


A distanza di due anni, eccoci di nuovo qua, cara amica Loretta Emiri, scrittrice e indigenista, madrina, non solo spirituale, degli Indios Yanomami che hai ben conosciuto nei quasi vent'anni trascorsi laggiù al confine tra Brasile e Venezuela.
Lunedì prossimo 29 febbraio, a partire dalle 16, dialogheremo infatti alla Casa della memoria di Servigliano, ed io, esattamente come la volta scorsa, cercherò di sparire dietro alle domande che ti porrò per lasciare spazio al tuo libro Amazzone in tempo reale, ma soprattutto a te, che meriti tutta l'attenzione del caso.

Preparandomi a riparlare della tua ultima fatica stampata, ho scoperto quanti altri tuoi testi circolino sul Web e non solo. Mi dirai, ci dirai, anzi, a noi che verremo ad ascoltarti, quali siano gli elettrizzanti nuovi progetti in cui ti sei lanciata. 

Sei davvero unica, lasciatelo dire: mai conosciuto una donna con una forza e una sensibilità come le tue. Continuo, a tratti, a provare nei tuoi confronti una certa soggezione, perché invece io continuo grandemente a svicolare. 
Hai scritto della paura provata in altre fasi della tua vita per gli eventuali successi che avresti potuto raccogliere, buttandoti. Alla fine, il carattere ha avuto la meglio e l'hai fatto: ed è una gran fortuna per noi che ti abbiamo conosciuto e per chi lo farà in futuro.

Non conosco direttamente le terre degli indigeni d'America da te narrate nei brani che compongono il libro dalla copertina verde riprodotto nella locandina che vedete sopra, ma la tua scrittura vivace e insieme sorprendentemente carsica me le hanno fatte amare.

Sono, devo dirtelo, piuttosto pessimista sul destino della battaglia per la conservazione di quel che resta di territorio, costumi e tradizioni originarie di tutta l'America del Sud (quanto è successo nell'omologa del Nord non lascia ben sperare), ma, al contempo, credo che si debba continuare a lottare, come fai tu anche a distanza, qui in questo enorme e contraddittorio vecchio mondo, scosso dal suo interno da altrettante giustissime rivendicazioni di nuova vita e spazi da parte di altrettanti esodati da casa loro. 

Dici bene: dare voce a chi non ce l'ha è un impegno morale, difficile da mantenere, certo, presi come siamo più o meno tutti dal nostro privato, ma a tratti, pure brevissimi, noi occidentali ce la dobbiamo fare.

Il mio piccolo contributo è, dunque, proprio questo: il post che sto scrivendo e la conversazione che avremo insieme lunedì. E tutte quelle che seguiranno ogni volta che vorrai e si potrà.

A voi che mi leggete, se siete in zona, una preghiera: partecipate numerosi.

Agli amici lontani, se volete scoprire bellezze e tristezze di sconosciuti popoli d'Oltreoceano, nonché la donna eccezionale che ne ha scritto, comprate il libro di Loretta. 
E allargate, come è successo a me, gli orizzonti. 

Grazie all'Università del tempo ritrovato e dell'educazione permanente di Grottazzolina per aver organizzato l'incontro come due anni fa.
Grazie a voi che verrete ad ascoltarci.
Grazie a Loretta, ancora di più.

giovedì 18 febbraio 2016

Stancarsi fisicamente è bello... a Venezia ancora di più!



Negli ultimi mesi ho deciso di essere più diretta in ciò che scrivo, essenzialmente perché ne ho bisogno io, ma anche perché mi sono convinta che per le chiacchiere da bar ci sono altri spazi.
Poi però succede che tocchi un tema sensibile come il lavoro, come mi è successo nel penultimo post, e ti ritrovi a doverti calare nella parte di quella che non crede nella lezione dei nostri padri e nonni.

Non ho mai pensato che il lavoro manuale sia di serie B: semmai, l'hanno pensato proprio i nostri avi che hanno fatto il possibile, con sacrifici immani che io non ho mai sperimentato, per liberare le nuove generazioni dal giogo della fatica fisica tout court.

Mi citava giustamente mio padre l'altro giorno un vecchio proverbio abruzzese sui pastori che pascolano le proprie pecore: solo in quel caso il peso del sudore, della sporcizia e della lunga solitudine passata sui monti non era percepito come tale. Lo stesso pastore, costretto a pascere il bestiame di qualcun altro, di certo sarebbe stato meno contento. E oltretutto, quanti abruzzesi hanno spinto i loro figli e nipoti ad abbandonare i prati montani pur di non vederli gemere di patimento?

Detto ciò, a me spiace, sul serio, di non aver imparato alcun mestiere pratico. Negli anni, certo, ho capito più o meno come si fanno le pulizie, come si stira, volendo, sarei in grado pure di fare biscotti e pane se avessi una famiglia numerosa da crescere e ho un certo talento per il bricolage (salvo bucare pareti con chiodini non adeguati a sorreggere suppellettili eccessivamente gravose).

Se posso dare una mano a spostare oggetti, sollevare pesi, etc etc, sono sempre felice.
Mi piace massacrarmi fisicamente. Il punto è solo uno: quando lo faccio, è per una mia libera scelta.
Chiediamolo ai ragazzini siriani costretti a raccogliere la frutta per i padroni libanesi di cui leggevo stamattina su Internazionale quanto sono felici di alzarsi alle cinque al gelo, un pomodoro ripieno per pasto, e di svenire sotto il sole che brucia.
Trovo terribilmente ingiusto che ce ne siano così tanti nel mondo e che, da questa parte dell'Europa, invece, si stia tentando di affossare una legge giustissima come la Cirinnà solo per manovre elettorali.

Purtroppo, però, qui vivo e qui, salvo improvvisi colpi di testa, resterò tutta la vita.
Come dare sfogo al legittimo bisogno di sentirsi utili per la società con o senza compenso, usando, magari, pure quel poco di fisico che mi è ancora rimasto?

Andando a Venezia al premio Arte Laguna a fare la "assistant" per l'allestimento di uno spazio espositivo all'Arsenale. Oggi ho partecipato a una faticosa riunione telefonica (ah, le tecnologie) organizzativa. Il messaggio che mi è arrivato forte e chiaro dalle organizzatrici è che sarà un "lavoro faticoso". Molto bene: è proprio quello che volevo. Tra le compagne d'avventura (manco a dirlo, siamo in stragrande maggioranza donne), due almeno potrebbero essere mie figlie, ma anche questo è bene. Ho bisogno di confrontarmi con gente in carne e ossa ed eventualmente cambiare di nuovo opinione su qualcosa.

In questo periodo di nullafacenza totale, infatti, quello che più mi spaventa è l'immobilità fisica più che mentale.
Non so come mi sia arrivata la mail che mi segnalava il bando per curare il backstage di questo premio: fatto sta che una mattina me la sono ritrovata lì tra altre newsletter.

Sarà il segnale dei Numi che stavo aspettando?
E chi può dirlo.
Io, comunque, ci sto: ben coperta (pare che all'Arsenale ci sia un notevole freddo-umido) e il più possibile equipaggiata psicologicamente, tra un mese esatto sarò già lì dentro a farmi "schiavizzare" dagli artisti che ne avranno bisogno.

In fondo, ho già fatto una cosa simile, in piccolissimo, a Fermo in quell'ambiente sicuramente freddo-umido (l'ex mercato coperto che vedete sopra in foto) che ho continuato a frequentare negli anni anche dopo il primo da pseudo-assistant.

Una parola inglese, a proposito, che sta all'incirca per custode-assistente allestitore.
Non vedo l'ora, non posso negarlo.

Numi, avanti, continuate così.

lunedì 15 febbraio 2016

Non lavoro ma non crollo: forza numi, fatevi sentire

Tyne Daly, la grandissima Maxine Gray nel "Giudice Amy", da oggi di nuovo su Giallo

Non ho ancora capito bene il funzionamento di google +, principalmente per pigrizia. Ringrazio, in ogni caso, quell'anima buona che spesso aggiunge un secondo "più" al mio, cliccato da me medesima abitualmente per rilanciare le sciocchezzuole che vado digitando.

Oggi è una giornata uggiosissima: speriamo che le mie piantine non se ne abbiano a male, visto che proprio ieri, per ansiogeno scrupolo di coscienza, le avevo annaffiate. Mi sento un po' come Moretti in Bianca che alla fine ne butta una di sotto dal terrazzo, dopo essersene uscito con "vuoi più acqua, meno acqua?", preso dal tipico sconforto di noi pollici grigi.

E però, a proposito di grigi, l'erba gatta è cresciuta eccome, contro ogni mia previsione, e pare piaccia alla felina dalle cinquanta sfumature della polvere. Inutile: mi sta troppo simpatica quando esce tutta entusiasta sul balcone e si butta con il corpicino sui ciuffi verde brillante. Dicono che debbano mangiarne con moderazione, altrimenti si drogano, ma capire se sia o meno sotto stupefacenza erbivora è davvero difficile. Bice (la grigia) ha una personalità piuttosto bizzarra già di suo: non mi pare che l'aggiunta di erba gatta alla sua dieta ne abbia alterato il comportamento. Che poi che male c'è a stordirsi un po'? Ha parlato Madama la lisergica, proprio: a me basta un bicchierino di qualsiasi cosa per entrare in tachicardia per tutta la notte successiva. Farà bene?

Ieri, in verità, ho bevuto un po' di più di un bicchiere: ma quell'americano era così dolce che non credevo fosse roba alcolica. O sarà che c'ho un'età e che non esco praticamente mai (faceva un caldo in quel bar: per chi gira in genere con due maglioni e doppi calzini i locali alla moda sono i Tropici).

L'occasione, però, era davvero lieta: compiva gli anni una delle mie insegnanti della Fermo 85. Una compagna di corsi ha avuto la bella idea di organizzarle una festa a sorpresa. Riuscitissima.
Tiziana (questo il nome della festeggiata) non se l'aspettava assolutamente ed è stato davvero tenero vederla con le lacrime agli occhi dalla commozione, quando ci ha trovati tutti lì ad applaudirla.

Ho passato una serata molto piacevole, insomma, anche se, ahimè, non sono sufficientemente di buon umore, nonostante gli incontri e i sorrisi sinceri.

Ho bisogno di lavorare: oggi guardavo le prime due puntate dell'ennesima replica del Giudice Amy e mi sentivo esattamente come Maxine, neanche la figlia, direttamente la mamma anziana voglio dire, che si era costretta a stare a casa lasciando il lavoro per occuparsi di figlia e nipote, ma si capisce lontano un miglio che proprio non ce la fa. Per buona parte del telefilm, infatti, la si vedrà nelle vesti di assistente sociale, con tutta l'umanità e la grinta che ci vogliono per affrontare storie spesso tremende, raccontate, se posso dirlo, da questo telefilm, con una poesia dal gusto retro che trovo tuttora un antidoto prezioso contro lo squallore diffuso.

Vedendo lei e anche Amy nei rispettivi posti di lavoro, avresti voglia di fare come loro, di massacrarti come sembrano fare i due personaggi per tenere insieme tutto, spese, educazione della piccola di famiglia, affetti e amicizie.
Purtroppo nel mio presente c'è solo una piccola parte di ciò che vedo sullo schermo e a volte, francamente, tutto questo mi stanca. Non lavorare stanca, lavorare gratis pure, ma, davvero, meglio lavorare gratis per qualcosa che ci piace, che aspettare un cambiamento che non verrà.

In tutta onestà, non rimango mai troppo ad aspettare. Anzi: molto spesso riempio i vuoti con qualche azione. Vanno benissimo tutte quelle che riguardano la sistemazione della mia casa, ne sono convinta, però mi manca la vita, mi manca quella sensazione di non aver abbastanza tempo per tutto.
Continuo a leggere di gente che corre, che non si ferma neanche per mangiare in santa pace: a me non succede praticamente mai. Mi ritrovo qualche volta a prendermi un tazzone d'orzo a metà mattina con un libro o un giornale affianco, seduta al tavolino un po' sconnesso di mia nonna (uno di quegli arredi che meno mi convincono e che nel mio attivismo vorrei far sparire).

Anche adesso, per dire, scrivo per riempire un vuoto, "per passare il tempo", usando un'espressione abituale di mio padre che mi ha sempre terribilmente appesantito, non per colpa sua.

Non dovrebbe mai succedere, in nessuna fase della vita, ma meno che mai nel pieno dell'età adulta, di fare qualcosa tanto per ammazzare il tempo.
Sento di bambini iper-organizzati che non saprebbero sopravvivere ai momenti di noia, ai buchi nell'agenda. Posso dirlo? Se andiamo avanti così, impareranno molto presto a gestirli: chi lo dice a queste schiere di ragazzini che oggi vanno a ginnastica, a calcio, a musica etc etc, che a trent'anni potrebbero essere costretti a fare lo stesso pur di non restarsene a ciondolare con le mani in mano?

Capisco bene quando mia sorella si augura che i suoi figli riescano un giorno a emigrare.
E però, davvero, non voglio fare la solita tirata sull'Italia che non va e sulle generazioni perdute etc etc. Oggi un africano che cerca l'elemosina davanti all'Eurospin mi ha chiesto un passaggio in auto per andare alla stazione: non aveva nemmeno i soldi per la tachipirina, sul suo viso ho letto una disperazione che io non ho mai provato. Certo: non mi posso sentire in colpa per questo, ci mancherebbe altro. E da un certo punto di vista, almeno stamattina il mio essere senza lavoro ha avuto un perché.

E' solo che ogni tanto è dura non saper cosa rispondere alla conoscente di turno che ti consiglia di dare ripetizioni, come se io non ci avessi già pensato da sola o, peggio, a quell'altra anziana, dotata per sua fortuna di pensione, in procinto di un soggiorno a Parigi di chissà quanti mesi, che non sto snobbando le ripetizioni (semmai sono le ripetizioni a snobbare me) e che farei ben più di quelle oggi stesso se mi si presentasse l'occasione.

Se mi si restituisse la possibilità di avere delle occasioni. Che è ben diverso.

Che fare? Continuare a cercare, a incontrare, a dire anche stupidaggini se succede (con i quasi estranei dovrei evitare di lasciarmi andare, lo so, ma non sempre ci riesco), a leggere, a scrivere, a pensare. E a sperare che quei piccoli segnali di cambiamento che intravedo oltre il grigio di oggi, siano davvero tali.

Mi auguro solo, quello sì, di avere abbastanza coraggio. A volte non ce l'ho avuto. E ne sto pagando le conseguenze ancora adesso.
Forse è proprio qui il punto, ma visto che l'ho vergato, adesso bisogna davvero che vada accapo.

Santi numi di qualsiasi natura, please, siate con me. E con chi sta vivendo analoghe turbolenze.
In bocca al lupo a noi.